E’ un’escalation di violenza senza precedenti sulla quale si interroga l’opinione pubblica a cominciare da opinionisti, sociologi e psicologi, senza trovare all’apparenza una risposta valida che vada oltre le solite raccomandazioni di denuncia e di attenzione.
I dibattiti si susseguono ai dibattiti, rimasticando tesi e teorie che si sono rivelate sin qui inefficaci: resta il fatto – grave – che l’uomo esercita la violenza e la donna la subisce quasi senza reagire, nella speranza di redimere o di riconquistare, quando non riesce a fuggire, l’amato bene.
E se provassimo a cambiare tutto riscoprendo il Tantra?
La tesi è provocatoria; ma di fronte all’inefficacia delle usuali ricette, perché non parlarne?
La filosofia tantrica risale alla notte dei tempi, appartiene a popolazioni pre vediche, ai dravidici; ma forse, come alcuni ricercatori sostengono, appartiene ad una cultura universale antichissima di cui si sono perse le tracce ma che si ritrova in rituali che continuano ad esistere in varie parti del mondo, in forma rivisitata, nelle religioni, nelle società misteriche e nelle filosofie orientali ed occidentali.
I dravidici erano una popolazione autoctona residente nel continente indiano oltre 5000 anni fa, pacifica, come hanno evidenziato gli scavi a Mohenjodaro nel Sindh ed Harappa nel Punjab: città ben strutturate senza tracce di mura o di armi; la cultura era matriarcale e già si parlava di rituali sessuali confermati dalla scoperta di alcune piastrine che rappresentano l’unione di Shiva e Shakti.
Negli anni sessante è stata riscoperta e riproposta da Osho Rajneesh, un professore di filosofia di Poona, in una forma che ha chiamato “neo tantra” in cui droga e libertà sessuale, con varie motivazioni, la facevano da padroni e che Andrè Van Lysebeth ha preferito definire “no tantra” tanto per ristabilire chiarezza.
Ed in effetti c’era ben poco della filosofia tantrica originale, ben trattata ed approfondita nei libri di Avalon, alias sir John Woodroff, un funzionario inglese che ha avuto modo di studiare testi originali antichissimi.
Al centro della loro filosofia c’è la Shakti, la Dea Madre, l’energia femminile che dà la vita, che si manifesta in mille modi, che permea e muove ogni cosa.
La Madre ama i suoi figli e la creazione è la sua personificazione; la Madre è dolce, è attenta e può dare solo gioia a chi la sa capire ed accettare.
La Madre è anche donna, figlia, sorella, moglie: tutte figure pronte a consolarti, ad ascoltarti, ad amarti, tutte figure che nell’India pre-ariana venivano venerate e rispettate.
Quando si parla di tantra la gente pensa sempre ai rituali sessuali, misterici, dimenticandosi che il tantra è essenzialmente il “culto della femminilità” riportando il titolo di un ottimo libro scritto da Andrè Van Lysebeth: Tantra, il culto della femminilità, di cui consigliamo la lettura.
I rituali sessuali ci sono, inutile nasconderlo; ma sono limitati a certe persone ed a determinati periodi, con una finalità ben precisa.
TANoti e TRAyati, espandere e liberare, questo significa la parola tantra.
Espandere la capacità sensoriale ai massimi livelli, liberare la mente dal vincolo dei sensi e consentirle di decollare, di partire verso l’alto, farla uscire dalla prigione per passare dalla dimensione materiale a quella metafisica e spirituale; esattamente come si fa con la kundalini in altre forme di yoga.
Per ottenere questa espansione e liberazione il tantra segue il sentiero più veloce e più pericoloso.
Swami Satyananda su questo punto è molto chiaro:
“se voglio andare da Delhi a Calcutta posso camminare, prendere un carro, un treno, un aereo o salire addirittura su un razzo: la velocità cambia, il tempo cambia, il rischio cambia”
La via tantrica è rappresentata dal razzo, quindi pericolosissima.
Questo lo sapevano bene gli antichi maestri che hanno posto subito delle limitazioni alla pratica di alcuni rituali.
L’invasione ariana spinge i dravidici nel sud dell’India attuale, costringe rishi e muni, a nascondersi nelle foreste per salvare la cultura autoctona matriarcale in contrasto con la cultura vedica patriarcale; e gli scavi di Kajurao, con i magnifici templi sopravvissuti alla furia musulmana grazie alla foresta, con sculture che ricordano in modo esplicito rapporti sessuali di ogni genere, possono dare un’idea all’osservatore attento di cosa deve essere successo in quel periodo di guerre tremende ed incessanti.
Ed il povero tantra che fine fa?
Gli ariani nella loro violenza erano anche saggi: imponevano le loro leggi, accettavano ciò che non era in contrasto con esse e secretavano, non distruggevano, ciò che non capivano o che era fuori legge; seguivano il sanatan dharma.
Grazie a questo Sanatan Dharma il tantra si è salvato e si sono salvati tanti testi antichi che ci hanno consentito di conoscere questa cultura mai morta che gli ariani consideravano stregoneria: la rifuggivano ma la tolleravano: tolleranza che caratterizza tuttora la cultura religiosa indiana.
La filosofia tantrica divide il genere umano in tre classi d’individui: i pashu, i vira e i kaula, i divya.
L’accesso ai rituali sessuali, al panchamakara, era consentito solo ai vira (gli uomini forti, i guerrieri) con qualsiasi tipo di donna ed ai kaula (gli uomini sposati) solo con la propria moglie.
Pashu e Divya veneravano l’energia femminile, la Shakti, solo in forma simbolica in quanto ritenuti inadatti, per vari motivi, a fronteggiare e tenere sotto controllo le loro pulsioni.
Il vira è l’eroe; lui solo è adatto al rituale tantrico, lui solo è in grado di immergersi nel massimo pericolo: quello di cadere preda del vizio e delle passioni che gli si presentano durante il rituale, prove che deve superare esattamente come nelle leggende cavalleresche medioevali: vincere o morire combattendo il drago alato.
Venera la donna che vede come Shakti, pura energia femminile, creatrice di un mondo che deve essere goduto sotto ogni aspetto senza diventarne schiavo.
Nel rituale di panchamakara si avvicina a lei con devozione, cercando di percepirne l’odore più intimo, accarezzandola con rispetto per percepirne le vibrazioni, baciandola per sentire il suo sapore, guardandola nella sua risplendente bellezza, ascoltando il suo respiro e le sue parole per entrare in sintonia nell’attesa che ella si conceda: “sull’uomo in loto siede la donna”
Così facendo si attivano i cinque i sensi e, considerato che ad ogni senso corrisponde un chakra, si attivano mooladhara, swadhisthana, manipura, anahatha, vishuddhi che, aprendosi, consentono il passaggio della kundalini che, con particolari tecniche di respirazione e contrazioni appropriate, viene spinta verso l’alto, verso ajna, il centro del comando e da qui oltre il piano fisico ottenendo quell’estasi sensoriale da tanti descritta ma da pochi realmente sperimentata.
Le parole chiave del rituale sono venerazione, devozione e rispetto.
Se noi riuscissimo a trasferire queste tre parole nel rapporto contemporaneo fra uomo e donna, forse tante violenze non avrebbero senso.
L’uomo nasce da una donna, che lo alleva e lo cresce per poi passarlo ad un’altra donna (fidanzata, moglie, amante) che ha il compito di completarlo facendogli vivere esperienze sensoriale e sessuali che possono elevarlo o distruggerlo a seconda del suo grado evolutivo.
Il ruolo della donna, fondamentale nella società tantrica matriarcale, è stato accantonato e distrutto dalle conquiste ariane e non è mai stato più ripristinato.
Greci, romani, ariani, egiziani, tutti praticamente toglievano i figli maschi dall’influenza femminile ed affidavano la loro educazione alle strutture maschili: l’uomo diventa guerriero, conquistatore, impositore della sua volontà.
Tutti gli uomini oggi si sentono “vira” eroi, quando invece nella maggior parte dei casi sono solo “pashu” uomini del gregge.
Mentre le donne si sono dimenticate di essere Devi, dee portatrici della Shakti, di quell’energia femminile che fa girare tutte le cose create; e tentano, nella loro ricerca di evoluzione, di emulare gli uomini.
La filosofia tantrica, sfrondata dai tanti rituali antichi, semplificata e traslata nei nostri tempi, potrebbe rimettere le cose a posto, riportarle all’armonia originale, rivalutare quelle tre parole magiche: venerazione, devozione, rispetto; e far capire, sia agli uomini che alle donne, qual è il loro ruolo per ristabilire l’armonia universale originaria dalla quale ci allontaniamo sempre più e la vera funzione dell’attività sensoriale e sessuale.
Potrebbe sembrare un’utopia; ma oggi si parla tanto di “utopie concrete” e questa potrebbe diventarla.
In Italia ci sono centinaia di centri yoga e migliaia di praticanti, prevalentemente donne; basterebbe cominciare a far passare il messaggio tenendo presente che lo yoga è figlio del tantra e che tutta la filosofia dello yoga è basata sulla necessità di riunire Shiva e Shakti, l’energia maschile e quella femminile.
Questo è l’obiettivo dell’hatha yoga, del kundalini yoga, del kriya yoga e di tanti altri stili di yoga.
Inoltre riportare in auge il discorso matriarcale, dopo cinquemila anni, non sarebbe un tornare all’indietro ma un andare avanti, in quanto i presupposti di partenza sono completamente diversi e, se ben gestito, potrebbe diventare la vera rivoluzione culturale del 21° secolo.
E’ una sfida ed è una scommessa: accettiamola per il bene nostro e di tutti gli esseri umani.
Sw. Virananda
virananda@centroyogasatyananda.it