In termini funzionali non esiste una cosa definibile come “un cervello”:un cervello è sempre un’interazione con l’ambiente.

Russell Meares

In principio nell’essere umano ogni nuova funzione ed ogni cambiamento o aspetto dello sviluppo si presenta come impulso di energia. Solo successivamente, attraverso una ripetizione ritmica e pulsante, una esperienza regolare, lentamente, si manifesta la forma. In questo modo l’energia assume la configurazione che chiamiamo organismo.

I minerali che attraversando le membrane delle nostre cellule permettendo i campi e i potenziali d’azione che si incarnano in movimenti, parole, emozioni… Altro non sono che frammenti di universo, polveri stellari aggregatisi milioni di anni fa a formare montagne, pianure, deserti, terre ignee che assumiamo quotidianamente attraverso l’acqua e il cibo.

La neuroplasticità è la naturale facoltà biologica, fisica e chimica del cervello di riorganizzare le sue reti, connessioni, funzioni e di sviluppare nuovi neuroni in risposta all’ambiente, all’attività e all’esperienza mentale.

Rappresenta un processo inimmaginabile fino a pochi anni fa, che comporta in base a come lo si vuole vedere, un’immane potenziale di vulnerabilità e resilienza.

I modelli di connettività che in questo momento permettono di trasformare in pensieri le informazioni retiniche che arrivano agli occhi dai caratteri che stai leggendo, sono unici e ineguagliabili come le tue impronte digitali. Arrivano, che tu ne sia consapevole o meno, dall’eredità genomica dei nostri avi e dalle esperienze che abbiamo incarnato durante la nostra esistenza.

Infatti al contrario di quello che veniva insegnato in ambito accademico dall’approccio riduzionista del secolo scorso, il cervello, la mente e il sistema nervoso sono oggi considerati a tutti gli effetti parte di un processo naturale coemergente, con la capacità di cambiare ed adattarsi insieme all’ambiente, grazie alle esperienze e alle relazioni.

Dal riduzionismo al cervello coemergente

Le scienze moderne hanno ribaltato completamente i dogmi dello scorso secolo: nel Novecento gli studiosi consideravano ancora il cervello come una macchina in cui ogni area, situata in una precisa regione cerebrale, svolgeva un’unica funzione vitale. Se una regione cerebrale subiva una lesione, a causa di un ictus, un trauma o una malattia, non poteva essere “riparata” dall’organismo stesso, poichè le macchine non possono ripararsi da sé, ne generare parti nuove. Gli scienziati sostenevano inoltre che i circuiti cerebrali fossero immutabili o “cablati”, ossia che le persone con un ritardo mentale congenito o affette da disturbi dell’apprendimento, fossero destinate a rimanere tali.

Agli albori del nuovo millennio, via via che la fascinazione per la tecnologia e il monopolio della prospettiva cibernetica della realtà iniziarono a colonizzare non solo il linguaggio (con l’adozione di parole come plasticità, resilienza, circuiti, connessioni, per descrivere facoltà naturali), ma anche l’immaginario collettivo, gli scienziati iniziarono a descrivere il cervello come un computer e la sua struttura come l’hardware, ritenendo che per questo l’unico cambiamento possibile fosse la degenerazione dovuta all’uso e all’invecchiamento.

Negli stessi anni però una nutrita schiera di studiosi iniziava a confutare tali conclusioni partendo dall’osservazione delle attività microscopiche del cervello rilevate con la risonanza magnetica funzionale ed altri strumenti.

Nel 2000 il premio Nobel per la medicina fu assegnato ad Eric Kandel per aver dimostrato che con l’apprendimento le connessioni fra i neuroni aumentano. Centinaia di studi successivamente hanno sostenuto questa tesi indicando che i flussi di energia ed informazioni prodotti dal cervello e dall’intero organismo in contatto con la realtà, a loro volta plasmano il cervello e l’organismo.

Daniel Siegel afferma in questo senso che “l’esperienza determina un’eccitazione dei neuroni, la quale a sua volta può portare ad un’attivazione dei geni che rende possibile il verificarsi di cambiamenti strutturali attraverso il rafforzamento delle connessioni tra i neuroni eccitati.

Anche la focalizzazione dell’attenzione è una forma di esperienza in grado di eccitare i neuroni, attivare i geni e realizzare cambiamenti strutturali nelle connessioni neuronali. Quindi il processo mentale di focalizzare l’attenzione può modificare la struttura fisica del cervello” e il modo in cui sentiamo noi stessi, gli altri e il mondo.

Emozioni, esperienze e plasticità

Quali momenti della tua vita hanno modellato il modo in cui entri in contatto con l’esistente?

William James, uno dei fondatori della psicologia moderna, già dalla fine dell’Ottocento affermava che stimoli emotivamente intensi possono “lasciare quasi una cicatrice nel tessuto cerebrale” (James 1890), per fortuna oggi sappiamo che non solo le esperienze traumatizzanti, ma anche quelle di profonda fiducia ed amorevolezza possono generare cambiamenti duraturi a livello delle connessioni neurali. In altre parole, le emozioni in base alla loro durata, frequenza e intensità possono coinvolgere processi modulatori che favoriscono la formazione o la degenerazione dei sentieri neurali cerebrali.

La neurobiologa Carla Shatz, una delle pioniere che ha determinato alcuni dei principi di base dello sviluppo cerebrale precoce, ha scoperto che l’attività spontanea dei neuroni già all’interno dell’utero è fondamentale per la formazione di connessioni neurali precise e ordinate nel sistema nervoso centrale.

I cambiamenti fondamentali poi si verificano molto rapidamente durante lo sviluppo dell’organismo, dal concepimento fino ai primi anni di vita. E si manifestano anche durante tutto il corso dell’esistenza, a seconda delle circostanze.

Alla nascita, il cervello di un bambino può presentare fino a 100 miliardi di neuroni, circa il 15% in più di quello che avrà da adulto. Man mano che impariamo e cresciamo, le nostre esperienze rafforzano i circuiti che si rivelano più rilevanti mentre gli altri si indeboliscono e svaniscono.

“Una visione estrema di questo sarebbe che all’origine saremmo predisposti per ogni possibile contingenza”, afferma Jeff Lichtman, neuroscienziato dell’Università di Harvard a Cambridge. Nel corso del tempo, una grande percentuale di quelle connessioni viene disconnessa in modo permanente, afferma Lichtman. “Quello che rimane è un sistema nervoso più ristretto”, spiega. “Ma è sintonizzato esattamente sul mondo in cui ti sei trovato.”

Si conoscono due tipi principali di processi attraverso i quali avviene la formazione di connessioni sinaptiche nei primi anni di vita:

  • Experience-expectant sono quelli tipici della nostra specie che si innescano col verificarsi di una esperienza base d’innesco:i geni che contengono le informazioni per le specifiche connessioni sinaptiche del neonato, attiveranno la trascrizione necessaria nel momento in cui questo farà esperienza degli stimoli relativi, nel caso delle connessioni per la vista e per l’udito, esse si plasmeranno in base alle prime esperienze con i suoni e la luce.

  • Experience-dipendent sono invece processi che si innescano solo se abbiamo relazioni frequenti che li favoriscono, ad esempio se il neonato ha successo nella ricerca dei seni della mamma e riesce a nutrirsi senza eccessivi sbalzi emozionali, questo potrebbe portare più facilmente alla formazione delle componenti neurali necessarie per la percezione della digestione, metabolizzazione e soddisfazione.

Le esperienze e l’eccitazione neurale interrelata influenzano lo sviluppo cerebrale e dell’intero organismo, in particolare nella prima infanzia si plasmano coemergendo le aree deputate alla relazione umana, le capacità di entrare in contatto visivo, ascoltare ed essere ascoltati, toccare ed essere toccati, interdipendenza ed autonomia.

Le connessioni formatesi nelle prime fasi della vita attraverso questi processi costituiscono la base dell’elaborazione delle informazioni da parte dell’organismo durante tutta l’esistenza.

Nei primi stadi della vita, assorbiamo tutto ciò che avviene intorno a noi, d’apprima nel grembo in modo osmotico, poi dopo la nascita nella modalità intersoggettiva fino allo sviluppo neocorticale che permette l’individuazione e l’idea di “io”. I nostri sistemi nervosi e i nostri cervelli coemergono dallo scambio continuo di informazioni, energia e relazioni fisiche ed emotive con le persone che si prendono cura di noi. Nel primo anno e mezzo circa non abbiamo ancora le facoltà cognitive per elaborare delle nerrative rispetto a tutto questo, lo riceviamo come un continuo amalgama sinestetico di immagini, sensazioni, vibrazioni, suoni, colori, sentimenti che ci attraversano plasmandoci ed essendo assunte a livello cellulare come memorie implicite. Queste non sono accessibili a livello conscio poichè nel periodo in cui si sono formate il cervello non era ancora del tutto sviluppato. Solo dopo i primi 18 mesi circa, può iniziare l’attività di un’area interessata alla consapevolezza dello spazio e del tempo che si chiama ippocampo.

Ma non abbiamo bisogno di ricordare perchè tutto avvenga al meglio possibile. Nasciamo con un numero estremamente vasto di cellule nervose, un potenziale enorme adatto a qualsiasi evento ci accolga.

Se veniamo al mondo in una famiglia o una comunità prosociale in cui le persone sono presenti, giocose, protettive e ci fanno sentire al sicuro, allora le cellule nervose adatte alle funzioni “difensive” degenereranno. Saremo probabilmente più disponibili alle relazioni e meno in allerta nel verificare continuamente l’ambiente in cerca del pericolo, cronicamente ipervigilanti o estremamente reattivi.

In generale sarà più facile avere un’esperienza incarnata di fiducia, riuscire a sentirla attraverso le sensazioni vive del corpo e muoverci spontaneamente nella comunità dei viventi senza sprecare troppa energia in forma di pensiero. Più concretamente nell’ambito di una relazione saremo in grado di sentire “a pelle” se possiamo fidarci della persona con cui siamo, senza inutili proiezioni, giochi di potere o elucubrazioni claustrofobiche.

I neuroni che si attivano insieme, si collegano insieme

Già dalla fine dell’800 Sigmund Freud aveva intuito che le facoltà integrative dell’organismo erano legate all’esperienza vissuta, preconizzando la comprensione odierna secondo la quale l’attivazione contemporanea di due o più neuroni crea un’associazione fra di essi, aumentando la possibilità che gli stessi neuroni si attivino insieme in futuro. Oggi sappiamo inoltre che ogni volta che questo avviene diminuiscono le possibilità che questi degenerino, le vie più attivate sono rivestite da una guaina ricca di lipidi chiamata mielina, queste si rinforzano la capacità di conduzione degli impulsi nervosi. Sarebbe a dire che se un’emozione come ad esempio la tristezza fosse molto presente nella nostra vita da bambine, magari per un lutto o una condizione di scarsità di calore umano e cure empatiche vissuta in famiglia, noi potremmo avere profondamente associate le esperienze umane di dialogo e vicinanza alla tristezza. Questo sovraccoppiamento inconscio potrebbe protrarsi per tutta la vita, facendoci “scegliere” vissuti protetti dal contatto umano e relazioni mediate dagli schermi o disaccoppiarsi grazie a nuove relazioni umane nutrienti in cui siamo viste, sentite, comprese e amate incondizionatamente in maniera continua, prevedibile e ripetuta.

Tornando al sentimento di fiducia, in una società tecnologica basata sull’informazione come quella attuale, riceviamo quantità enormi di stimoli visivi e cognitivi in riguardo alla pericolosità dei nostri simili dai mass media, prevalentemente focalizzati nel trasmettere notizie su emergenze, omicidi, guerre ed eventi sociali caratterizzati da dominanza o stigmatizzazione delle minoranze, competizione o marginalizzazione. La ripetizione compulsiva di messaggi allarmanti influenza la degenerazione delle aree dell’organismo e del cervello implicate nella sensazione di fiducia.

Possiamo comprendere facilmente che guardando un telegiornale mentre siamo a tavola per nutrirci, le aree dell’organismo collegate al piacere e alla soddisfazione di alimentarci si possano attivare contemporaneamente alle immagini di atrocità e violenza vomitate dai professionisti dell’informazione istituzionalizzata. La catastrofe arriva direttamente nel nostro piatto deformando la nostra visione del mondo.

Un altro esempio semplice potrebbe essere quello dell’esperienza del viaggio condiviso. Nelle stazioni ferroviarie in Italia il nostro cervello riceve ripetutamente dai megafoni in sala d’attesa o sui binari, una voce che ripete di non lasciare i bagagli incustoditi, mentre alla macchinetta per fare i biglietti un’altra voce preregistrata allerta a fare attenzione ai borseggiatori, invita a non chiedere informazioni ad altre persone presenti ma rivolgersi solo al personale Trenitalia. E’ possibile che lentamente ma in modo inesorabile arrivando a prendere un treno a Roma o Milano il cervello dei passeggeri associ al viaggio la percezione della pericolosità degli altri passeggeri. Ciò accade a livello inconscio, aumentando i livelli di stress, limitando lo sviluppo umano ed eliminando strutturalmente connessioni neurali deputate all’esperienza della gentilezza e dell’accoglienza dell’altro.

Cervello, mente e ruolo dell’attenzione

Il cervello è costituito da circa 86 miliardi di cellule, circa per la metà è costituito da sostanza grigia, in cui i neuroni prendono forma e sviluppano la loro funzione, il restante sono cellule della glia.

Quando parliamo di cervello oggi indichiamo la parte apicale del sistema nervoso, l’area anatomica del corpo racchiusa nella scatola cranica, mentre usando la parola mente ci riferiamo meglio ad uno spazio, un processo emergente incarnato che regola i flussi di energia ed informazioni autorganizzandosi in relazione costante con il tutto.

Il cervello funziona come una totalità organica, in cui le aree differenziate collegano fra loro i propri segnali in una ragnatela di processi non lineari interconnessi. Ogni neurone presente nella corteccia cerebrale è collegato attraverso le sinapsi in media a diecimila altri neuroni, il che significa trilioni di connessioni sinaptiche nella scatola cranica, la cui variabilità demolisce ogni illusione riduzionista del passato.

Quello che sappiamo poi è che con la focalizzazione dell’attenzione possiamo influenzare l’eccitazione neurale, e quanto più intensa e specifica sarà l’attivazione delle cellule nervose, tanto più duraturi saranno i cambiamenti nelle connessioni sinaptiche a livello cerebrale. Possiamo utilizzare il potenziale creativo dell’attenzione per produrre cambiamenti significativi a livello funzionale e strutturale.

Incarnare il presente

Proprio come la mano davanti all’occhio può nascondere la montagna più alta, così le abitudini della vita possono impedirci di cogliere lo splendore di cui è pieno il mondo”

Detto Chassidico (XVIII secolo)

La nostra attenzione è stata educata, spesso già nella tenera età, a capire il mondo. Per non sentirci giudicati come stupidi o poter prendere parte alla comunità senza essere derisi o esclusi, abbiamo focalizzato prevalentemente la nostra attenzione sul pensiero, la “montagna” di cui parlavano i chassidi, la comprensione e la misurazione quantitativa della realtà. Questa scissione tra ragione e sentire, che spesso ci ha protetto dal dolore, ha generato un distacco dalla possibilità di riconoscerci come natura.

Il sentire oggi per molti di noi è desueto, intorpidito e a volte completamente dissociato. Ma la porta al qualitativo non è un app scaricabile, implica coraggio: orientare l’attenzione aprendola di più all’interezza significa mettere in gioco la seduzione degli schermi, girare lo sguardo altrove, libero dalle ombre virtuali proiettate sulla parete della modorna caverna platonica che ci ha reso dipendenti.

Se conveniamo che il pensiero non sia l’unico modo di essere vivi e l’esperienza vissuta influenza la neurogenesi, cosa accade se portiamo maggiormente l’attenzione alle sensazioni corporee, diamo più spazio al piacere epidermico, al calore umano, ai profumi, ai suoni, alla percezione dello spazio, all’intuito, alle forme, i colori, alle immagini e alle visioni interiori?

Tesori neurali primitivi

I nostri organismi si sono sviluppatti insieme a quelli degli altri animali nel corso dei millenni, natura nella natura, in cammino, correndo, nascondendoci, cibandoci, riposandoci per poi tornare a muoverci pienamente vivi nel corpo nell’esplorare nuovi territori in cui orientarci alla novità. Oggi sappiamo che il movimento, appunto, che ha caratterizzato l’esistenza quotidiana dei nostri antenati, stimola la neurogenesi.

L’esercizio fisico genera il rilascio dalle cellule gliali che compongono gran parte della massa cerebrale, del fattore di crescita GDNF che contribuisce alla neuroplasticità, promuove lo sviluppo e la sopravvivenza dei neuroni dopaminergici e stimola la guarigione delle lesioni.

Quanto movimento reale, non con l’automobile, concediamo ai nostri corpi ogni giorno? Quanto la nostra attenzione è attratta da ciò che è vivo, organico e in continuo cambiamento?

Vediamo insieme cosa stà succedendo in questo momento. Proviamo a fare una pausa dalla lettura e lasciamo che la nostra attenzione sia libera di muoversi nell’ambiente.

Dove si posa se non la indirizziamo volontariamente?

Siamo più richiamati da stimoli uditivi? O forse olfattivi, o tattili?

Dove si rivolge il nostro sguardo?

Abbiamo una visione ampia o a tunnel, cogliamo i dettagli e possiamo rimanere in contatto con forme e colori o i pensieri ci richiamano rapidamente? E dove ci portano…

Forse su qualcosa che pensiamo di dover fare…

In generale potremmo dire che la nostra attenzione è più facilmente attratta dalla sirena di un allarme in lontananza o dal canto degli uccelli che volano nell’azzurro del cielo?

Questa differenza comporta sensibili conseguenze qualitative nel nostro quotidiano soggettivo e di conseguenza in quello delle persone che frequentiamo.

Se l’attenzione è frequentemente correlata ad uno stato di allerta e vigilanza potremmo trovarci spesso in uno stato di chiusura e rigidità cronica: le aree limbiche del cervello, soprattutto l’amigdala, potrebbero rapire e distorcere le naturali facoltà umane di ascolto, empatia, compassione e disponibilità prosociale. Anche i cambiamenti e le novità potrebbero apparire pericolosi, in questi stati di alta attivazione potremmo trovare continuamente qualcosa che ci opprime, o rivolgerci alla realtà senza coglierla nella sua interezza.

Attenzione come porta per l’interezza

Comunque all’iniziolo si immagina separato (l’Uno),come passo preliminare per la sua conoscenza”

Sri Vijnana Bhairava Tantra

Le proposte di esplorazione evocate dalle domande qui sopra possono forse averti già incuriosito. O forse potrebbero averti turbato…

In entrambi i casi stai prendendo consapevolezza del potenziale creativo dell’attenzione.

Potrebbe essere inquietante riconoscere che questa preziosa facoltà è stata cooptata dalle istituzioni preposte alla nostra educazione, dai media, dalla società degli schermi o non è stata del tutto valorizzata permettendo lo sbocciare della sua completa meraviglia.

Un’attenzione aperta è caratterizzata da curiosità, compartecipazione alla vita, disponibilità alle possibilità del nuovo e a non esercitare controllo.

Quando rivolgendoci alla realtà abbiamo l’impressione di vedere degli opposti, proprio lì, siamo di fronte ad un’opportunità. Possiamo stare in quello spazio di ascolto?

Possiamo sentire quali sensazioni, emozioni, pensieri, immagini, scorrono nello spazio della mente? Possiamo osservarli dando loro corpo nella disponibilità del sentire, senza identificarci ad essi?

Potremmo forse scoprire che non ci sono confini tra le cose che sembrano apparire là fuori…

C’è un’interrelazione.

Quell’interrelazione siamo Noi.

Aspetti della vita che favoriscono la neuroplasticità

Possiamo prestare attenzione all’elenco qui sotto dandoci il tempo di sentire se i dai seguenti aspetti necessari per una vita equilibrata stiamo ricevendo soddisfazione?

  • Esercizio aerobico

  • Dormire entrando nel sonno profondo le ore di cui abbiamo bisogno per alzarci sentendoci riposati

  • Alimentazione sana

  • Relazioni umane

  • Novità

  • Capacità di concentrazione

  • Tempo per stare con noi stesse in ascolto interiore

  • Umorismo

Se questo non avviene o crediamo che non sia possibile nelle condizioni attuali, possiamo immaginare anche solo un piccolo cambiamento nella nostra vita?

Questo genera curiosità o paura?

Conservazione, cambiamento e trasformazione neuroplastica

Abbiamo visto che l’esperienza vissuta in modo intenso e ripetuto varia la struttura e le funzioni del sistema nervoso e dell’organismo. Possiamo dire che anche i gesti e le posture più inconsce, se abitudinarie, si rinforzano via via che si ripetono nella nostra vita.

Le strutture educative del secolo scorso che hanno dato forma all’odierna cultura dominante utilizzavano principalmente il dolore e la paura per produrre cambiamenti significativi sul soggetto e sulle comunità.

Gli archetipi generativi ai quali facciamo riferimento nella società globalizzata sono spesso maturati in condizioni di profondo dolore e trauma collettivo. Le nazioni, le strutture economiche e sociali più recenti sono nate da guerre sanguinarie, stragi ed eccidi in condizioni di fame e scarsità diffusa. Molte di noi hanno imparato spesso che per “vedere la luce” si dovrebbe toccare il fondo, come se solo esperienze di forte catarsi potessero permettere reali cambiamenti.

Sappiamo invece che il cambiamento è inesorabile, fa parte della vita stessa. Possiamo forse imparare a viverlo in modo nuovo.

L’arte della ripetizione: celebrazioni, rituali e buone abitudini di oggi

La capacità di modificare il nostro cervello è tanto una responsabilità quanto una risorsa.”

Roy Harris

Ogni mattina svegliandomi dal mondo dei sogni e aprendo gli occhi, mi lascio abbracciare dalla luce del giorno. Ogni mattina provo gratitudine per poter essere parte e dare il mio contributo a questa pazza avventura che chiamiamo vita.

Per secoli in varie aree del pianeta la ripetizione di rituali come andare a prendere dell’acqua alla sorgente, raccogliere delle piante officinali o nutritive, prendersi cura con amore dei bambini, degli anziani e delle persone in difficoltà ha permesso la possibilità a noi di essere qui oggi.

Non siamo qui grazie ad un microchip al silicio fabbricato da un robot o all’efficenza di un’intelligenza artificiale.

Noi riceviamo il mondo che ci plasma e a nostra volta noi plasmiamo il mondo. La saggezza è la quantità di mondo consapevolmente sentita e assunta nel modo in cui viviamo. Il senso della nostra esistenza è essere parte. Uno e tutto allo stesso tempo.

E ora…

Che cosa accade se presti attenzione a dove sorge l’amore?

Jerry Diamanti

www.equilibrinaturali.net

leviedolci@gmail.com

Photo by Garidy Sanders

Molte delle informazioni scientifiche da cui è tratto questo articolo provengono dalla sperimentazione avvenuta per decenni, che purtroppo si protrae ancora oggi, su milioni di animali allevati, imprigionati e spesso sezionati chirurgicamente ancora vivi. Possiamo rifiutare e buttare via tutto ciò che arriva da queste ricerche, spesso utili soprattutto ad adescare finanziamenti ed alimentare affari, oppure iniziare ad opporci a questa strage silenziosa e trarre comunque qualcosa di sensato da questa guerra rimossa dalle nostre coscienze, per trasformare la nostra vita.

Bibliografia

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Simpkins C. Et Al., Neuroplasticity and Neurogenesis: Changing Moment-by-Moment, Neuroscience for Clinicians, pp 165-174, 2012

Photo by Davide Cantelli

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