Pubblichiamo la prima parte del testo ¨Bianchezza/Nerezza¨,
scritto dal filosofo e intellettuale trans-pubblico africano Bayo Akomolafe, tradotto in italiano dal blog Clinica della crisi e condiviso per le lettrici e i lettori di Matrika Conscioussness Development grazie alla collaborazione con Fabrice Olivier Dubosc, che ringraziamo per la
passione e la disponibilità alla condivisione.
Clinica della crisi/ecologia della cura nasce nel desiderio di ripensare i lemmi dei nostri luoghi comuni , delle parole d’ordine stantie e delle parole che ancora ci mancano. Bayo Akomolafe in questo brano tratto dai suoi webinar e blog riprende i temi dell’identità e della razzializzazione nel contesto di un più vasto intreccio con il pianeta e con il divenire degli umani.
Sono temi che ricordano fisicamente le stragi che avvengono in quelli che ancora riteniamo essere ¨confini¨…
Molti spunti ricordano Achille Mbembe, e prima di lui di Frantz Fanon ma l’intreccio delle radici Yoruba di Bayo in dialogo con la ricchezza del pensiero contemporaneo permettono di esplorarli nuovamente come altrimenti emergenti dalle urgenze del presente.
«La modernità coincide con la “bianchezza”.
Ma cos’è la bianchezza? Non è una qualità o proprietà personale, così come le nostre politiche tentano di definirla, la bianchezza è un sistema, un sistema razzializzato che produce corpi e li colloca gerarchicamente. Mi piace dire che i corpi bianchi sono diventati bianchi per via della “bianchezza”. Non è che i corpi nascano bianchi o neri o marroni, ma che quelle identità sono costruite a partire da una metrica politica che attribuisce delle “proprietà”.
Se le cose del mondo non appaiono senza relazioni, il mio corpo e i vostri corpi emergono a partire da questa metrica politica e veniamo introdotti in un mondo che ci dice di Tizio e Caio ….. Non tanto che “sono” bianchi ma piuttosto che la “bianchezza” arruola i loro corpi, usa i loro corpi così come usa il mio e lo colloca all’interno dello schema di ciò che conta: “tu sei nero, tu sei bianco, tu sei caucasico” e così via….
Dunque, la bianchezza è un sistema geo-socio-culturale razzializzato che produce corpi e li colloca all’interno di una gerarchia di privilegi o possibilità di accesso alle produzioni di stabilità della modernità. Quello che stiamo dicendo è che la “bianchezza” eccede l’individualità umana. La bianchezza non dipende da una proprietà ereditata da un singolo corpo, o da singoli corpi, ma è un sistema, un’organizzazione.
Per iniziare a cogliere le tracce [culturali] della bianchezza potrebbe essere d’aiuto la storia archetipica di Baldur, il mito nordico di Baldur, per capire come agisce e cosa genera la bianchezza, e cosa ciò abbia a che fare con una certa idea di modernità.
La storia di Baldur deriva dal mito di un dio nobile e bellissimo, figlio di Freya e di Odino. Un giorno una profezia arriva alle orecchie di Freya e di tutti quanti, di fatto annunciando la morte di Baldur. Tutti hanno paura, specialmente la madre, Freya, così fa quello che in quelle circostanze penso farebbe ogni madre dotata di quella sorta di potere divino, viaggia in lungo e in largo per tutti i Sette Regni, va da ogni cosa umana e non umana supplicando ognuna e ognuno di non fare del male a suo figlio, di non ferire Baldur. Va dai tavoli e dalle aquile e dalla luce del sole e da montagne e leoni e da ogni singola cosa che ha un nome, e anche da quelle che un nome non ce l’hanno ancora. Ma ne dimentica una, dimentica di visitare il vischio. Così quando Loki entra in gioco in questo intricato copione narrativo egli cerca di capire come fare a uccidere Baldur. E quando scopre che il vischio è stato trascurato, lo prende e ci costruisce un’arma, la punta contro il calcagno di Baldur, e lo uccide. E poi la storia da lì continua con la discesa agli inferi di Baldur e tutto il resto.
Ma a me questa interessa perché può aiutarci a capire come agisce la bianchezza – la bianchezza non è semplicemente un’identità…la bianchezza è un progetto di formattazione della terra, un progetto di gerarchizzazione. Un progetto che colloca i corpi, compresi quei corpi che vengono “identificati” come bianchi in un dispositivo coloniale che non sta più funzionando per nessuno, neri, o bianchi o marroni. Così la bianchezza non equivale semplicemente ai corpi bianchi, la bianchezza è una determinata configurazione del potere sulla terra che ci ha messo seriamente nei guai, e dobbiamo parlarne. La storia di Baldur ha a che fare con il desiderio di trascendenza. Baldur cerca di sfuggire alla finitudine, alla morte, e la madre cerca di proteggere il corpo del figlio dalla materialità delle cose, dalla perdita, della sub-scendenza, dal declino e della discesa nella terra.
È una ricerca di purezza, è quello che aveva notato Hillman – un grande psicologo – quando aveva definito la bianchezza un “culto della purezza.” È l’aspirazione alla supremazia, è una delle possibili figure che assume l’universalismo, un supposto desiderio di “libertà”, un’idea di indipendenza e salvezza, che immagina di poter risolvere tutti i problemi se solo ogni cosa venisse gestita e nominata. E tutto questo ha a che fare con l’idea che l’umano sia un’unità discreta e distinta, esclusiva e escludente. Se posso tagliar fuori tutto il resto, tutto quello che c’è nel mondo, allora posso crearmi una sovranità privata ed interiore. È per questo che la modernità fa tanta fatica a pensare alle cose come a qualcosa di vivo, non può pensare che il mondo sia vivo. È necessario che il mondo sia morto, ha bisogno che il mondo sia una “risorsa naturale”. Per poter proteggere Baldur deve fare in modo che ciò sia così a tutti costi. È questa la pulsazione archetipica della modernità e della bianchezza.
Questa è l’idea di una modernità bianca. E’ in questo modo che la bianchezza è connessa alla storia euro-americana, e alla colonizzazione. E’ tutto ciò si intreccia con la rivoluzione industriale, con il diniego di altre “agentività” terrene… è qui che la narrativa dell’espansione incontra la metanarrativa del progresso. La modernità nasce da un desiderio di diniego. Ed è connessa a un campo traumatico.
L’Antropocene rappresenta la sua struttura temporale geologica, un’era in cui l’umanità ha acquisito una tale superiorità da esser diventata la specie dominante sul pianeta, a tal punto che converte il mondo a sua immagine e somiglianza. Quando i geologi dicono che dall’Olocene siamo passati all’Antropocene chiamano questa era con il nostro nome, [l’anthropos = l’umano] per ricordarci dei danni che abbiamo imposto al mondo. Un’era caratterizzata dal caos climatico, dalla disuguaglianza razziale, dalla morte e dalla sofferenza. La modernità bianca è caratterizzata dalle superfici cicatrizzate del capitalismo estrattivista.
Queste non sono solo nobili proposizioni teoriche, queste sono le terre da cui vengo, le terre che ricevono il lato oscuro, e le ombre della rettitudine morale dell’occidente. Racconto spesso ai miei amici quando viaggio negli Stati Uniti o in Europa, e vedo quanti, con molta diligenza, si affannano a differenziare la spazzatura, e penso a ciò che non viene raccontato a queste care persone che solo il 7 per cento di ciò che si suppone venga riciclato, viene davvero riciclato. Il resto, il 93 per cento viene spedito nei miei paesi: in Ghana, in Nigeria, e diventa il nostro parco giochi. Ho giocato sulle discariche di rifiuti dell’occidente. Le narrazioni che mancano a quei cittadini che fanno del loro meglio per fare la cosa giusta è che ci sono mondi nascosti, mondi sottili, mondi insorgenti, che sono da moltissimo tempo i destinatari di queste pratiche moralistiche. E anche questo è capitalismo estrattivista, è il modo in cui i cittadini vegono illusi rispetto ai veri costi del lusso in cui vivono, rispetto ai costi di ciò che considerano “ordinario”. La modernità è costellata dai corpi degli schiavi africani trasportati oltre Atlantico ed è anche associata al caos climatico. Non solo dal riscaldamento globale del carbonio ma da un clima globale di disperazione. Se guardate alle statistiche aumenta sempre più la perdita di fiducia nell’autorità costituita, la perdita di fiducia nello stato-nazione, la perdita di fiducia nella democrazia, perdiamo fiducia nelle cose che sono state il fondamento della civiltà moderna. Questa è anche un opportunità credo, ma allo stesso tempo causa di allarme, perché tutto sta andando a pezzi.
Quello che voglio sottolineare è che la modernità è un vero e proprio “progetto immobiliare”, per dirla con le parole di W.E. DuBois, il sociologo del XIX secolo. È qualcosa di più di uno stato di “cattura”, che si prende corpi neri e marrone, ma ha a che fare con la conversione del mondo in un’immagine pietrificata, si diffonde a macchia d’olio, al di là della piantagione, si apre e sanguina in concetti come la giustizia, l’individuo, il cittadino… Perché anche quando gli schiavi in fuga hanno trovato libertà, hanno rapidamente scoperto che la libertà non poteva essere concepita al di fuori di un’architettura bianca e al di fuori delle strutture concettuali che la nutrivano. Persino la libertà era prigione.
Perché chi fuggiva e rivendicava la libertà, doveva rivendicare la cittadinanza che è un’altra delle forme della modernità bianca. Non parlerò delle riserve indiane, o di innumerevoli azioni compiute per creare un mondo apparentemente stabile, razionalizzato. Certamente le strategie coloniali ebbero effetti devastanti a partire dalle appropriazioni territoriali e da che le legittimavano ma per ora mi fermo qui: all’individuo, al soggetto “cittadino”, l’individuo, il feticcio della modernità. Ciò che la modernità ama al di sopra di ogni altra cosa è l’idea dell’individuo “sano”, rimosso dal e isolato dalle terre selvagge di là dagli steccati.»