Se penso alla presenza del mio corpo su questa terra lo immagino camminante.

Se penso alle tracce, agli indizi, che esso ha lascito dietro di sé vedo a volte orme ed altre volte impronte. Le orme sono destinate a scomparire anche se possono essere ricalcate, viceversa le impronte possono essere utilizzate per l’identificazione come le impronte digitali e genetiche.

Le impronte ci appartengono, sono tracce impresse di noi nel mondo. Per ottenere un’impronta dobbiamo imprimere una forza, metterci un’intenzione. L’immagine del premere lasciando un’impronta è facilmente evocabile, fertile di diversi significati: caratterizzante, diventa una chiave di lettura di noi.

Dante nel XVII canto del Purgatorio, usa “improntare” con valore di approntare, predisporre, sollecitare: “ed è chi per ingiuria par ch’aonti, sì che si fa de la vendetta ghiotto, e tal convien che ‘l male altrui impronti.” (120-123).

In musica “improntare” è preparare un brano dopo una sola rapida lettura.
Una varietà di significati, in questo scritto semplificata dal fatto che l’unico “improntare” vivo è quello che riguarda il dare, lasciare, un’impronta.

Scrivere è, come camminare, un atto motorio che permette di lasciare traccia, ma è anche un capitale, un conto in banca, un modo per tracciare la conoscenza.

La scrittura non è una pasticca informativa.

La scrittura è un’arte povera, bastano un foglio di carta ed una penna.

La scrittura permette di creare legami: scrivo perché qualcuno, anche io stesso, mi legga.

La scrittura ha un ritmo che viene perpetuato in chi legge.

La scrittura è silente ma non immobile. Nell’atto dello scrivere si crea un dialogo tra la propria voce e la propria mano, il pensiero si realizza attraverso l’esperienza gestuale della mano che tiene la penna; è un atto di riflessione: la mente pensa attraverso il corpo che si muove.

La scrittura permette di vivere la propria creatività. Lasciarsi andare alla mano che traccia un segno, senza pregiudizi, consente di esplorarsi, di lasciar andare, di vedere le proprie fragilità osservandole da un altro punto di vista; leggersi, inoltre, aumenta ancora le possibilità di comprendersi, scoprire altre strade da percorrere per poi essere liberi di scegliere dove lasciare altre proprie impronte da protagonisti.

La scrittura diventa contagio quando la si pone al centro come ruota di mulino ad acqua: scrivere con l’altro è un’esperienza che allaga, evoca, riverbera, nutre.

La scrittura degli ultimi anni ha subito una sostanziale trasformazione in conseguenza all’aumento del propagarsi del digitale; non solo l’atto motorio è cambiato, ma anche il dilagare dei social ha contribuito a questa trasformazione. C’è stata una sorta di matrimonio tra il cambiamento dell’atto motorio, il cambiamento del tipo di messaggio veicolato dalle lettere scritte ed i cambiamenti del linguaggio parlato. Non sono diminuite solo le parole dette del quotidiano, sono diminuite anche le parole scritte nel quotidiano.

La scrittura è un’attività pratica, come anche la cura.

Come incide tutto questo nel mondo della cura?

Come possiamo prenderci cura di noi oltre che dell’altro? Può, la scrittura, aiutarci?

Pratico la scrittura da molto tempo. Ho iniziato con la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari ma non mi bastava, sono diventata Facilitatrice di laboratori di medicina narrativa grazie ai percorsi offerti dalla Società Italiana di Medicina Narrativa. Lo scossone pandemico ha fatto perdere l’equilibrio a molti, allenarsi a non perdere l’equilibrio mediante le narrazioni e la scrittura, grazie alla pratica clinica divulgata da Rita Charon attraverso i movimenti della medicina narrativa, rende possibile attivare il processo di cambiamento necessario a superare anni così complessi ed a ritrovare nuovi equilibri.

Duccio Demetrio, esperto di scrittura autobiografica, ne parla come di “quel giardino da curare in noi”.

Ho fatto della scrittura il mio scrigno, nello scrigno si deposita ciò che si ha di prezioso, a volte per proteggerlo, a volte per celarlo.

Mi occupo di persone che, ad un certo punto del loro cammino, hanno incrociato la malattia, le loro impronte si sono fatte più leggere, trasformandosi in orme. Sono persone che hanno un nome proprio come le loro malattie, mi occupo della loro interezza, cerco di mostrar loro come recuperare la possibilità di lasciar impronte. Alla sera, al rientro a casa, di alcune di loro scrivo; per proteggermi. Certi incontri sono inenarrabili e non c’è cibo, attività fisica, verbalizzazione, relazione d’amore che li possa far decantare dentro di me; solo la scrittura mi permette quel distanziamento necessario a sopravvivere all’incontro con il dolore dell’altro cosicché possa io curarmi del mio giardino. La scrittura è, per me, cura quando cura è, polisemicamente parlando, ciò che fa rendere il mio corpo camminante.

Marisa Del Ben

Testi di riferimento:

di Lernia: Ho perso le parole; ed. La Meridiana, 2008

Campagnaro; M. Dallari: Incanto e racconto nel labirinto delle figure. Ed. Erickson 2013

Rita Charon, Medicina Narrativa, ed. Cortina, 2019

Duccio Demetrio in Autobiografie 2, pag.23 Ed.Mimesis

Suter, P.Trenta: “Scrittura”, in Dizionario di Medicina Narrativa, Ed Scholè, 2022

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