Non uscire di casa per vedere i fiori.
Amico mio, rinuncia a quell’escursione.
Nel tuo corpo sono i fiori.
Un fiore ha mille petali.
Questo basta come luogo dove sedere.
Sedendo lì avrai una visione di bellezza
all’interno del corpo e fuori di esso, un giardino nel giardino. (Kabir)
Nella nostra cultura molto spesso sono i poeti e gli scrittori che più efficacemente ci offrono una descrizione di come viviamo, in questo caso di come, in generale, le persone si relazionano al proprio corpo.
James Joyce nel libro “Gente di Dublino – Un caso pietoso” ci offre questa folgorante descrizione:
Mr. Duffy viveva ad una certa distanza dal suo corpo, osservando ogni suo atto con dubbiose
occhiate di sbieco.
Questo vivere separati dal corpo, costantemente e quasi esclusivamente “solo nella testa”, persi e catturati dal vortice di pensieri, emozioni, giudizi, preoccupazioni, ricordi, fantasie, pianificazioni, questo non essere mai veramente in contatto, in amicizia, a nostro agio nel corpo mi sembra un tratto molto comune del nostro vivere. È abbastanza frequente che le persone si accorgano del proprio corpo solo quando hanno qualche esigenza fisiologica (fame, sete, evacuazione) o qualche dolore, e che per la maggior parte del tempo non siano veramente consapevoli della loro esperienza corporea.
Un altro scrittore, Edoardo Galeano, mette in luce molto bene le contraddizioni e i condizionamenti culturali a cui siamo soggetti:
La Chiesa dice: il corpo è una colpa.
La scienza dice: il corpo è una macchina.
La pubblicità dice: il corpo è una merce.
Il corpo dice: io sono una festa.
E ci offre anche una possibile soluzione a questi condizionamenti: vivere il corpo nel corpo, vivere il corpo nell’immediatezza sensoriale ci fa riscoprire che “il corpo è una festa”, cioè c’è una ricchezza di sensazioni tattili, una ricchezza sensoriale che possiamo usare nella vita ordinaria come anche nella nostra pratica contemplativa.
È interessante quindi chiedersi: che cosa è per me il corpo? Come considero il corpo? È il luogo della sofferenza, della perdizione, l’origine di tutti i mali, o piuttosto è la fonte del piacere e del benessere? È una macchina molto sofisticata, ma sempre e solo una macchina, oppure è un qualcosa di vivo, vitale, non separato dalla mente e dal mondo circostante? In che relazione sono con il corpo? Lo uso senza dargli molta importanza, oppure sono come uno schiavo del corpo? Mi accorgo di lui solo quando c’è qualche malattia o esigenza fisiologica, oppure lo conosco, lo abito tranquillamente e con agio, e ne sono costantemente consapevole?
Anche quando utilizziamo il nostro corpo, come ad esempio nello sport, nella danza o nel fitness, lo facciamo in un modo che non ci permette di sviluppare una reale conoscenza empatica e unitiva, una reale armonia. Il nostro corpo è come se fosse un oggetto, una macchina, in qualche modo separata da noi stessi, che deve produrre certe prestazioni e/o avere una certa forma esteriore: cerchiamo cioè di imporre al corpo certi canoni estetici senza chiederci se hanno senso oppure no, richiediamo al corpo certe prestazioni senza percepire se sono una cosa salutare e benefica oppure negativa e deleteria. Inoltre c’è un costante sforzo, una costante competizione sia con noi stessi che con gli altri: tutto questo aumenta la scissione e la “frizione” tra mente e corpo, impedisce lo sviluppo delle percezioni sottili e di una reale consapevolezza e sensibilità corporea.
Il fatto che, in generale, nel nostro contesto culturale, viviamo molto spesso separati dal corpo, non lo conosciamo veramente e non lo abitiamo in modo salutare e appropriato, non significa che debba essere per sempre così: è certamente possibile ritornare a prendere tranquillamente dimora nel corpo riconoscendo e apprezzando la nostra naturale sensibilità corporea e ciò riporta l’intero sistema mente-corpo in uno stato di equilibrio e benessere.
Negli ultimi decenni anche la ricerca scientifica ha riconosciuto l’importanza del corpo e della sensibilità corporea: concetti quali embodiment, embodied cognition, si sono sempre più sviluppati e ormai c’è un certo consenso sul fatto che il funzionamento della mente non possa essere compreso completamente senza fare riferimento al corpo fisico e all’ambiente. Ad esempio Daniel Siegel, il fondatore della Neurobiologia Interpersonale (Interpersonal Neurobiology), nel libro “Mappe per la mente”, descrive in questo modo i risultati delle recenti ricerche scientifiche:
Il corpo ha un ruolo fondamentale nel funzionamento della mente. Infatti, un aspetto essenziale della mente è il suo essere un processo incarnato, in-corpo-rato, e relazionale che regola i flussi di energia e informazione. …
La consapevolezza degli stati interni del corpo è un aspetto fondamentale dell’intelligenza emotiva e sociale. …
La capacità di essere consapevoli dei propri stati corporei in modo equilibrato è importante sia per la comprensione di se stessi sia per provare empatia e compassione verso gli altri.
Ci sono diversi metodi, diverse tradizioni che ci permettono familiarizzarci e riconciliarci nuovamente col corpo: ad esempio nella ricca tradizione contemplativa Buddhista, se consideriamo la pratica della Meditazione di Consapevolezza come esposta nel “Discorso sui Quattro Fondamenti della Consapevolezza” (Satipatthana Sutta), vediamo chiaramente l’importanza data alla consapevolezza corporea. In questo discorso il Buddha definisce quattro dimensioni della nostra esperienza attraverso le quali riconoscere e coltivare la consapevolezza stessa: il corpo, la tonalità affettiva o sensazione (piacevole, non piacevole, neutra), la mente e i contenuti mentali.
La dimensione corporea comprende una serie di pratiche, le più importanti delle quali sono la consapevolezza del respiro, la consapevolezza delle posizioni e delle attività del corpo, la consapevolezza delle parti e quella dei quattro elementi del corpo: senza entrare nel dettaglio di queste pratiche, ognuna delle quali richiederebbe uno spazio troppo ampio, le introduciamo molto brevemente.
In tutte le tradizioni sapienziali orientali il respiro è conosciuto e utilizzato ampiamente, sia nelle tecniche psico-fisiche più di carattere energetico, e sia nelle tecniche meditative: nel Buddhismo la consapevolezza del respiro è utilizzata in modo molto esteso, ed è un cammino completo in se stesso. In modo sintetico si può dire che è possibile utilizzare l’esperienza del respirare come punto di riferimento della nostra attenzione per ritrovare tranquillità e benessere e per familiarizzarci e riscoprire ciò che siamo più autenticamente.
Per quanto riguarda la consapevolezza delle posizioni e delle attività del corpo possiamo lasciare parlare direttamente le istruzioni del Buddha che mi sembrano auto esplicative:
POSIZIONI: quando cammina egli sa “io sto camminando”, quando è in piedi egli sa “io sono in piedi”, quando sta seduto egli sa “io sono seduto”, quando è disteso egli sa “io sono disteso”. ATTIVITÀ: egli è pienamente consapevole di ciò che sta facendo, quando va avanti e indietro, guarda avanti o indietro, piega e distende gli arti, indossa abiti e porta la ciotola, mangia, beve, mastica, assapora il cibo, defeca e orina, cammina, è in piedi, si siede, dorme, si sveglia, parla o rimane in silenzio
Anche la consapevolezza delle parti del corpo è una pratica molto comune in varie tradizioni: benché ne esistano molte forme e varianti essenzialmente consiste nel muovere la consapevolezza nelle varie parti del corpo in modo sistematico, percependo e apprezzando le sensazioni che sono presenti. Una volta che ci siamo stabiliti nel corpo attraverso la “porta” delle posizioni e delle attività, e dopo aver approfondito la nostra sensibilità corporea attraverso la consapevolezza delle parti, scopriamo naturalmente che ciò che chiamiamo corpo è come un fiume di sensazioni che continuamente scorrono, cioè impariamo a percepirlo come dimensione fluida, come spazio vivo e vitale, un campo di sensazioni tattili.
Via via che la pratica si approfondisce, avviene una naturale riconciliazione tra mente e corpo, svanisce la percezione del corpo come qualcosa di solido, freddo, meccanico, separato e si diventa coscienti della sua vitalità e continua mutevolezza. Duro \ morbido, ruvido \ liscio, umido \ secco, caldo \ freddo, rilassamento \ tensione, pesantezza \ leggerezza, vibrare, pulsare, pizzicare, punture di spillo, indolenzimenti, formicolio, ecc.: il “gioco” delle sensazioni corporee e il loro costante fluire si manifesta in modo sempre più chiaro. Proprio questo è quello che tradizionalmente viene chiamato consapevolezza dei quattro elementi: nella tradizione indiana i cinque elementi rappresentano le qualità della materia, e quindi l’esperienza immediata del corpo consiste in terra (duro \ morbido), acqua (umido \ secco), fuoco (caldo \ freddo), aria (movimento) che si manifestano nello spazio. Nelle sensazioni corporee c’è tutta la ricchezza, tutta la vitalità del corpo che continuamente vibra. Queste sensazioni sono sempre presenti solo che noi non siamo abituati a percepirle: con la pratica non le creiamo, ma semplicemente rieduchiamo e affiniamo la nostra capacità percettiva, riuscendo a cogliere questo aspetto del processo mente-corpo di cui non siamo abitualmente consapevoli.
Nella tradizione dello Yoga la presa di coscienza di sè attraverso il corpo e la riscoperta della naturale sensibilità e saggezza corporea avviene attraverso la pratica delle posizioni chiamate in sanscrito asana.
Che cosa è un’asana? La parola asana significa “posizione” e deriva dalla radice sanscrita as “restare, essere, sedere, stare in una particolare posizione”. (T.K.V. Desikachar – Yoga e religiosità)
Purtroppo qui in occidente, ma ormai non solo in occidente, si considera che la forma di un asana sia l’obiettivo, il fine ultimo della pratica; in qualche modo si crede che la forma possegga di per sè qualche potere occulto non ben definito; le posizioni vengono viste in modo separato, idealizzato, e si crede che automaticamente, meccanicamente abbiano un certo effetto. Anche se la forma che assume il corpo ha una sua importanza, questa non è qualcosa di separato dalla qualità del respiro e della nostra mente: l’atteggiamento interiore con cui approcciamo l’asana insieme alla qualità dell’attenzione mentre eseguiamo la posizione sono di vitale importanza.
Lo yoga non è una danza, e la forma esteriore non conta. Ciò che conta nel praticare un’asana è
l’esperienza che si vive in quel momento. (T.K.V. Desikachar – Yoga e religiosità)
Essenzialmente un asana è una posizione del corpo eseguita e mantenuta in modo statico e/o dinamico, nella quale riscopriamo una condizione di “essere a casa nel corpo”: una stato di stabilità e agio che non riguarda solo il corpo fisico, ma concerne la totalità del nostro essere. Il sistema mente-corpo è una totalità organica, vitale, inseparabile e nella pratica delle posizioni ricerchiamo e riscopriamo una esperienza che ne integra e riconcilia tutti i vari aspetti: forza e robustezza, flessibilità e scioltezza, ed una qualità di allineamento e armonia della struttura fisica non sono gli unici frutti che può e deve offrire una pratica appropriata. Essere in asana comprende un respiro agevole, piacevole, naturalmente lento, uniforme, profondo che stimola l’armonizzazione e l’espansione dell’energia vitale; include la percezione del corpo sottile attraverso il risveglio delle sensazioni tattili e la consapevolezza della sua fluidità, spaziosità e leggerezza; concerne un atteggiamento interiore di rispetto e appezzamento, di non competizione e di non conflitto, abbinato ad una attenzione continua, ma aperta, rilassata, non forzata; allora l’abituale dispersione mentale diminuisce e si può sperimentare calma e stabilità, chiarezza e presenza mentale.
I metodi che utilizziamo sono secondari: l’importante è riscoprire la dimensione fluida del corpo, percepire che il corpo e le sensazioni sono come acqua che fluisce nell’acqua; l’essenziale è tornare a riconoscere e apprezzare la ricchezza di sensazioni tattili sempre presenti nella spaziosità del corpo; quando abitiamo tranquillamente il corpo, in modo caldo, amichevole, empatico, senza competizione né conflitto, da una parte non siamo persi in pensieri ed emozioni ma siamo svegli e presenti, in contatto con noi stessi, e dall’altra possiamo riscoprire una condizione d’essere globale, una consapevolezza aperta e ricettiva, senza frammentazioni e separazioni, uno stato di benessere che è il nostro stato naturale.
Concludo con una citazione da “Il Profeta” del poeta Kahlil Gibran che vuole essere anche un augurio per la nostra pratica:
Il nostro corpo è l’arpa della nostra anima. Sta a noi trarne musiche armoniose o suoni confusi.
Pietro Thea