settembre 1, 2017

Noi siamo la nostra attenzione

Noi siamo la nostra attenzione

“Noi siamo la nostra attenzione. Con la focalizzazione dell’attenzione possiamo influenzare l’eccitazione neuronale, e quanto più intensa ed eventualmente specifica sarà l’eccitazione, tanto più duraturi saranno i cambiamenti nelle connessioni sinaptiche che avremo la probabilità di produrre a livello cerebrale. … Possiamo quindi affermare che la mente è attenzione, e che ciò che facciamo con la mente può cambiare la struttura del cervello.” – Daniel Siegel, Mappe per la mente

Asserire che noi siamo la nostra attenzione potrebbe sembrare una affermazione un po’ esagerata, o una considerazione per mistici, eppure la citazione di apertura è di Daniel Siegel, psichiatra, scienziato, fondatore della neurobiologia interpersonale, uno degli esponenti di spicco della ricerca contemporanea sulla mente e sul cervello. Egli afferma inoltre che Ciò che in passato intuivamo soltanto, a partire dell’esperienza clinica, ora è una conoscenza assodata: la mente è in grado di cambiare l’attività e la struttura del cervello. … Il processo attraverso cui è possibile indirizzare l’energia e le informazioni nei circuiti cerebrali è l’attenzione. Quindi, per la scienza occidentale, la mente, e specificatamente quel particolare aspetto della mente che chiamiamo attenzione, riveste una grande importanza per la nostra vita e per il nostro benessere.

Nel Buddhismo l’attenzione ha certamente un posto privilegiato: ad esempio, nella scuola Chan-Zen viene tramandato questo dialogo, nel consueto stile paradossale proprio di questa tradizione; Un giorno una persona chiese al Maestro Zen Ikkyu: “Maestro, potreste scrivere per me una massima di grande saggezza?” Ikkyu immediatamente prese il suo pennello e scrisse la parola “Attenzione”. “Tutto qui?” chiese la persona; “Non vorreste aggiungere qualcosa di più?” Allora Ikkyu velocemente scrisse due volte “Attenzione, Attenzione” “Beh” rispose l’uomo abbastanza irritato “sinceramente non vedo molta profondità o sottigliezza in quello che avete appena scritto.” Allora Ikkyu scrisse velocemente tre volte la stessa parola “Attenzione, Attenzione, Attenzione”. Mezzo arrabbiato l’uomo chiese: “Che cosa significa dunque la parolaAttenzione?” E Ikkyu rispose gentilmente: “Attenzione significa Attenzione”.

Non è solo nelle moderne neuroscienze o nelle tradizioni contemplative orientali che si attribuisce molta importanza alla qualità della nostra attenzione: come ci mostra molto bene Pierre Hadot nella seguente citazione, la centralità dell’attenzione era già riconosciuta nelle tradizioni filosofiche antiche: L’atteggiamento fondamentale del filosofo stoico o platonico era la prosochè (προσοχε), l’attenzione a se stesso, la vigilanza di ogni istante. L’uomo “vigile” è sempre perfettamente cosciente non solo di ciò che fa, ma anche di ciò che è, ossia della sua posizione nel cosmo e del suo rapporto con Dio. Ma che cosa è l’attenzione? C’è differenza tra ciò che possiamo chiamare “attenzione ordinaria” e ciò che possiamo definire “attenzione contemplativa”? In che modo la coltivazione dell’attenzione ci aiuta a ritrovare e mantenere uno stato di benessere e di felicità? Avendo letto questo articolo fino a questo punto forse potresti pensare che è un po’ teorico, qualcosa per “filosofi” o per “gente spirituale”.

Proprio ora, mentre stai leggendo, puoi accorgerti di come focalizzando l’attenzione sull’articolo, il tuo mondo diventa “il leggere l’articolo”; non appena decidi di orientare l’attenzione alle sensazioni del corpo, per esempio alla sensazione di contatto dei glutei sulla sedia, allora il corpo “riappare”, è di nuovo presente; se poi rivolgi l’attenzione al respiro, riscopri l’esperienza dell’andare e venire naturale del respiro, che è sempre presente, e nello stesso tempo quasi mai riconosciuta; se apri lo spazio dell’attenzione allora ti puoi accorgere che anche il tuo mondo si amplia, diventa più spazioso, e puoi diventare consapevole della sua ricchezza e diversità.

Quando la mente è tranquilla, stabile, spaziosa e ricettiva puoi percepire le varie sensazioni del corpo e, in generale, la multiforme esperienza dei cinque sensi, puoi riconoscere l’esperienza della mente con la sua varietà e ricchezza di pensieri ed emozioni, fino ad accorgerti dell’attenzione stessa, della sua qualità e del “dove” la stai dirigendo. In modo molto semplice, da una angolazione leggermente diversa, si può dire che quando la nostra mente è distratta, confusa, agitata, frenetica, ansiosa, allora il mondo che sperimentiamo ha le stesse caratteristiche, e quindi c’è malessere, c’è disagio; mentre quando la nostra mente è presente, chiara, tranquilla, gentile anche il mondo che sperimentiamo si manifesta in accordo con queste qualità, e naturalmente siamo maggiormente a nostro agio, stiamo bene.

Per entrare più in profondità nella nostra riflessione possiamo distinguere, da una parte, quella che possiamo chiamare attenzione contemplativa o attenzione saggia, e, dall’altra, quella che possiamo definire attenzione funzionale, oppure attenzione abituale, non saggia. Siamo stati abituati, attraverso l’educazione, ad un tipo di attenzione forzata, funzionale ad uno scopo e separativa. In generale, quando siamo bambini e giochiamo siamo naturalmente presenti, svegli, interessati e in connessione con ciò che stiamo facendo; quando un genitore o un adulto ci intima “stai attento!” quello che facciamo è contrarre, irrigidire il corpo e la mente: questo crea una abitudine che lega l’essere attento allo sforzo, alla tensione, e all’eseguire qualche compito che non ci interessa veramente.

L’attenzione contemplativa è molto diversa: si può definire come totale presenza insieme a totale rilassamento insieme a totale interesse; quanto maggiore è il rilassamento tanto maggiore è la presenza mentale, all’aumentare della presenza mentale aumenta anche il rilassamento; rilassamento e attenzione saggia vanno insieme e sono entrambi connessi all’interesse verso l’esperienza che stiamo vivendo. L’attenzione non saggia, quella a cui siamo abituati, è sempre funzionale ad uno scopo, a svolgere un compito, un lavoro: quindi l’attenzione è subordinata al compito e anche ad avere successo nello svolgere il compito; è un’attenzione legata alla prestazione, ad ottenere una qualche forma di beneficio o di guadagno. L’attenzione contemplativa basta a se stessa: non è legata a nessun compito o guadagno; è un modo di aprirci ed essere in connessione con la vita, un modo di essere svegli e presenti a ciò che stiamo vivendo, un modo ti tornare a meravigliarci dell’esperienza ordinaria che continuamente si manifesta.

Nelle tradizioni contemplative si mette l’accento sul fatto che l’attenzione saggia può e deve essere riconosciuta e coltivata: cioè che si può passare da una attenzione superficiale, forzata e legata ad un compito da eseguire, ad una consapevolezza aperta, rilassata, accogliente e ricettiva. In particolare, nel Buddhismo, i tre termini in lingua Pali sati (sanscrito smrti), yoniso-manasikara e appamada (s. apramada) rappresentano tre angolature diverse, tre sfumature particolari di ciò che possiamo indicare con attenzione, e che, più in generale, si può definire anche con termini presenza mentale e consapevolezza. Il primo termine sati, che si può tradurre un po’ tecnicamente con presenza mentale, è diventato famoso in occidente attraverso la sua traduzione in lingua inglese, cioè mindfulness.

Quando la mente è nel presente c’è un senso di immediatezza, di intimità, di connessione, e nello stesso tempo, c’è la capacità di accorgersi, di riconoscere in modo non verbale, e non giudicante ciò che stiamo vivendo, proprio nel momento in cui lo viviamo. Il maestro tailandese Achaan Chah descrive questa presenza consapevole nel seguente modo: Sati è la capacità di riportarci al presente, come quando ci chiediamo “Cosa sto facendo?”. Sampajanna è la consapevolezza che sto facendo questo e quest’altro. La seconda angolatura è quella di yoniso-manasikara, che generalmente viene tradotto con attenzione saggia: quindi una qualità di attenzione che favorisce, dà origine alla comprensione diretta, intuitiva della realtà in cui viviamo. Manasikara vuol dire attenzione mentre yoni rappresenta l’organo sessuale femminile, il grembo materno, e più in generale, l’origine della vita. Se riflettiamo sulla metafora, possiamo affermare che, come l’organo sessuale femminile è uno spazio ricettivo che accoglie la vita, la fa crescere in sé, e poi dà alla luce la vita, allo stesso modo un’attenzione aperta, spaziosa, accogliente e ricettiva si apre all’esperienza, la accoglie e quindi la comprende, nel senso di conoscenza-discernimento diretto di ciò che è: una consapevolezza spaziosa, accogliente e ricettiva fa nascere una conoscenza viva, diretta, intuitiva.

In generale, nel pensiero indiano il termine pamada (s. pramada) denota negligenza, incuria, disordine, indolenza, distrazione, e viene considerato una delle cause radice dei problemi e della sofferenza dell’essere umano. Appamada (s. apramada), letteralmente non-distrazione è la terza caratteristica dell’attenzione contemplativa: denota la capacità di prendersi cura con sollecitudine, gentilezza e prontezza. Per abitudine o per incomprensione degli insegnamenti potremmo avere la tendenza a metterci in relazione con noi stessi in modo duro, severo, intransigente: appamada indica il contrario, una qualità di attenzione amichevole, empatica, affettuosa, un prenderci cura di noi stessi e del mondo con gentilezza.

 

Vorrei concludere questa riflessione con due citazioni provenienti da ambiti molto diversi e distanti nel tempo, che però testimoniano e mettono in evidenza come l’attenzione, la presenza mentale, la capacità di aprirsi e accordarsi all’esperienza che si manifesta di momento in momento siano di capitale importanza per la nostra vita e il nostro benessere.

La prima, anche in ordine temporale, è di Marco Aurelio, imperatore e filoso stoico vissuto nel secondo secolo, che nei suoi Pensieri ci ricorda continuamente l’importanza del vivere nel presente:

Se ti preoccupi di vivere solo ciò che stai vivendo , cioè il presente, potrai vivere il tempo che ti rimane fino alla morte , senza turbamento, con benevolenza e serenità.

Marco Aurelio ci dice che il modo di vivere che i filosofi antichi definivano con il termine atarassia (tranquillità, serenità, imperturbabilità) è strettamente legato alla nostra capacità di prenderci cura dell’esperienza presente, di vivere stabili nel qui-e-ora.

La seconda citazione è di Suzuki Roshi, famoso maestro Zen del secolo scorso, che sintetizza mirabilmente tutto il cammino Buddhista nel modo seguente:

Prestiamo attenzione con rispetto e interesse, non per manipolare, ma per comprendere quello che è vero. E vedendo ciò che è vero, il cuore diventa libero.

Pietro Thea

pietrothea@gmail.com

www.sedendoquietamente.org

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