ROJAVA. SULLA PRIMA LINEA DEL FRONTE CONTRO LA GUERRA E LA PANDEMIA – INTERVISTA A JIYAN.
ROJAVA. SULLA PRIMA LINEA DEL FRONTE CONTRO LA GUERRA E LA PANDEMIA – INTERVISTA A JIYAN.
“Come trattiamo la natura, come vengono trattate le persone, come si tratta la nostra interiorità, qui è dove inizia il dibattito sulla salute” – Intervista a un’operatrice sanitaria internazionalista in Siria del Nord-Est (10 maggio 2020)
Condividiamo l’intervista pubblicata originariamente in spagnolo sul blog Buen Camino del quotidiano spagnolo El salto. L’intervista è in lingua inglese ed è stata pubblicata il 16 maggio 2020 sul blog Women defend Rojava. Sempre il 16 maggio, sul blog dell’ANF, è apparsa anche la versione tedesca.
L’internazionalista tedesca Jiyan Bengî in un ambulatorio sul fronte di Til Temir (Rojava).
Jiyan Bengî è un’internazionalista tedesca che dopo il massacro di Sinjar e l’attacco a Kobane nel 2015 ha deciso di trasferirsi nel Nord della Siria per unirsi alla democrazia confederalista rivoluzionaria promossa dal movimento di liberazione curdo. Sta attualmente svolgendo lavori di assistenza sanitaria sulla linea del fronte. Abbiamo parlato con lei dell’impatto del Coronavirus in Rojava, del concetto di salute nella rivoluzione, della forza trasformatrice del movimento delle donne e delle difficoltà di costruire un’alternativa alla crisi del capitalismo in Europa.
Puoi inserirci un po’ nel contesto? Com’è la situazione qua al fronte, come influisce sull’occupazione, a che punto è la guerra?
Questa è l’ultima linea del fronte dall’inizio dell’offensiva lo scorso anno. Qui per esempio c’è un quartiere che appartiene ad un çete [gruppo jihadista – n.d.t.] e ci sono ancora attacchi frequenti, la maggior parte delle volte con armi pesanti, ma anche leggere. Ad un livello più generale, ora c’è molto movimento. C’è movimento di aerei da guerra, c’è movimento dall’altro lato del fronte, sappiamo che i soldati turchi stanno costruendo altre postazioni, rinnovando le truppe, svolgendo lavori di ricognizione. I droni che volano, i russi che fanno le ronde con i soldati turchi, gli americani anche, in gran parte qui si tratta di raccogliere informazioni. Perciò pensiamo che dopo questa situazione del Coronavirus avremo di nuovo un’intensificazione della guerra. Allo stesso tempo, l’ISIS si sta riorganizzando specialmente nella regione di Deir ez-Zor, gli attacchi e le minacce lì fanno di nuovo parte della vita. Inoltre, le loro cellule dormienti vengono tuttora catturate nei cantoni di Cizire e Kobane. La guerra, anzi le guerre, che stiamo affrontando qui hanno queste diverse componenti.
Prevedi quindi che la Turchia continuerà a provare a occupare nuovi territori?
Per la Turchia la questione non è se attaccare o no, la questione è quando farlo. Se le condizioni sono favorevoli, allora lo faranno. Dipende anche dalle relazioni tra loro e i loro alleati politici e militari. Ma di sicuro, se dipende dalla Turchia, ci sarà guerra di nuovo.
Quale influenza ha su tutto questo la pandemia?
Allora, da una parte, se guardiamo alla situazione mondiale, ora sono tuttx concentratx sul Corona, guardi le notizie e sono Corona, Corona, Corona, quindi se adesso l’intero Rojava (o qualsiasi altro posto nel mondo) bruciasse, sfortunatamente non interesserebbe a nessunx. D’altra parte, quando le infrastrutture elettriche o per la fornitura idrica vengono bombardate, riguarda quello, giusto? Riguarda l’influenza sul morale delle persone, terrorizzarle, mettere pressione sui bisogni della vita quotidiana, diffondere rabbia e paura. Intendo, se pensi ad una città grande quanto Heseke, un singolo giorno senz’acqua… specialmente in una situazione di pandemia, in cui devi pulire ogni cosa ogni giorno, oltre alla necessità dell’acqua potabile, questa è una strategia di guerra continua molto chiara contro le persone della Siria del Nord-Est.
Il sistema idrico di Haseke danneggiato da un attacco turco.
In generale, qual è stata la risposta del Rojava alla minaccia dello scoppio pandemico?
Quando è iniziata questa situazione del Covid-19, la reazione è stata: fermeremo tutto, tutte le strutture militari devono fermare le operazioni “attive”, perché prima di tutto siamo tuttx di fronte alla minaccia di questo virus, che a tutt’oggi è un “nemico” che non è molto chiaro come funzioni. Perciò, per sicurezza e protezione, ci fermiamo e proviamo a rendere tuttx consapevolx di quanto sia importante seguire le procedure di protezione individuale. Per esempio, nella nostra regione, andavamo da tutte le unità e spiegavamo la situazione, la minaccia, come proteggersi, il protocollo se ci fosse stata qualche persona con sintomi, ecc. Poi si tratta di organizzare l’equipaggiamento medico e dare anche informazioni per il materiale disinfettante fai-da-te e per la protezione. C’è ancora l’embargo, non abbiamo così tante risorse, anche soltanto procurarsi mascherine e guanti per tuttx era e continua ad essere impossibile.
Ciò di cui abbiamo anche avuto esperienza è stato convincere una società altamente socializzata ad agire in modo totalmente antisociale (niente strette di mano, abbracci, baci… distanza, niente incontri o visite, un diverso modo di mangiare e bere). Spiegare l’importanza di applicare tutto questo è stato abbastanza difficile. Perché quando guardi le unità di terapia intensiva qui, i posti disponibili… abbiamo 40 respiratori, questo significa che possiamo gestire soltanto 40 casi gravi che necessitino di respirazione assistita, significa che il resto non avrà trattamenti adeguati finché il respiratore non sarà libero, il che sarà probabilmente perché quella persona è morta… quindi ci sono ragioni molto concrete per questi protocolli di protezione e per il confinamento.
Collaboratori di Jiyan Bengî all’interno di un’ambulanza.
Le misure quindi sono le stesse dell’Europa?
Allora, anche qui c’è il confinamento e gli unici pubblici esercizi aperti sono quelli che vendono cose di cui le persone hanno bisogno, come i negozi di alimentari, le farmacie, i negozi di attrezzature agricole… abbiamo anche Asayîş [forze di sicurezza interna – n.d.t.] che assicurano che le persone seguano il confinamento, quindi se lo osservi in modo un po’ superficiale, tutto ha la stessa forma, naturalmente, ma d’altra parte hai strutture diverse all’interno della società. L’acqua e l’elettricità sono gratis e il cibo e altri beni di prima necessità vengono forniti alla popolazione attraverso le Comuni, che penso sia una differenza rispetto all’Europa, perché questo fa parte integrante del sistema adottato qui, dell’idea di società e salute che hanno qui.
C’è una struttura, che costituisce la base della vita qui, e ci sono persone che si assumono questa responsabilità: non è che alcune persone decidono di essere brave persone e perciò usano i loro soldi per dar sostegno ad altre persone, cosa che in un sistema capitalista è una buona decisione, ma è diverso se la base del sistema è la solidarietà reciproca attraverso le Comuni. Perciò non dipendenti da uno Stato, ma dalla responsabilità che tuttx si prendono nei confronti di altrx. In Europa avete gli Stati che si stanno rivelando impreparati dinanzi a questa crisi. Avete bisogno del denaro per risolvere quello che la società dovrebbe avere come livello di base del vivere insieme. L’assistenza sanitaria, la socialità, la responsabilità, ecc.
Una miliziana delle forze di sicurezza interna Asayîş.
Quando l’amministrazione ha iniziato ad annunciare le misure, abbiamo avuto la sensazione che forse le persone non le abbiano prese molto seriamente…
Questo è un territorio che è stato in guerra per lungo tempo, la popolazione ha visto molta miseria, molta morte, hanno avuto molte perdite. Ora si deve affrontare un nemico che non vedi, non vedi come si diffonde, non vedi ciò che accade o come le persone si ammalino… perciò pensi “Ok, se perfino le cose di cui abbiamo bisogno non entrano, come farà ad entrare il virus?”. Le persone talvolta sembreranno troppo tranquille, perché ne hanno già viste troppe. Ma è bene notare che dopo che alcuni casi sono stati confermati, le persone la prendono più seriamente e sembrano più intenzionate a seguire le procedure necessarie.
Prima hai accennato alla questione della salute. Qual è la prospettiva della rivoluzione sanitaria? Perché in Europa, quello che vediamo con la situazione attuale è che essere in salute significa principalmente…
Funzionare. Essere in grado di funzionare.
Ecco.
L’idea è di creare una società basata sui valori di democrazia, ecologia e liberazione delle donne. Quindi, quando si tratta di quello, la domanda è: dove inizia la salute? Forse inizia da un punto diverso da quello che diamo per scontato. Abbiamo bisogno di questo mondo e di questa natura. Ne abbiamo bisogno per vivere, ma la natura non ha bisogno di noi. Questo è qualcosa che si sta comincando a capire ora, no? L’aria è pulita, il mare è pulito, c’è movimento, gli animali “si scatenano”, come se fossero felici, spuntano ovunque [ride].
E questo è il problema, giusto? Il mondo non ha bisogno di noi e noi non siamo in grado di capire e di apprezzare ciò di cui abbiamo bisogno. Non apprezziamo la vita e la natura. E guardare alla natura soltanto come a qualcosa che dovrebbe fornirci le cose che vogliamo è il primo passo per iniziare una relazione molto insalubre con il mondo, una relazione molto pragmatica con il mondo, con la vita in generale, su cui si costruisce tutto il resto. Quindi come trattiamo la natura, come vengono trattate le persone, come si tratta la nostra interiorità, è qui che inizia il dibattito sulla salute. Il modo in cui impariamo a vivere questa vita, a pensare, a sentire, che cosa fare, chi essere, è tutto connesso ad un cuore sano, a sani sentimenti, anima, mente e vita.
Quando guardiamo all’Europa, a quegli Stati che chiamiamo altamente “industrializzati”, c’è un numero assai elevato di casi di depressione e cosiddette “malattie della modernità” (diabete, ecc.) … Le persone tentano di trovare un senso alla vita, sono alla ricerca, sforzandosi di raggiungere l’obiettivo di un’immagine convenzionale di individuo felice, bello, attraente, funzionale, un’immagine che in effetti è pura esteriorità, un esempio di ciò che la salute non è. Perciò iniziare a connettere tutto questo alla realtà sociale, alla realtà dell’essere umano in connessione con la natura, con te stessx come essere umano che sei una parte vitale e necessaria dell’umanità e della società, fare passi in questa direzione, è la base su cui mettere in pratica l’assistenza sanitaria. Siamo tuttx responsabili della salute nostra e di tutte le persone intorno a noi e del mondo in cui viviamo. Capire ciò, cogliere l’intero contesto e la connessione più profonda, raggiungere questo stesso livello, può soltanto significare prendere decisioni su ciò che usiamo, ciò che costruiamo, ciò che facciamo, secondo quella consapevolezza. Perciò quando parliamo di energia/risorse, non stiamo soltanto pensando a ciò di cui abbiamo bisogno, ma a come tuttx possano usarle in modo da non danneggiare la natura e la vita e da non esaurire la risorsa stessa. Quando parliamo di medicina, iniziamo dai casi nei quali la medicina farmaceutica non è la soluzione. Si tratta di tutto ciò che c’è prima della medicina farmaceutica, del nostro modo di vivere, ma anche di usare la ricerca per trovare soluzioni per malattie gravi o le esigenze di una chirurgia adeguata. Non dovrebbe esser questione di soldi o dell’utilizzo della medicina come risorsa per ottenere vantaggi materiali. Si tratta di condividere e prendersi cura l’unx dell’altrx, di ricondurre le decisioni a un contesto più generale.
Quando parli con la gente di qui di quale pensano che sia il futuro del Rojava, rispondono sempre la stessa cosa: “Non è chiaro, nessuno lo sa”. Ora, con la pandemia, sembra che questa stessa esperienza sia vissuta in Europa, c’è molta incertezza, c’è la percezione che nessuno sappia cosa succederà. Per un momento la “normalità” di milioni di persone è stata bruscamente interrotta. Considerando questa situazione da qui, cosa pensi che possa derivare da tutto questo?
Sì, c’è chi dice che questa situazione pandemica è in qualche modo positiva, perché le persone si trovano costrette a fare i conti con la realtà dello Stato, ma questo significa sottostimare il potere della normalità. Non penso che l’approccio delle persone sia tanto “quant’è malvagio lo Stato”, ma piuttosto “almeno ci rimane questo o quello, e ora possiamo di nuovo fare questa cosa o quell’altra”. Perché a questo punto, che alternativa c’è? Le persone torneranno sempre ad affidarsi a ciò che esiste già, perché non sta emergendo una nuova società che sia improntata all’amore e alla creatività, e le vecchie strutture e le vecchie idee, potranno piacerti più o meno, ma sai ciò che ti danno, in qualche modo ti “sostengono”, ti danno una certa sicurezza. E questa per me è la sfida principale delle nuove proposte, e anche del confederalismo democratico.
Offrire un’alternativa da una parte è qualcosa di molto pratico, essere in grado di fornire o creare alternative per il cibo e i bisogni di base, che riguardano direttamente le persone, nelle quali le persone possano impegnarsi, e anche idee in cui le persone possano identificarsi, che facciano loro comprendere il loro bisogno le une delle altre e la mutua responsabilità, che possano spingerle a passare all’azione. Si tratta di dare una risposta ai bisogni urgenti, ma anche di essere una macchina ideologica, disseminare analisi che spieghino come questa situazione sia stata raggiunta, portare le persone ad un punto comune. Questo punto comune significa anche che si dovrà costruire di nuovo la fiducia, che le persone dovranno fidarsi, anche di cose e persone di cui ci avevano insegnato a non fidarci. Tornare ad aver fiducia anche nella speranza e crearla mentre la si dà. Questa potrebbe essere la questione più difficile, perché puoi sempre dire “ok, questo è inutile, e questi gruppi, questa organizzazione, fanno tutto sbagliato e nessun cambiamento è possibile”.
C’è troppo pensiero negativo su tutto, troppo pregiudizio e troppe aspettative. È tutto basato sulla logica del dover “sapere”, la rete di sicurezza dell’“è sempre stato così”, “l’essere umano è così”, “devi essere al 100% logicamente sicurx prima di prendere qualsiasi decisione” … Perché devi davvero esser così, nel capitalismo, se non vuoi perdere tutto ciò che lo Stato può prendere da te.
Il Rojava è nel mezzo di una crisi economica e umanitaria, in guerra, sotto occupazione e ora sotto la minaccia di una pandemia, e ancora la resistenza continua. È costantemente sfidato alla sconfitta. Ciò non contrasta con la sinistra in Europa, con l’impossibilità di credere che possiamo vincere e non essere sconfitti?
Allora, francamente, bisogna capire che c’è paura di essere sconfittx, ma anche accettare il fatto che molte persone hanno già sconfitto se stesse, nelle loro prospettive, nelle loro alternative, diventando molto sub-culturali, molto liberali, con poca onestà, già sconfitte nella loro mentalità… nessuna speranza, nessun sogno, nessuna forza a cui connettersi… o troppi pensieri astratti, lontani dalla realtà della società, dalle emozioni, dai bisogni, lontani dalla gente. Bisogna accettare il fatto che siamo tuttx in qualche modo sconfittx in diversi punti, e comprendere questo significa dire: “Ok, allora sono necessari ulteriori passaggi”.
Penso che abbia a che fare specialmente con il mettere in discussione i nostri metodi. Non c’è messa in discussione del luogo da dove proveniamo e del perché siamo come siamo e quando non ti interroghi su questo puoi solo ripetere ciò in cui sei statx formatx, quello in cui sei cresciutx. Ci sono persone che pensano di essere rivoluzionari romantici, che vedono per esempio nella guerriglia o in altri gruppi combattenti, nelle lotte rivoluzionarie, il popolo che ti rende onore e tu che dai tutto fino alla morte. Allora, ci sono molte persone che lo fanno, per molte ragioni diverse, vanno anche fino in fondo, ma che cosa rappresentano nella vita quotidiana? I valori che – con le migliori intenzioni – molti compagni rappresentano, anche in situazioni difficili, sono dopotutto quelli di una mentalità patriarcale, una mentalità violenta, talvolta perfino fascista. Perché? Non perché sono persone cattive, ma perché non riflettono, non analizzano. Hanno imparato ad essere ignoranti. In questo modo agirai e prenderai decisioni solamente secondo questa mentalità. Le soluzioni che vedi, i problemi che vedi, tutto nella cornice di queste mentalità. Il risultato della tua lotta? Combattere fino alla morte o allo sfinimento o fino ad abbandonare la lotta per trovare un posto da qualche parte nel sistema esistente. E non è così che funziona se vuoi un mondo differente e vuoi un sistema differente, non funzionerà.
Se pensiamo alla rivoluzione qui, penso che un punto da tenere a mente sia ovviamente che c’è un nemico molto molto concreto che ci minaccia anche in un modo molto concreto, così le cose funzionano perché hai il bisogno pratico di difenderti. Ma un altro punto funziona a causa dell’esistenza di un forte movimento organizzato delle donne. Perché in tutti i passaggi e a tutti i livelli della società ci sono donne che si prendono responsabilità, presentano le analisi appropriate e mettono strumenti nelle mani delle persone. Perché è così? Perché è importante? Perché una delle analisi qui è che la base della “civiltà” e della società moderna è una mentalità patriarcale, statalista e oppressiva che in pratica significa che l’esistenza delle donne non è presa seriamente in considerazione. Una società con questa realtà è malsana, iniqua, offensiva, violenta, sfruttatrice… e partire da dove inizia l’oppressione è la chiave principale dei cambiamenti sociali e della ricostruzione dei valori di un mondo, di una vita e di una società olistici.
Jiyan col suo team nell’ambulatorio di Til Temir.
In che senso?Come realizzare tutto questo, concretamente?
Talvolta le persone pensano alla rivoluzione come ad un BANG! dopo il quale tutto è diverso. Invece ha più a che fare con le piccole cose. Penso a quarant’anni fa, quando la prima donna nella guerriglia è entrata nella casa di una famiglia e c’era questa bambina e anche questo bambino che la guardano e pensano: “Wow, non ho mai visto una donna così! Una donna che fa queste cose!”. E questo fa impressione a queste bambine, molte di loro vent’anni dopo partecipano alla lotta perché hanno avuto altre figure di riferimento da seguire, altre spiegazioni alle ragioni dei problemi che vedevano e vivevano, hanno capito che altri sentieri sono possibili e hanno deciso di prenderli, invece di essere intrappolate dalla pressione della famiglia… E quelli sono passaggi che le persone non colgono. Dicono: “Oh, guarda quella YPJ o quella YPG con le armi!”, ma ognuna di loro ha dovuto combattere una lotta enorme, lunga e spesso dolorosa fino a quel punto, specialmente le donne; e la lotta principale non è solo avere quell’arma, ma proseguire su questo sentiero, con questa decisione, seguendo la speranza di un’altra realtà, mentre le persone che conosci, la famiglia in cui sei cresciuta, gli amici che ti rispettavano, non ti appoggiano più, perché le loro tradizioni e i loro legami non sono basati sulla libertà di una società intera, ma solo sul farti prendere in trappola dalla difesa e dalla sopravvivenza della sola piccola “tribù”. Chiunque ti abbia dato identità, una casa, uno spazio sicuro governato dalle sue regole –regole feudali/patriarcali/capitaliste/fasciste o in qualsivoglia modo violente – potrebbe attaccarti.
Uscire da queste relazioni personali velenose è il passo più difficile per molte persone. Mettere in discussione su questo punto te stessa e ciò per cui stai lottando, ciò in cui credi e speri, di che tipo di presente e futuro abbiamo bisogno, è la garanzia che tu non stia soltanto seguendo una mentalità distruttiva “spacchiamo tutto”. Specialmente il momento in cui capisci che è proprio per tutte quelle persone che stai lottando. Perché riguarda la società e te, connesse. Dopo molte lotte per questo, nel mentre, tiri avanti quando i tuoi amici muoiono, quando la tua società è continuamente sotto embargo, sotto pressione, quando succedono cose come Afrin o adesso Serekaniye. Il cambiamento avviene attraverso questi passaggi, ci sono così tante storie pesanti qui, in ogni famiglia, per ogni compagna.
I passi compiuti da tuttx fino a oggi hanno portato alla rivoluzione e a tutti i cambiamenti all’interno della società e del sistema. Perciò non è un BANG, è una lotta continua di tutti i giorni in cui dev’esserci piena chiarezza su quali valori stiamo rappresentando. Questo è rivoluzionario. Vivere la speranza, i cambiamenti, i valori che vuoi creare, per una società piena d’amore, democratica, ecologica, fatta di donne libere. E decidere di difendere tutti questi valori ad ogni costo. E per difendere qualcosa, c’è bisogno d’amore, di valori, solidarietà, creazione, responsabilità, un cuore e un pensiero enormi. Con tutto questo come approccio di base e generale, quando poi dobbiamo combattere con le armi, come qui, per la difesa pratica contro una minaccia come l’ISIS, lo Stato turco o qualsiasi Stato fascista, sarà una lotta rivoluzionaria – in cui la lotta armata è soltanto un passaggio e non lo scopo.