È proprio qui che vi siete fermati,
voi creature ragionevoli,
voialtri illuminati dallo spirito della Saggezza.
Vi siete arrestati proprio qui,
di fronte al mio corpo,
dopo averlo ridotto ad un meccanismo,
un equilibrio di leve, nervi, fasci di muscoli,
una combinazione di forze e di spinte,
una sincronia di sintomi, reazioni, caratteri, cause ed effetti.
L’avete sistemato, questo corpo, mio,
per farlo aderire ad una idea, la vostra,
un’idea che è la somma astratta di mille corpi che non esistono.
L’avete cancellato poco a poco
per far posto alla matematica,
alla brutalità del calcolo, della previsione, della diagnosi,
questo corpo mio che sfugge, che non sta fermo,
questo mio corpo che si divincola tra le maglie
e che sputa sulla vostra arroganza infelice.
Voi che l’avete chiamato malato.
Voi che usate i nomi e le parole per seminare distanze
che il mondo invece non conosce.
Sapete tutto di me:
come funzionano le mie viscere, i miei gangli,
ogni giuntura, le budella.
E invece non sapete proprio niente di me,
vi dico, NIENTE!
E non mi importa se mi chiamate
porco, vacca, scarafaggio, verme, topo, pollo,
non mi importa, anzi,
ne sono onorato, onoratissimo.
Sì, io sono un porco, una vacca, un topo, un VERME,
perché come pensate di saper tutto di codesti esseri
che voi chiamate animali,
così pensate di sapere tutto di me;
e invece non sapete niente!
Mentre io, io posso grugnire come un porco,
e ho la pazienza infinita della vacca,
l’intelligenza splendente dello scarafaggio,
l’untuosa flessuosità del verme,
la delicata arroganza del topo,
la sfrontata svogliatezza del pollo…
Posso essere un’infinità di cose contemporaneamente,
anche se voi avete dimenticato il vostro diritto
a contenere moltitudini.
E non vi serve a niente
spiegare
nei dettagli
l’oscillazione
perfetta
delle ali
di una rondine
guizzante,
il gesto sapiente e rapidissimo del volo
nei vuoti d’aria,
nei buchi di vento,
nelle correnti ascensionali.
Non vi serve a niente
sapere a quale velocità la rondine
riacciufferà la direzione del nido
dopo un migliaio di circonvoluzioni
senza alcun senso apparente,
dopo migliaia di arzigogoli senza centro
e di inseguimenti immaginari del nulla,
nel nulla che non vi è dato vedere.
Non vi serve a niente
misurare ogni suo tragitto nell’aria,
ogni suo giro nel vento.
Perché non sarete mai
nel minuscolo ed immenso spazio del suo essere,
del suo esserci, lì,
minuta ed immensa,
una rondine,
quella rondine,
e solo quella.
Non un volatile, non un uccello, non un animale,
ma proprio quella rondine,
che ora si scaglia verso le nuvole, inafferrabile,
ora precipita, puntando il suolo,
e ad un palmo da terra scatta, leggerissima, rasentando l’erba,
per poi dimenarsi furiosa in un vortice sopra le chiome degli alberi,
sfiorando i fili dei lampioni, le antenne dei palazzi,
gli sbuffi delle automobili,
carezzando i vasi accostati con cura sui balconi,
burlandosi, lei, dei pungiglioni di ferro
che avete sistemato sui bordi per non farla posare
lei
che vola
sfiorando
le cose
ferme
e poi risale su, su, su, in una spirale magnifica,
per andare a riprendersi una scaglia di sole, un grumo di cielo,
per ritrovare l’odore della pioggia
nascosto nei rami più alti.
Non sapete niente di lei.
La potrete studiare.
Le potrete dare un nome che dica tutta la vostra Sapienza.
Potrete misurarne le traiettorie,
le variazioni, i disegni nell’aria.
Potrete catalogarne i comportamenti,
le abitudini, i rituali.
Ma non saprete mai niente di quella rondine.
Mai.
“Lasciami andare
sono una rondine
vorrei volare
nei cieli limpidi
e non pensare
se il cuor mi sanguina
lasciami andare così
sono una rondine…”*
*Parole tratte dall’inno della Contrada della Rondine di Siena.