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by Jerry Diamanti

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La transizione, dalla frammentazione dei saperi dello scorso secolo, all’odierna visione integrata ed interdisciplinare della realtà, può permetterci di accedere più facilmente alla comprensione che tra i vari elementi che attraverso i sensi percepiamo come distinti,  c’è sempre una relazione.

Quando questo fenomeno di interconnessione è concepito in prospettiva vibrazionale, possiamo parlare di risonanza.

Essa concerne non solo un passaggio di energia da un sistema ad un altro, ma anche un trasferimento di informazioni. Connessioni sottili e istantanee che plasmano la forma della realtà che percepiamo e che attraverso l’attività sensoriale della fisiologia umana sono colte e veicolate nel flusso di energia elettrochimica che attraversa i nostri organismi prendendo anche la forma della corrente sinaptica – pensiero – di cui fa esperienza la nostra mente.

“E’ così che comunichiamo fra di noi in una relazione, attraverso la condivisione di flussi di energia e informazioni”. 1

Per risonanza somatica intendiamo qui l’insieme di messaggi corporei e trasmissioni preverbali  talvolta inconsce, che rappresentano parte rilevante della comunicazione umana. L’infinito flusso di dati che perviene a noi dai cinque sensi e dall’enterocezione, la percezione degli stimoli corporei interiori e viscerali.

La parola soma, che ai nostri giorni viene associata, in vari campi del sapere, al corpo, trae origine da radici sanscrite2 ormai per lo più remote. Nei  Veda, più di tremila anni fa, con questa espressione si faceva riferimento al succo ricavato da una pianta oggetto di offerta alle forze dell’universo, un potente strumento di connessione al sacro.

Questo articolo vuole essere uno stimolo per comprendere il valore della comunicazione corporea non verbale  all’interno della specie umana, la matrice somatica di numerose problematiche relazionali individuali che si ripercuotono poi in ambito sociale ed antropologico.

 

Homo Sapiens, una specie sociale: ricchezza evolutiva della relazione interpersonale

A differenza dei vertebrati più arcaici da un punto di vista filogenetico, nei mammiferi la nascita non rappresenta una transizione verso l’indipendenza. Inoltre, quando i piccoli della nostra specie, dopo i nove mesi di gestazione intrauterina  vengono alla luce, per rispondere ai propri bisogni primari, dipendono completamente dalla madre o dagli adulti competenti.

Il tempo che intercorre prima che i nostri cuccioli siano in grado di deambulare e maturare una completa indipendenza  è estremamente maggiore rispetto a quello di tutti gli altri esseri viventi. Questa peculiarità specifica  è legata sia alle caratteristiche anatomiche e fisiologiche dei neonati, sia al valore evoluzionistico della relazione d’attaccamento espresso in noi dalla saggezza della natura.

Il rapporto sociale, l’incontro e il contatto con l’altro assumono nella nostra specie il più alto valore mai espresso nella scala evoluzionistica: poichè le caratteristiche strutturali e comportamentali delle altre specie sembrano infatti essersi sviluppate nei millenni per permettere una più agevole sopravvivenza, anche nell’uomo il lungo periodo di sviluppo accanto agli adulti sembrerebbe rivestire  un ruolo realmente fondamentale.

Nel rapporto così lungo rispetto alle altre specie, del bambino con la madre, forgiamo le nostre capacità di  essere visti, ascoltati, compresi, sentire fiducia, compassione, affetto, amore incondizionato, riuscire a comunicare, interpretare gli stati d’animo degli altri ed autoregolare i nostri 3 .

Nella diade madre neonato, in quella prosecuzione dell’unione vissuta nel grembo che si sviluppa poi in una miriade di movimenti sincronizzati e nell’ attenzione condivisa, oggi denominata intersoggettività, c’è l’originaria gemmazione dei nostri circuiti neurali e indubbiamente, il seme fertile della facoltà umana profonda di percepire l’altro, della risonanza somatica, dell’empatia interpersonale che caratterizzerà  la nostra intera esistenza.

Succesivamente, durante lo sviluppo, nel momento in cui i circuiti cerebrali cognitivi inizieranno a regolare i nuclei del tronco encefalico che influenzano il sistema nervoso autonomo, il bambino  diverrà meno legato agli adulti che se ne sono presi cura per regolare i suoi stati emotivi. Quando si troverà a vivere momenti di frustrazione o rabbia potrà tornare anche da solo a stati di calma.  Ma sarà sempre attraverso l’interazione sociale con gli altri che la gestione degli stati attivati del sistema nervoso e delle emozioni sarà facilitata.

“Per gli esseri umani, la maturazione non porta a una totale indipendenza dagli altri, ma permette lo sviluppo delle capacità necessarie per funzionare indipendentemente dagli altri per brevi periodi di tempo. Inoltre nella misura in cui si affrancano dai genitori, cercano altre figure di riferimento (amici, partner) con cui formare diadi in cui si attiva una regolazione simbiotica”.4

In questo senso i più recenti studi di psicofisiologia sembrano confermare la presenza di una continuità tra processi neurofisiologici e psicologici. La presenza di neuroni a specchio5 in varie arie del nostro cervello testimonia la presenza di un sistema di risonanza particolarmente affinato nel regolare la comprensione delle gestualità, delle posture e degli stati emozionali interpersonali.

Funzioni vitali quali la respirazione, il battito cardiaco e la neurocezione, la percezione della sicurezza dell’ambiente, sono interrelate e profondamente influenzate dalla capacità di incontrare contatto umano.  Se per la nostra specie è così importante la relazione interpersonale , quali sono state le spinte adattative che hanno influenzato la nostra differenziazione rispetto alle altre forme di vita sul pianeta?

 

Dalla predazione nella savana, alla vita nelle metropoli

Circa 10 milioni di anni fa, la formazione di una barriera geologica lunga seimila chilometri, la Great Rift Valley, ostacolando le perturbazioni atlantiche, portò ad un progressivo inaridimento dei territori più orientali del continente africano. Savane e praterie presero il posto delle immense foreste pluviali, attraenti spazi aperti ricchi di cibo e popolati da grandi predatori divennero l’habitat  chiave degli adattamenti fisiologici tipici della nostra specie. Oltre ad assumere la postura eretta e l’ andamento bipede, i nostri antenati originari delle radure africane svilupparono numerosi  cambiamenti neuro anatomici e nuove importanti funzioni comportamentali.

In aggiunta al riflesso di orientamento già presente nei rettili, per l’uomo come per gli altri mammiferi fu possibile mettere in atto anche risposte volontarie6:  un’attenzione prolungata  per cogliere dettagli necessari all’elaborazione delle informazioni vitali come le minime modificazioni delle espressioni facciali, i movimenti muscolari, le posture e le vocalizzazioni, utili per incoraggiare la comunicazione interpersonale in funzione della sopravvivenza.

“Il fatto che un branco di impala pascoli, comunichi e fugga come un corpo solo è in parte dovuto alle informazioni aggiuntive fornite dal cervello limbico. Oltre alla loro reazione istintiva di fuggire, gli impala hanno conservato una comprensione della maggiore possibilità di sopravvivenza in quanto gruppo, cioè i giovani impala cercano di ricongiungersi al gruppo quando questo è minacciato.”7

L’uomo odierno ha mantenuto inconsciamente il profondo valore esistenziale della relazione tra i componenti della sua specie, ma come tutti gli altri mammiferi sembra anche ampiamente influenzato dalle strutture limbiche subcorticali. Infatti anche nelle circostanze di vita abituali in una città moderna ,“indipendentemente dal modello di attaccamento o dalla sua dipendenza da costrutti cognitivi, affettivi, comportamentali o biologici, gli elementi che determinano la qualità dell’interazione sono correlati al senso di sicurezza percepita”.8

Che cosa influenza  il coinvolgimento sociale dell’individuo? Come fa il sistema nervoso in base ai segnali ricevuti da altri individui a percepire il contesto ambientale come sicuro o pericoloso?  Perché un neonato si orienta e vocalizza dolcemente verso i genitori mentre distoglie lo sguardo o piange se un estraneo si avvicina?

Le tecniche di diagnostica per immagini oggi documentano che un’area specifica nel nostro cervello, la zona denominata corteccia temporale 9, riceve segnali dall’ambiente legati ai movimenti, le vocalizzazioni e le mimiche facciali10 degli individui intorno a noi.  Emanazioni fisiche, vibrazionali ed energetiche, messaggi preverbali e sottili risonanze somatiche informano le aree limbiche attivando o inibendo la messa in atto di strategie di difesa molto prima del sopraggiungere dei pensieri e dei successivi costrutti cognitivi.

 

Panorami umani, storie di un passeggero della vita

Da quando non mi identifico più solo con gli impulsi razionali che attraversano la mente, anche le esperienze che avvengono nell’ambiente intorno a me hanno assunto una diversa tonalità, un altro valore…

La sorpresa mi coglie, talvolta, nel percepire che sto osservando ciò che avviene in me quando entro in un locale pubblico o uno spazio condiviso, come varia il flusso dell’energia che incarno  quando incontro la qualità di uno sguardo, quali emozioni affiorano e se generano oppure no un flusso di pensieri.

Di sera spesso, quando sono  in treno e mi accingo a tornare a casa nei boschi dopo una giornata di lavoro in città, rimango curioso, scelgo con cura dove sedermi in base all’umore che sento nello scompartimento.

Un gioco, un’esperienza per verificare in quel momento  ciò di cui il mio sistema ha realmente bisogno… O semplicemente con quali schemi di risposta reagisce agli stimoli che incontra.

Ad esempio come risponde  l’intero organismo se siedo al fianco di una coppia di anziani stravaccati sui sedili che mangiano e ridono allegramente?

E’ possibile ipotizzare che il coinvolgimento sociale e la convivialità percepiti, all’inizio possano  generare un rilassamento immediato della struttura neuromuscolare, le articolazioni potrebbero  mollare un po’ il controllo e permettere al peso del mio corpo di essere sostenuto maggiormente dal sedile, assecondando naturalmente la forza di gravità terrestre.  Se i suoni delle risate e il linguaggio corporeo degli anziani non sono disturbati da altro, potrebbero abbassare i miei sistemi difensivi e stimolare l’attività del nervo vago nella sua ramificazione ventrale. Questo stadio energetico del sistema potrebbe far affiorare una sensazione di benessere diffuso, aumentare leggermente la mia salivazione, rilassare i visceri sotto al diaframma, modulare il battito cardiaco e lasciare arrivare alla mente immagini riposanti o pensieri non invasivi.

Ma come cambierebbero poi la tensione muscolare e lo stato emotivo interiore se la mia attenzione fosse in modo subitaneo  attratta da un uomo dalla voce cupa con sguardo accigliato che poco lontano da noi ci osserva con fare minaccioso?

Anche in questo caso potremmo prevedere qualcosa che reagisce allo stimolo visivo e coinvolge l’intera esperienza umana incarnata: il mio collo potrebbe irrigidirsi leggermente seguendo l’impulso biologico di orientarsi, gli occhi potrebbero aver bisogno di focalizzarsi sull’uomo per leggerne attentamente la mimica facciale e coglierne la tensione posturale percependo, grazie ai circuiti limbici, nel giro di pochi istanti la reale pericolosità dell’ambiente. Solo dopo l’immediata risposta neuromotoria creata dagli impulsi di sopravvivenza orchestrati dal sistema nervoso autonomo, qualche frammento di secondo più tardi, la neocorteccia tenterà di organizzare l’esperienza.

Il signore che ha attratto la mia attenzione forse sarà solo preso dai suoi pensieri, poco presente o completamente dissociato dal suo corpo e dalla comunicazione non verbale che sta esprimendo. In alcuni casi di cui tratteremo in seguito la sua mimica facciale potrebbe essere addirittura quasi bloccata in quello stato o essere incapace di manifestare emozioni empatiche con gli altri.

Qui e ora, oltre le eredità  transgenerazionali 

La nostra cultura, il nostro modo di concepire il mondo arrivano spesso da molto lontano.

Dalla qualità del contatto epidermico con cui siamo stati toccati, dall’intensità degli sguardi che abbiamo incontrato, dalle posture, dai toni di voce, dalle espressioni facciali, dalla capacità di esprimere l’intera varietà degli stati emotivi attraverso i muscoli del viso dei nostri genitori o degli adulti che si sono presi cura di noi in tenera età, abbiamo ricevuto un potente archetipo somatico, la matrice originaria attraverso la quale hanno preso forma, dopo i primi sei mesi di vita, il sistema vagale ventrale e la nostra capacità di ingaggio e coinvolgimento sociale.

Così come le relazioni genitoriali d’affetto ed equilibrio possono aver generato in noi la capacità di orientarci nell’instaurare rapporti di fiducia e reciprocità, gli stati dell’attaccamento11 che rievocano insicurezza, ansia, ambivalenza, ritiro, disorganizzazione e dissociazione sono radicati fisiologicamente nel corpo12 con pattern fissati di azione13 e potrebbero generare  un dolore relazionale lungo l’arco dell’intera vita14 e oltre, attraverso la trasmissione transgenerazionale del trauma.15

Una frequente o costante attivazione del nervo vago nelle sue primitive componenti dorsali può generare assenza di espressione facciale, senso di passività e isolamento, incapacità di entrare in contatto con se stessi e con gli altri creando relazioni fortemente disadattative. Numerose componenti  caratteriali  riscontrabili nella società attuale potrebbero essere dovute ad esperienze soprafacenti vissute dalla  comunità umana nei secoli scorsi e possono trovare appropriate spiegazioni scientifiche nella teoria polivagale esposta da Stephen Porges.

Volti inespressivi o prevalentemente inclini a mimiche indicanti chiusura, possono essere manifestazioni di strutture nervose a forte componente dorsale.

Caratteri e personalità costruiti su sistemi nervosi  in preda ai circuiti limbici di lotta e fuga possono invece entrare facilmente in stati di perenne conflitto e insoddisfazione,  riuscendo con difficoltà a ricevere le informazioni somatiche necessarie per l’autoregolazione degli stati emotivi.

In società tecnologiche poco incentrate sul contatto umano, ormai più avvezze agli strumenti digitali più che agli sguardi per la mediazione, volte più ai ritmi della produzione rispetto che ai cicli della vita, potremmo incontrare esseri umani con strutture neurali poco resilienti. Sguardi che non si incontrano con affetto o curiosità possono generare un senso generale di isolamento, visi scavati dalla competizione, non più aperti alla meraviglia del sorriso, possono comportare uno stato diffuso di allarme e tensione permanente.

Nonostante questo, oggi sappiamo con chiarezza che non siamo prigionieri del passato: facoltà naturali umane come la neuroplasticità e l’esistenza stessa nella sua sostanza, nelle sue imprevedibili forme e possibilità, concedono a ognuno di noi la possibilità trasformare gli imprinting parentali e culturali che abbiamo ricevuto.

Questo avviene tanto più facilmente quanto più riusciamo a sintonizzarci tra noi16, a relazionarci in modo sincero ed autentico, incontrando nell’altro comprensione e compassione.

Nella condivisione,da ogni sorriso spontaneo che sorge da dentro, la vita si manifesta nella sua grandezza.

Jerry Diamanti

leviedolci@gmail.com

www.equilibrinaturali.net

 

 

1Siegel D.J. , “Mappe per la mente. Guida alla neurobiologia interpersonale” ,2014, Cortina Editore

2« Noi abbiamo bevuto il Soma e siamo divenuti immortali. Noi abbiamo raggiunto la luce, abbiamo incontrato gli Dei. Che cosa può fare a noi la malvagità dell’uomo mortale o la sua malevolenza, o Immortale? » “Ṛgveda”, VIII-48,3

3Bowlby J.”A secure base: Parent-Child attachment and healthy human development”,1988, New York Basic Books

4Porges S., Furman A., “Lo sviluppo del sistema nervoso autonomo nei primi anni di vita come piattaforma neurale del comportamento sociale”, in “La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione”, 2014, Fioriti Editore

5 Rizzolatti G., Sinigaglia Cg., “So quel che fai, Il cervello che agisce e i neuroni specchio”, 2006, R.Cortina Editore,  Ramachandran V.S., “ Mirror neurons and imitation learning as the driving force behind ‘the great leap forward’ in human evolution”, 2000, Edge (www.edge.org)

6Else PL, Hulbert AJ, “Comparison of the ‘mammal machine’ and the ‘reptile machime’: Energy production”, 1981, American journal of Physiology, 240, R3-R9

7Levine P., “Waking the tiger”, 1997 North Atlantic Books

8Porges S., ”L’ingaggio sociale e l’attaccamento: una prospettiva filogenetica” in “La teoria polivagale. Fondamenti neurofisiologici delle emozioni, dell’attaccamento, della comunicazione e dell’autoregolazione”, 2014, Fioriti Editore

9 Queste aree del cervello sono denominate in neuroscienze giro fusiforme (FG) e solco temporale superiore (STS)

10Adolphs R.,”Trust in the brain”, Nature neuroscience,5, 92-193

11Ardino V., “Presentazione della I° edizione italiana di ’La teoria polivagale’ di S.Porges”,2014, Fioriti Editore

12S.Porges, “The polyvagal theory. New insights into adaptive reactions of the autonomic nervous system”, 2009, Cleveland clinic journal of medicine, 76 Suppl.2

13Llinas R, “The I of the vortex”, 2001 Massachussets Institute of Technology

14Main M, Hesse, “Disorganized infant, child, and adult attachment collapse in behavioral and attentional strategies”, 2000, Journal of the American Psychoanalytic Association

15Danieli Y, “International handbook of multigenerational legacies of trauma”. 1998, Plenum series on stress and coping.

16Schore AN, “Affect regulation and the repair of the Self”, 2003 Norton

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    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

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    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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    Salva

  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

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