Categories: n9

by Jerry Diamanti

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Tu che risplendi
Nelle ossa del firmamento

Le tue radici si perdono
Nel vuoto della paura

Il tuo sguardo feroce
Fulmina d’incanto

Proteggi il sangue
La sua saggezza
La sua potenza.

Siddhi è un termine sanscrito, utilizzato nell’ambito dell’Induismo e del Buddhismo tantrico, che può essere grossolanamente tradotto in “facoltà spirituale” o “abilità psichica”. Tale “facoltà” viene acquisita attraverso pratiche yogiche corrette e costanti. Le siddhi femminili, a differenza delle siddhi yogiche classiche, danno il benvenuto all’energia e al potere che si muovono in te attraverso il corpo di donna, facendone vibrare la vitalità nei gesti naturali del quotidiano, che permettono la sopravvivenza e la salute della nostra specie. Seppur esse possano comparire spontaneamente in alcuni momenti chiave della vita di una donna, si manifestano nella più completa meraviglia ed autenticità solo se la loro importanza è compresa, sostenuta ed onorata a livello di consapevolezza personale e comunitaria.

Le siddhi femminili sono:

  • Siddhi del menarca che apre al potenziale procreativo della sessualità femminile

  • Siddhi della gravidanza

  • Siddhi del dare alla luce la vita

  • Siddhi della lattazione

  • Siddhi del climaterio e della menopausa

Preparare il corpo, lungo l’arco di tutta la vita, alla Siddhi della Menopausa è di fondamentale importanza. L’attività fisica, lo stato emotivo/spirituale e lo stile alimentare hanno bisogno di variare nelle diverse età, anche a fronte dei cambiamenti ormonali che vivi. E’ sottovalutata, ma estremamente incisiva, la qualità del riposo durante l’arco dell’esistenza di una donna. Tante volte viene scambiato per disturbo ormonale da peri o menopausa, ciò che in realtà è un esaurimento del sistema corpo-mente, che per anni e anni ha tenuto il piede sull’acceleratore perché ritenuta eccellente nell’essere multi-tasking. Ma essere in grado di attivare la modalità multi-tasking non vuol dire che sia necessario farlo continuamente. Hai bisogno di riposare: Peri e Meno…Pausa…il corpo chiede semplicemente una Pausa! Tutte le pratiche consigliate sono adatte ad ogni momento della vita della donna: l’alimentazione, il  movimento e il respiro, il riposo e il rilassamento, la voce e la danza sono strumenti utili, ad ogni età, per far fluire energia che si rinnova e, come tali, sono strumenti auspicabili da integrare nel quotidiano sia nella gestione di eventuali fastidi fisici, sia nell’elaborazione di fenomeni emotivi e relazionali.

La donna che entra in menopausa nel pieno del suo potenziale, proprio per sua natura, può diventare sacerdotessa, sciamana, guaritrice, veggente… Ella è in costante contatto con la dimensione del mondo interiore, che è accessibile alle donne mestruali solo una volta la mese. Questa donna è nel percorso del “Recupero dell’Anima” dei sette riti di passaggio a cui può portare presenza e pace. Nel suo viaggio mistico è invitata a “chiamare la barca” che la trasporterà nella Terra della sua anima per recuperare il suo Essere.

 

Le tradizioni ancestrali del Nord Europa hanno in passato dato alla luce i “Sette Riti di Passaggio della Menopausa” che troverete più avanti in questo articolo insieme alla saggezza delle “Mahavidya”1, un potente sistema vibrazionale della tradizione yogica indiana. Queste ultime sono archetipi della Shakti che possono diventare muse ispiratrici ed accompagnarci per mano in questo processo iniziatico: le alte sacerdotesse che svelano le verità più intime. Tutte manifestazioni di un’unica Dea che non è solo conoscenza e bellezza, ma anche potere e gioia.

Le Dasha Mahavidya sono dieci: così come la Luna ha la sua fase crescente, Tara, Tripura Sundari e Bhuvaneshvari possono riferirsi alle prime fasi dell’esistenza della donna in cui si possano incarnare gli archetipi di figlia, vergine, sorella di sangue, amante e madre (vedi articolo sugli archetipi del ciclo mestruale).

Le altre sette, che sono quelle che ci interessano nei Riti di Passaggio della MenopausaKali, Bhairavi, Chinnamasta, Dhumavati, Bagalamuki, Matangi e Kamalatmika – possono essere assimilate alla fase calante della luna: levatrice, amazzone, matriarca, sacerdotessa, strega, megera e donna oscura.

Per “calante” non s’intende decadente, ci si riferisce invece all’abilità umana di lasciare andare e quindi di esser disponibili, non solo al piano materiale personale, ma anche a quello comunitario e spirituale.

Come un albero, dopo aver dato i suoi frutti, si preparerà a raccogliere le energie per l’autunno e l’inverno, anche la donna, dopo aver incarnato l’archetipo della Madre, può prepararsi in tal senso a interiorizzare il proprio autunno e il proprio inverno. Di sovente, le donne che diventano madri, difficilmente riescono a staccarsi da questo ruolo: anche quando non è più necessario, continuano a portare l’energia prevalentemente verso l’esterno prendendosi cura degli altri e dei loro progetti non lasciando alle altre la possibilità di esplorare e di crearsi le proprie risorse. Penso possa essere importante non superare il punto di non ritorno e ritrovarsi quindi prosciugate, ma cominciare a prendersi cura di sé nei giusti tempi, così da poter creare lo spazio vuoto in sé per poter accogliere ciò che nella medicina cinese viene definita la “seconda primavera”.

Il campo di coscienza che ci si può presentare nell’arco di tempo tra la fase creativa dell’archetipo della Madre e fino al momento della nostra morte, è uno spazio incredibilmente fertile per potersi dedicare gradualmente alle Mahavidya che danzano fra l’ignoto e il silenzio. Le loro forme, se incontrate senza consapevolezza possono generare turbamento, infatti non sono banalmente piacevoli, neppure nella loro rappresentazione iconografica. Infatti la loro funzione consiste nel provocare e risvegliare la mente. Queste frequenze non mirano a consolarci o ispirarci, mirano piuttosto a promuovere l’impulso della ricerca profonda attraverso la loro forma ambigua, contraddittoria e paradossale.

Proprio per questo le Mahavidya e i sette riti di passaggio possono essere dei fulcri importanti per l’iniziazione spontanea alla Siddhi della Menopausa che prima o poi toccherà con i suoi doni tutte le donne.

 

Primo rito – Evoca la barca con il potere del fulmine di Kali

Nell’essere una donna in perimenopausa puoi tendere a ritirarti dal mondo esterno per viaggiare verso le tue profondità che riflettono le profondità universali. Tante donne, nel corso degli anni, hanno dimenticato l’esistenza di questa dimensione per via della fretta e dei tempi dettati dal mondo esterno. Nebbia mentale ed insonnia possono essere i primi sintomi delle donne che rievocano la barca che le porterà via dalla vita ordinaria. Con il simbolo del fulmine, Kali è la percezione abbagliante della verità che nega ogni forma d’illusione e fa apparire buio il mondo esterno. Ma fa anche apparire noi stesse scure al mondo esterno mentre ci trasporta dal regno ombroso della realtà visibile all’invisibile luce universale. A questo scopo, Kali stessa, se ci arrendiamo alla sua forza, crea l’energia necessaria alla trasformazione che poi porta a compimento.

Il desiderio di vivere per sempre gioviani e invincibili potrebbe riflettere il nostro essere eterno: in sanscrito lo stato definito  Sat.

Per attingere a Sat, che può manifestarsi nella frequenza di Kali (in quanto potere attivo che proviene dal Sovrano del Tempo Shiva), la nostra natura mortale potrebbe essere sacrificata, resa sacra. Ecco perché Kali appare spaventosa e distruttiva alla vista ordinaria. Eppure, prima o poi, tutti faremo esperienza della morte, e la Meno – Pausa, come la fase del sangue durante il ciclo mestruale, sono una sadhana  (pratica spirituale) che ci preparano a tale momento. Da questo momento, possiamo praticare il lasciare andare i nostri attaccamenti, inclusi la mente e il corpo.

Secondo rito – Apri le nebbie con il calore di Bhairavi

Andando sempre più in profondità nel mondo sotterraneo, da non poter vedere più la superficie, si raggiunge un luogo sacro nel quale si procreano idee, si ascoltano le intuizioni e si parla con i mondi. In questa fase puoi lasciar andare il controllo ed entrare nella tua realtà interiore che potrebbe manifestarsi come una grande e confusa nebbia. Potrebbe emergere la paura d’invecchiare e potresti scegliere di nasconderti dal giudizio della società. Con il calore (tejas ) di Bhairavi puoi bruciare e distruggere le illusioni dell’esistenza egocentrica, infatti ella è la forma ardente della Dea, è la donna in qualità di guerriera, una guerriera del reame invisibile, che agevola un’aspirazione intensa, consuma ogni interesse e attaccamento secondario. Talvolta quando siamo veramente interessate a qualcosa, perdiamo naturalmente ogni tipo di attrazione per tutte le altre cose. Bhairavi si riferisce al profondo interesse nella vita spirituale che ci porta a non voler più nient’altro… Con il suo triplice fuoco (fuoco, fulmine e sole), Bhairavi ti può agevolare la resa al passo successivo dei riti di passaggio, il fuoco.

Terzo rito – L’iniziazione oltre la mente, con il corpo senza testa di Chinnamasta

Nel momento in cui ti trovi avvolta dalle nebbie della PeriMenoPausa, potrebbe aumentare il livello di ansia. I drammatici sbalzi di umore, il fuoco che pervade il corpo, l’esaurimento, la sudorazione notturna, tutti i vecchi schemi del sistema biologico si stanno frantumando e potresti sentire il desiderio di voler saltare fuori dalla pelle… Tutto spinge verso il proseguimento del viaggio.
Renderti disponibile può essere l’unica scelta, attraversare le ondate di calore del fuoco che brucia e trasformarti pian piano in qualcosa di nuovo. Chinnamasta, la cui immagine è un corpo con la testa mozzata, è la frequenza della Dea che ci fa tagliare la nostra stessa testa, ossia dissolvere la mente nella pura consapevolezza. Perdere la testa per qualcosa è espressione comune per il totale assorbimento in qualcosa, al punto da arrivare a perdere il senso ordinario della realtà. Mentre il fuoco brucia in te, non c’è nient’altro che quello, c’è un “sacrificio” della mente: l’abbandono di quel meccanismo del pensiero basato sull’immagine di sé e sul concetto “io sono il corpo”.

Quarto rito – La ricerca della beatitudine nel fumo di Dhumavati

L’introspezione vera è iniziata, s’identificano gli “errori” del passato, tutto viene messo a rassegna, le abitudini, le relazioni e gli obiettivi. Ancora avvolta nelle nebbie, la vita viene messa in discussione.
Si cerca la libertà, il dolore viene rilasciato, si apre una nuova comunicazione e si esplora la verità. Nella nebbia delle memorie, ci si connette con la vita che è stata e tutto viene ricordato e onorato. Dopodichè la nebbia assume l’aspetto del fumo, il fumo di Dhumavati, la più anziana tra le Shakti, lo spirito della nonna che si pone alle spalle delle altre Dee come guida ancestrale. Dhuma significa fumo e la sua natura è di oscuramento: oscurare qualcosa implica l’illuminazione di qualcos’altro. Una volta che hai riconosciuto e onorato il passato, con l’oscuramento e la copertura di ciò che è noto, Dhumavati svela la profondità dell’ignoto e del non-manifesto. Dhumavati rappresenta i poteri “negativi” della vita: delusione, frustrazione, umiliazione, sconfitta, scomodità, perdita, dispiacere, solitudine… Tutte esperienze che tendono a destabilizzare la mente ordinaria, ma che per la yogini sono dei portali. La manifestazione di Dhumavati in noi potrebbe non essere piacevole, ma onorare queste esperienze “negative” come la saggezza dell’antica Dea ci aiuta a trasmutarle in energia di piacere che inizia la donna a stare in modo nuovo in un “nuovo” corpo.

Quinto rito – Bagno nelle acque di guarigione con il silenzio di Bagalamukhi

Le acque si purificano e si entra nel flusso della saggezza. La sponda dell’altra riva comincia ad essere visibile. Ora tutto può essere comunicato, lasciando che le persone attorno riscoprano una nuova donna. Vi è una connessione profonda con le meraviglie del proprio mondo interiore che ti porta a riconoscere la preziosità della solitudine che dà la possibilità di far emergere la conoscenza della verità. Bagalamukhi conferisce il dono di una parola che lascia in silenzio, col fiato sospeso. Questa frequenza di Shakti spezza l’ipnosi offerta dagli oggetti e dalle identità esterne tramite il potere ipnotico della conoscenza spirituale che ci fa perdere interesse nei confronti dell’idea stessa di una realtà esterna. “Chi sono io?” impegnare la mente su questa domanda (non per forza dandole una risposta) pone fine a tutti i pensieri vaganti, facendo apparire totalmente prive d’importanza ogni altra domanda e forma di ricerca.

Sesto rito – L’eternità della saggezza del sangue con la non-convenzione di Matangi

La barca è sulla sponda della menopausa, da sciamana avanzi su un terreno stabile e inizi a sentire la tua radice come forza interiore. Il tuo ultimo flusso lunare ha già avuto luogo, l’aumento della chiarezza si fa sempre più vivido, la visione accade silenziosamente e ti rende sempre più saggia. I confini del tuo spazio allargato sono chiari, stabili e potenti. La saggezza del sangue supera la ciclicità e scorrerà dentro di te per sempre, nutrendoti di un magnetismo magico che può essere condiviso in una creatività oltre i confini del convenzionale. Matangi vuol dire “opinione” oppure, “selvaggia”. Matangi è una fuori-casta ben radicata nel suo sé connesso all’universo, un’artista che sfida le norme sociali. La Dea Matangi dimora oltre il velo della parola che tende a sviare il significato delle cose: i numeri, i titoli, le descrizioni e le spiegazioni diventano ostacoli al vero contatto con l’anima delle cose. La vibrazione di Matangi danza fra queste forme articolate del linguaggio e ci consente di usarle bene, oltre che di abbandonarle e quindi, eventualmente, trascendere il mondo umano.

Purtroppo alle persone che considerano solo il mondo materiale, gli esseri realizzati talvolta possono sembrare dei poveretti, dei pazzi, o comunque degli individui insoliti e strani…

Settimo rito – La sciamana è riconosciuta nel loto di Kamalatmika

Riemergi con sicurezza, saggezza e raggiungi un cerchio di sciamane che ti riconoscono e ti rispettano come forza vitale attiva nella trasformazione del mondo. Adesso sai come incanalare il nuovo senso di te, nel viaggio hai acquistato chiarezza, le fiamme si sono trasformate in passione pura. Con la frequenza di Kamalatmika, riesci a dirigere l’energia in tutte le direzioni, hai potere sulle forme esterne della bellezza, non solo come forme di piacere, ma come manifestazioni della natura divina nella sfera dell’azione e della creazione; parte dell’incarnazione e adorazione di Kamala, consiste nella piena incarnazione dei poteri della percezione interiore, che ci consentono di apprezzare la straordinaria e semplice bellezza della natura e della Terra. La sua vibrazione trasmette che la ricchezza non è quanto possediamo, ma è quanto siamo in grado di dare che appaga ogni nostra ricerca, sia interna che esterna. E non parliamo di un “dare” teorico, di una buona azione, ma un’azione/non azione che nasce da uno spazio vuoto emerso dal viaggio iniziatico della Meno-Pausa. Kamala è l’inizio e la fine della nostra adorazione della Dea.

A livello globale esistono donne già grandi di età che noi qui chiamiamo sagge. Portano avanti progetti ecologici ed umanitari restando connesse con la Terra e con i cicli dell’universo. Sono Donne connesse a se stesse e capaci di spendersi per il bene di altre donne. Sono donne il cui esempio e contributo è importante. Essere in menopausa non è una punizione, potrebbe invece essere il tuo nuovo spazio di rinascita.

 

Prepariamoci già da oggi ad essere una di loro.

 

In dono per noi donne che viviamo in Occidente, canti e condivisioni di un cerchio di donne anziane nel selvaggio nord est dell’India.

Nadeshwari Joythimayananda

www.nadeshwari.com

info@nadeshwari.com

1[…] Le Dieci Forme della Dea non operano soltanto a livello di insegnamento superficiale o intellettuale; operano soprattutto a sfidarci a guardare più in profondità. Come grandi forze cosmiche, le loro energie possono essere difficili da sopportare, e i modi estremi con cui a volte si manifestano ed esprimono, possono farci sobbalzare. (David Frawley, Tantra Yoga. Ed Il Punto d’Incontro)

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    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

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    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

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    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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