September 18, 2021

(Italiano) La Pandemia emozionale (e possibili soluzioni)

(Italiano) La Pandemia emozionale (e possibili soluzioni)

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Categories: n12

by Jerry Diamanti

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Fatti non foste per viver  come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza“. Dante Alighieri

Sinceramente non pensavo saremmo arrivati a questo punto, le contraddizioni in seno alla società stanno esplodendo, grazie a questa pandemia. I professionisti sanitari, quali io sono in quanto medico da quarant’anni, sono obbligati a vaccinarsi pena la sospensione dall’ordine, presto l’obbligo verrà esteso a un numero sempre maggiore di categorie.

Ogni osservatore attento può facilmente riconoscere che ci sono due posizioni e diverse sfumature tra le quali alcune estreme e perverse.

Lasciando fuori le teste e le code, come per fare la buona grappa, cioè trascurando per il momento gli scientisti, scettici ad ogni costo, i negazionisti dogmatici e approssimativi per vocazione, possiamo ridurci ad individuare chi, per diversi motivi vuole vaccinarsi, i più e chi per ragioni spesso opposte non lo vuole. Il buon senso direbbe che le due fazioni dovrebbero imparare a rispettarsi a vicenda, in un mondo post-moderno dominato dal pensiero post-razionale. E invece no.

Questa mia argomentazione vuole illustrare l’ipotesi di una pandemia ben più grave che colpisce l’essere umano, tanto più grave quanto non vista: la pandemia emotiva.

Devo ringraziare prima di tutto i parlamentari, il governo, i tecnici del comitato scientifico, l’Istituto Superiore di Sanità, la comunità scientifica, i virologi presenzialisti e da ultimo la regione Lombardia, per avermi inviato l’intimazione a vaccinarmi, favorendo così le mie riflessioni e successive intuizioni.

È probabile che il pensiero dominante vincerà la pandemia a breve, ma a mio avviso avrà vinto solo una battaglia, la battaglia di Pirro e porterà invece l’attuale società razionalista e materialista, dritta, dritta verso una cocente sconfitta. Stiamo, a mio avviso, perdendo l’opportunità del risveglio, la pandemia non vista ha dato in pasto il virus per continuare indisturbata e traghettare subdolamente l’umanità verso il cosiddetto transumanesimo.

Uso qui il termine non nella concezione classica coniata da Teillard de Chardin e ripresa da Julian Huxley per indicare lo sviluppo di nuove potenzialità umane, ma nell’accezione di Robin Hanson secondo il quale le nuove tecnologie probabilmente cambieranno il mondo nel prossimo secolo a tal punto che i nostri discendenti perderanno molti degli aspetti che oggi consideriamo umani.

 

Manifesto contro il Transumanesimo

Riporto qui di seguito un estratto del manifesto redatto da emeriti scienziati, si veda in calce i loro nomi e qualifiche:

“Il culto del transumanesimo perseguita l’Europa e il resto del nostro pianeta.

I suoi sacerdoti e famigli vivono in alcuni dei più importanti laboratori di ricerca, università, grandi corporazioni e istituzioni politiche.

Il transumanesimo è una prospettiva negativa sulla natura umana, unita a una visione tecnico-scientifica che immagina il “come” dovremmo migliorare. Questa prospettiva è sostenuta da una credenza superstiziosa nella scienza come salvifica tout court e da un astratto disprezzo per la nostra natura umana: la nostra fragilità, la nostra mortalità, la nostra senzienza, la nostra auto-consapevolezza e il nostro senso incarnato di “chi” siamo (distinto da ‘cosa’ siamo). 

I transumanisti coniugano l’emotività con l’irrazionalità, il potenziale dormiente con la stupidità e la disabilità con la discrepanza. E come risultato di questo confuso approccio promuovono e spingono verso un futuro che ciecamente annuncia reti onnipresenti, geneticamente ottimizzate, guidate da computer, in cui esseri umani presumibilmente fallibili sono manipolati e potenziati da un macchinario invisibile, presumibilmente controllabile e ottimizzabile, guidati da robot intesi quali il prossimo stadio di apparente “evoluzione” per l’umanità.”

Prof. Dr. Sarah Spiekermann è professoressa e presidente dell’Istituto per i Sistemi Informativi Gestionali all’Università di Economia e Commercio di Vienna (WU Vienna, Austria).

Prof. Dr. Peter Hampson è ricercatore alla Blackfriars Hall, Università di Oxford, dove insegna psicologia. È anche professore emerito presso la University of the West of England, Bristol, Regno Unito, e professore onorario aggiunto di psicologia presso NUI Maynooth, Irlanda.

Prof. Dr. Charles M. Ess è professore di studi sui media, Dipartimento di Media e Comunicazione, Università di Oslo.

Il Prof. Dr. Johannes Hoff è professore ordinario di teologia sistematica e filosofica all’Heythrop College, Università di Londra.

Il Prof. Dr. Mark Coeckelbergh è professore di filosofia dei media e della tecnologia presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Vienna.

Il Prof. Dr. Georg Franck è professore emerito di metodi digitali in architettura e pianificazione spaziale all’Università Tecnica di Vienna.

 

E non lasciarci cadere in tentazione

Conosci te stesso

Che ci piaccia o no dovremo imparare a convivere con tale pandemia e, chi gradualmente ritiene di essersi risvegliato, e quindi guarito, dovrà fare il possibile per aiutare l’umanità nel risveglio.

A questo punto sento le voci di chi reagisce con veemenza, e tu saresti tra i pochi risvegliati, quindi?

So che fine fanno coloro che si prendono questa briga, la caverna di Platone docet, e da li in poi gli esempi si sprecano, mi limiterò a proporre domande e riflessioni da fare insieme, a raccogliere dati, a fare delle proposte, ognuno che avrà la pazienza di seguirmi potrà trarre le proprie conclusioni.

Il mio primo suggerimento è la tolleranza, l’accoglienza, la compassione, in senso buddista, delle posizioni diverse dalla nostra e soprattutto il rispetto per le minoranze.

Cercherò di dimostrare come la gestione della pandemia ad opera delle istituzioni e la risposta delle masse sia frutto della pandemia emozionale non vista, dominata da un pensiero unico, che sta rischiando di fare perdere all’umanità intera, un’opportunità di risveglio, ma anche fornirò suggerimenti e buone notizie, siamo ancora in tempo.

A questo punto i soliti critici potrebbero additare alla mia presunzione di credere di avere la soluzione in tasca.

So bene che essere nei panni dei vari Speranza, Draghi, Figliolo, Locatelli, Brusaferro, non è facile, a loro vanno la mia comprensione e tutti i sentimenti di cui prima: tolleranza, accoglienza, compassione, rispetto, non la mia approvazione e il mio accordo.

Ma chi credi di essere? Uno che vede la limitatezza del loro pensiero razionale e la povertà del loro sguardo sul mondo. Uno anche che conosce quanto la sete di potere possa inquinare anche le menti più eccelse e indurre in tentazione anche i meglio intenzionati. Vedremo infatti quanto la pandemia emozionale, stia alla base della corruzione e della manipolazione, operata dal mondo della scienza e della politica.

Ritengo che affermare ciò che si vede e prendersene le responsabilità non sia arroganza bensì condizione per l’umiltà e la reciproca convivenza.

Cercherò qui di seguito di sostenere e dimostrare le mie affermazioni.

 

Oltre il dualismo

«Se il tuo occhio non si farà unico non entrerai nel regno»
Vangelo di San Tommaso

Si crede che il problema sia la pandemia di Covid e che la soluzione sia nel vaccino.

L’ipotesi qui suggerita è la seguente:

Sia che si viva preda della paura o che la si combatta con la ragione, che si faccia il vaccino o meno se non ci si libera dalla schiavitù del dualismo emozione/ragione non si guarisce.

Il problema non si risolve seguendo le emozioni, ma nemmeno reprimendole, la soluzione sta nella consapevolezza delle identificazioni e nella conseguente scelta di disidentificazione., termine ignoto ai più.

La tentazione di chiedere al ministro Speranza o al generale Figliolo cosa sia la consapevolezza me la toglierei. Dite che per salvare vite e vincere la pandemia non serve saperlo? Non credo e cercherò di dimostrarlo.

Incominciamo dalla retorica della guerra: combattiamo la pandemia, lotta al virus, vinceremo.

Forse che Cristo abbia preso le parti degli ebrei oppressi contro i romani oppressori, forse che non abbia offerto, l‘altra guancia, forse che non abbia riattaccato l’orecchio al soldato? Chi di spada ferisce…

Prima di ogni altra cosa Cristo e tutti i maestri saggi prima e dopo di lui ci hanno insegnato a fare del due l’uno, a non cadere nella tentazione della reazione, occhio per occhio.

Il processo evolutivo, ci ricorda Wilber è sempre trascendimento e inclusione, mai reazione, è trasformazione mai contrapposizione.

Potremmo dire che dentro ciascun essere umano abiti una piccola donna, un piccolo uomo ed un eroe, eroina. (d’ora in poi per semplicità piccolo uomo ed eroe).

Il piccolo uomo è preda della pandemia emotiva, l’eroe è in viaggio per risvegliarsi e guarire.

La vera sfida, non vista è pertanto tra sonno o risveglio, reazione o cambiamento, guerra o pace, cronicizzazione nei comportamenti disfunzionali o trascendimento creativo nel nuovo, identificazione o disidentificazione.

Tutti dormiamo, spesso o a volte, a tutti capita di svegliarci, spesso o a volte. L’ipotesi che sto portando avanti è che il pensiero unico razionale, col quale buona parte dell’umanità sta affrontando la pandemia sia, più che mai figlio della diade paura/controllo e che favorisca il sonno anziché il risveglio.

Vedremo insieme quali opportunità di risveglio potremmo cogliere.

 

Il contesto

Se non conosci la storia sarai costretto a ripeterla

Così come quando nasciamo, non ci sono alternative, o dentro o fuori, si vive o si muore.

Il processo della nascita condurrà però a un salto di livello evolutivo, dovremo respirare autonomamente. Così lo stesso ogni volta che ci troviamo di fronte a una strettoia significativa come quella della pandemia che stiamo affrontando.

La scelta sembra che sia tra dormire o svegliarsi, cogliere l’opportunità o perderla, comprendere l’insegnamento o fare finta di nulla, tornare alla normalità o cambiare, migliorarsi, evolvere. A mio modesto parere siamo di fronte a un passaggio epocale, sarebbe bene accorgersene, invece di perderci in quello che Jung chiamerebbe lo spirito del tempo: il virus, il vaccino, il distanziamento, le mascherine, aprire o chiudere? Tutto questo è certamente legittimo su un certo piano evolutivo, e se noi ci accorgessimo che c’è dell’altro? Se riconoscessimo l’opportunità per svegliarci? Se riconoscessimo che a fianco del piccolo uomo perso nello spirto del tempo, cammina un eroe in viaggio verso sé stessa/o? Se ascoltassimo la voce dello spirito del profondo? (Riflessione numero 1).

Proviamo a contestualizzare: ci stiamo occupando della cosa virus, il problema e stiamo dimenticando il modo col quale stiamo affrontando il problema, qual è il contesto? Qual è il campo del gioco che stiamo giocando? (Riflessione numero 2).

Per comprenderlo dovremmo scomodare la storia, l’antropologia e lasciare per un attimo da parte le star del momento, i virologi. Se non conosci la storia sarai costretto a ripeterla suggerisce la nemesi storica. Una società che non sente il bisogno di storia è una società senz’anima. Terzo dato di riflessione è: quanti storici, quanti antropologi vengono ascoltati nei mass media?

Ripercorrendo la storia vediamo che per decine di migliaia di anni abbiamo vissuto in balia dell’istinto, attacco o fuga., preda o predatore, mors tua vita mea. L’ istinto di sopravvivenza ci ha consentito di passare da preda a predatore, grazie alle risorse dell’intelligenza istintiva siamo diventati i migliori e abbiamo trionfato sulle altre specie. Facendola breve, siamo diventati stanziali, abbiamo scoperto l’agricoltura, le arti e i mestieri, abbiamo incominciato a costruire comunità fondate sulla vita di relazione, ci siamo dati delle regole. Il pensiero magico-superstizioso della coscienza istintiva ha iniziato a concedere qualche spiraglio al pensiero mitologico. Abbiamo incominciato ad avere una storia, degli dei che ci proteggessero, degli eroi coi quali identificarsi. Sono nate le grandi religioni e i grandi miti, al puro istinto si è aggiunta l’anima, il senso di esistere e appartenere.

 

Il contesto II

Non possiamo risolvere i problemi con lo stesso tipo di pensiero che abbiamo usato quando li abbiamo creati”

Istinto di procreazione, di prendersi cura della prole, di vivere il piacere, di relazione, nasce il sentimento, l’emozione, gli affetti. Attraverso il pensiero mitologico si fa strada un abbozzo di razionalità che poi con l’uscita dei tempi bui del medioevo pone le basi al pensiero razionale scientifico che ci ha portato, perfezionandosi sempre più, con un tasso esponenziale di crescita agli straordinari successi evolutivi degli ultimi centocinquant’anni.

Il contesto attuale quindi è quello di un mondo post moderno alle prese con le problematiche dell’ipercomplessità prodotto stesso del trionfo della coscienza razionale e della cultura cosiddetta occidentale.

È in questo contesto che l’umanità si trova ad affrontare la pandemia di COVID 19.

Seppur con una certa lentezza, si veda il rapporto sulle mancanze dell’OMS, il pensiero scientifico dominante, forte dei suoi successi, ha preso in mano la situazione e dettato le sue linee guida, mediante commissioni tecniche di esperti, decisione di organismi internazionali, e decreti di politici, tutti rigorosamente allineati.

A pochi, molto pochi è sorto il dubbio che lo stesso pensiero scientifico dominante, fondato sulla razionalità fosse il problema.

 

Il dramma del controllo

Il primo passo per uscire dalla trappola è riconoscere la trappola


Semplificando potremmo dire che, il pensiero crea modelli del mondo, cioè si forma dei concetti riguardanti il processo osservato. Osservazione e pensiero sembrano pertanto costituire i due punti di partenza di ogni umana attività mentre i modi nei quali il soggetto dell’esperienza osserva il mondo e organizza la sua osservazione determinano la sua esperienza del mondo.

L’osservazione è direttamente connessa al concetto di stati di coscienza, il pensiero all’attività mentale più propriamente detta; stato di coscienza e pensiero sono inscindibili e si influenzano a vicenda.

Il modo con il quale il soggetto osserva il mondo determinerà il modo con il quale organizzerà la sua esperienza, il modo con il quale la organizza, a sua volta, determinerà la sua osservazione.

Come se lo stato di coscienza fosse una casa e il pensiero l’arredatore.

Svariate le case, pressoché infiniti i mobili di arredo, impossibile separarli.

Anche una casa vuota, infatti esprime un modo di arredare.

Il problema è che per quanti straordinari progressi abbia compiuto la condizione umana nel corso della storia ancora essa sembra caratterizzata fortemente e inavvertitamente da alcune limitanti carenze in queste due funzioni.

La prima è che il nostro stato di coscienza è influenzato dalle nostre emozioni, dai nostri bisogni o desideri.

La seconda è che l’osservazione si dirige quasi esclusivamente agli oggetti del mondo esterno, raramente agli oggetti del mondo interno, quasi mai a meno di casi eccezionali, si dirige al pensiero stesso.

La terza è che il pensiero dal canto suo, è molto abile a creare modelli, cioè idee e concetti, è in grado come ci ricorda De Bono, di riconoscerli, di reagire ad essi e di usarli in modo efficace. È in grado inoltre di organizzare e di memorizzare l’informazione acquisita stabilizzandola in codici che funzionano talmente bene da diventare difficilmente modificabili.

Il risultato è che invece di fare esperienza del mondo “così com’è”, facciamo esperienza del mondo come crediamo che sia.

Come si esce da questa trappola?

Non con la stessa mente che l’ha creato, non tramite la ragione.

Il primo passo è accorgerci che possiamo osservare il nostro pensiero.

Possiamo cioè passare dalla conoscenza alla consapevolezza. Vedere le nostre identificazioni, andare oltre. Noi non siamo chi crediamo di essere, le cose non sono come sembrano.

 

Il versante scordato

 

Siamo tutti prigionieri della nostra mente, il primo passo è accorgercene

Ripensiamo al nostro percorso educativo, ai nostri genitori, insegnanti, professori, preti, osserviamo i politici, i giornalisti, i medici, i tecnici, gli scienziati, forse che qualcuno ci insegni ad osservare il pensiero? Forse che qualcuno dimostri di esserne consapevole?

Il fatto è che se non facciamo nulla al nostro pensiero, cioè se non lo osserviamo consapevolmente finiamo per identificarci con le sue costruzioni; crediamo davvero di essere chi crediamo di essere, a seconda dei casi un figlio o una madre, un vincente o un perdente, una moglie depressa o un soldato coraggioso, un politico o una scienziata. Crediamo davvero che il problema sia il problema, che il virus sia la causa della malattia e il vaccino la soluzione. Non a caso abbiamo costruito una scienza evidence-based, basata sulle evidenze.

Tali evidenze a un’osservazione consapevole altro non sono che apparenze, cioè descrivono la realtà, a volte indicano la verità, ma non sono la verità. Bisogna fare un passo oltre per cogliere ciò che davvero esse indicano.

Cosa ci impedisce di farlo?

Le nostre abitudini, mantenute dalle identificazioni con le nostre credenze. Cosa ci impedisce di superarle? I nostri condizionamenti limitanti.

Cosa ci impedisce di liberarcene?

Il dramma del controllo: ricordiamo in codici della mente razionale sono memorizzati in profondità e sono difficilmente modificabili in assenza di un lavoro interiore che nessuna ci insegna a fare.

Vediamo cosa è successo al pensiero scientifico.

La nascita della scienza è caratterizzata dalla famosa separazione cartesiana tra materia e coscienza. Le prime grandi menti della scienza a partire da Galileo hanno deciso, non senza una certa pressione, di dedicarsi allo studio della materia e di lasciare alla chiesa le faccende della coscienza. Così facendo la mente razionale ha potuto fare al meglio ciò che sapeva fare bene: dividere per conoscere, analizzare, misurare, verificare. I successi straordinari sulla materia (fisio) hanno poi incoraggiato gli scienziati ad utilizzare lo stesso metodo per la vita biologica (bios). Per fare questo hanno dovuto ridurre l’organismo vivente a corpo, la coscienza a mente e a metterla nel cervello. Il risultato anche in questo caso è stato straordinario. Per restare al campo della medicina si sono realizzate le tre grandi rivoluzioni: la rivoluzione microscopica, potremmo dire, scoperta di batteri e antibiotici, la rivoluzione tecnologica, le macchine per la diagnostica e la cura, e da ultimo la nuova frontiera della genomica. Così facendo la scienza andrà ancora molto lontano nell’allungare la vita delle persone, vincerà certamente questa pandemia e le altre venture, ma tutto ha un prezzo. Alcuni lo chiamano, appunto, transumanesimo.

 

Istituzionalizzazione del trauma

Paradossalmente i successi della scienza oltre che una grazia costituiscono anche una disgrazia. La soluzione del problema ne crea uno, tanto più grande quanto non visto: l’ipertrofia della mente razionale, l’identificazione con la materia, la negazione della coscienza, la separazione tra corpo e mente, mente e spirito e delega di quest’ultimo alla religione.

Come ha potuto succedere? Dobbiamo chiederlo agli antropologi

Proviamo a tornare alla notte dei tempi, preda, scarnificatore, predatore, raccoglitore-cacciatore, pastori/agricoltori.

Un viaggio di lotta, dolore, lotta per la sopravvivenza.

Lo sguardo sul mondo del pastore porta l’attenzione all’esplorazione e alla conquista, all’utilizzo del territorio e alla migrazione verso sempre nuovi spazi, l’agricoltore si occupa invece, per necessità, di conoscere e rispettare i ritmi della natura, in quanto stanziale, dovrà inoltre prestare molta più attenzione alla convivenza sociale e alla cooperazione.

Il pastore solitamente vive in zone inospitali, spesso aride e marginali, rese ancora più povere dal suo stesso abito di sfruttarle per l’allevamento senza mai seminare o nutrire il terreno.

Il pastoralismo, di conseguenza, tende a produrre un circolo vizioso, per il quale lo sfruttamento delle risorse ambientali esaspera la durezza delle condizioni di vita che, a loro volta, portano a un incremento della competizione, la quale richiede la valorizzazione delle qualità guerriere fondate sulla forza e la paura.

È comprensibile peraltro come un sistema di vita che prevede il sistematico asservimento di altri esseri viventi e la prolungata convivenza con animali che poi verranno uccisi possa creare un’abitudine psicologica alla durezza e alla rigidità.

L’agricoltore solitamente si stabilisce in località fertili e ospitali e tende a instaurare un rapporto amorevole e rispettoso con l’ambiente in cui vive. Madre natura è solitamente generosa, e il contadino presto impara che, rispettandone i cicli e avendone cura, il suo duro lavoro sarà ripagato con abbondanza. Egli impara a instaurare un rapporto di reciproco scambio, di condivisione con la madre terra dalla quale è nutrito e alla quale presta le sue cure.

L’uso della forza intesa come dominio e il sentimento della paura non sono funzionali alla vita dell’agricoltore, il quale invece dovrà sviluppare qualità come il rispetto, la pazienza, la fiducia, la collaborazione e così via.

Ma la storia non la fanno gli agricoltori.

 

La rottura di un equilibrio

Stiamo parlando ovviamente di due sistemi di vita, di due sguardi sul mondo, non stiamo giudicando o demonizzando la figura del singolo pastore e nemmeno facendo l’apologia dell’agricoltore.

Pastoralismo e agricoltura sono indicativi di due posizioni archetipiche che dai primordi si sono intrecciate nella storia dell’umanità e che rappresentano null’altro che le due polarità complementari del vivente, ancora una volta, i due aspetti della mente duale. La mente lineare del pensiero pastorale orientato al risultato immediato e allo sfruttamento, la mente circolare del contadino avvezza a ragionare in un’ottica di rispetto dei ritmi naturali e dei loro effetti collaterali.  

La polarità pastore – contadino ne suggerisce molte altre a partire dalla madre di tutti i dualismi, quello tra maschile e femminile, per arrivare a cielo e terra, spirito e materia, mente e corpo, logos e eros, ragione e istinto, guerriero e sacerdote e così via.

Ne risulta che, in una società saggia ed equilibrata, conquista e condivisione possono e devono convivere, così come i due emisferi convivono nel nostro cervello e le due modalità mentali nei nostri comportamenti. Nel caso specifico la mente razionale potrebbe fornire, per esempio, all’agricoltore la capacità di pianificazione e la determinazione necessarie per difendere i suoi campi e la sua famiglia dalle aggressioni nemiche; la mente estatica potrebbe conferire al pastore la saggezza per collaborare con i membri delle altre tribù e rispettare i reciproci spazi di pascolo.

La rottura dell’equilibrio si avrebbe se il pastore invadesse i campi coltivati o il contadino non sapesse difendere il frutto del suo duro lavoro, se il pensiero lineare, logico prendesse il sopravvento su quello circolare, analogico.

Esattamente quello che sembra essere successo a un certo punto nel cammino dell’umanità, prima della storia raccontata.

 

La crisi del tardo neolitico

La rivoluzione archeologica verificatasi negli ultimi decenni grazie al miglioramento delle tecnologie di indagine, ha consentito agli studiosi di identificare nel corso del quarto millennio un periodo nel quale sembrò verificarsi un brusco passaggio da un’organizzazione matrilineare a una patrilineare, associato a una graduale scomparsa di figurine femminili e a chiare prove di aumento di lunghe guerre. In quel periodo si verificò quella che venne definita la “crisi del tardo neolitico” caratterizzata da un progressivo abbandono di siti fioriti per millenni in località fertili e amene verso tutte le direzioni tranne che a oriente e in particolare verso località isolate e facili da proteggere come isole, grotte, cime di colline oltre che da un deterioramento delle principali tecnologie come la lavorazione di metalli e ceramiche.

Maria Gimbutas, riportando i risultati dei suoi scavi e di molti altri esperti archeologi, è giunta alla conclusione che la crisi fosse da associare senza ombra di dubbio all’arrivo delle popolazioni indoeuropee, guerriere e dedite alla pastorizia dalle steppe euroasiatiche.

La Gimbutas chiama queste popolazioni kurg o kurgan, che in tre ondate successive dal 4300 al 2000, invasero l’antica Europa sostituendo quasi completamente le culture preesistenti, fondate sulla condivisione, con civiltà che mitizzavano il dominio, il potere e la distruzione. I kurg glorificavano i guerrieri, idealizzavano le armi e l’uso della forza, il dolore e la paura, sottomettevano la donna, praticavano la schiavitù ed erano ossessionati dalla morte.

Possiamo così tracciare una costellazione della dominazione che procede lungo il seguente circolo vizioso: pastorizia-trauma ambientale-paura- reazione simpatica-comportamento aggressivo- ipertrofia razionale – cultura del dominio.

Risulta abbastanza facile comprendere come la durezza di una vita nomade in ambiente ostile e carente di risorse abbia richiesto lo sviluppo di una cultura che privilegiasse la forza, la lotta, la paura della morte, la necessità di resistere al dolore e di un rigido controllo delle emozioni. In un contesto come quello delle steppe euroasiatiche nel neolitico concetti quali amore e fiducia, piacere e sacralità, condivisione e abbandono appaiono come un lusso che nessuno si poteva permettere.

Da qui l’istituzionalizzazione del trauma, lo sviluppo di personalità rigide imprigionate in corazze caratteriali fondate sulla durezza e il controllo, la negazione dei sentimenti e del piacere, la valorizzazione della disciplina e del dolore, della violenza e della dominazione, del forte sul debole, dell’uomo sulla donna, dell’essere umano sulla natura, della ragione sull’istinto, della materia sullo spirito, del ricco sul povero, del sano sul malato, del normale sul deviante, del Dio castigatore e vendicatore sulla Dea accogliente e compassionevole. Da qui la genesi di quella pandemia emozionale, che come una fenice risorge dalle sue ceneri, soprattutto nelle situazioni di emergenza, vera o presunta.

 

Il conflitto paura/controllo

Il concetto di peste emotiva, proposto da Reich, nel 1933, definito come il blocco della formula della vita, la somatizzazione della repressione sessuale, economica e politica esercitata sull’individuo, riecheggia l’istituzionalizzazione del trauma descritta da Di Maio.

La peste emotiva è una biopatia cronica dell’organismo, apparso con la prima soppressione della vita sentimentale-genitale su vasta scala; è diventata un’epidemia che affligge il piccolo uomo nelle sue relazioni interpersonali e nei processi politici che possono provocare azioni non democratiche e demagogiche. 

Si tratta di un comportamento anomalo delle società che minaccia la ricerca di una società libera ed equilibrata per via della quale i popoli sottopongono le loro volontà ai vari governi attraverso la costruzione del patrocinio patriarcale, i popoli vengono così subordinati alla violenza politica attraverso imposizioni, ma soprattutto generando individui afflitti emotivamente e dipendenti da gerarchie-autoritarie organizzate in base al censo, alle proprietà, al sesso ed alla razza.

Dato che il pensiero come abbiamo visto è condizionato dallo stato emotivo, la peste emozionale produce concetti completamente irrazionali sostenuti con forza e giustificati razionalmente da identificazioni alle quali l’individuo si aggrappa tenacemente, senza alcuna disponibilità a mettere in discussione le proprie credenze né tollerare chi la pensi diversamente.

Possiamo ora rispondere alla nostra domanda: Come ha potuto succedere che il pensiero occidentale con la sua cultura razionalista e materialista, potesse dominare e persistere pur avendo fatto il suo tempo?

L’amore per la costrizione e la repressione che caratterizza l’individuo afflitto da peste emozionale è sostenuto da una società traumatizzata figlia di una cultura del dominio e del controllo fondata sulla paura per la quale la situazione di emergenza è assolutamente funzionale.

Vediamo cosa succede a livello neurofisiologico quando agiamo in emergenza, identificatici nelle nostre emozioni.

 

Come funziona la risposta emotiva

Le Doux New York University

La chiave della risposta emotiva risiede nell’amigdala:

Amigdala centro del sistema limbico, alla nascita è molto più vicina di altre strutture allo sviluppo completo, dichiara lo stato d’emergenza imponendo a tutto il resto del cervello il proprio impellente ordine del giorno.

Perché l’amigdala dichiari lo stato d’emergenza (sequestro neuronale) basta che solo pochissimi elementi della situazione presente ricordino quelli di una passata circostanza pericolosa.

Amigdala: funziona come un archivio della memoria emozionale ed è quindi depositaria del significato stesso degli eventi.

Input sensoriali vanno al talamo e da li partono due vie una all’amigdala l’altra alla corteccia.

Vicolo neurale: Esiste una via neurale emozionale diretta che aggira la corteccia e arriva direttamente all’amigdala consentendole di rispondere prima e indipendentemente. (cioè senza partecipazione cognitiva cosciente).

L’emozione grezza si scatena in modo indipendente dal pensiero razionale e prima di esso.

Ippocampo: registrazione e comprensione degli schemi percettivi, fornisce un ricordo particolareggiato del contesto, mentre l’amigdala ne trattiene il sapore emozionale.

Corteccia prefrontale: smorza gli impulsi dell’amigdala e delle altre aree libiche modulando una risposta più appropriata.

Neocorteccia: elabora l’informazione, i lobi prefrontali dettano la risposta emotiva lavorando in stretta collaborazione con l’amigdala e il sistema limbico.

Quindi in caso di identificazione emotiva, indotta per esempio da paura in seguito a traumi, o a situazioni di emergenza si crea un cortocircuito che sfugge al controllo corticale e quindi della ragione.

Ecco spiegate le ragioni del conflitto tra l’emozione che determina la nostra azione e la ragione che cerca, senza successo di controllarla, essa potrà al massimo cercare di reprimerne gli effetti mediante rigidità muscolare e razionalizzazione.

Risposta da stress

L’organismo umano in dialogo con il mondo, affronta o sopporta le difficoltà stressor procurando l’energia necessaria tramite un processo naturale, la reazione o risposta di stress, paragonabile a un innato meccanismo di adattamento che consente di adeguare le reazioni individuali all’imprevedibile variare delle circostanze.

Il neuroendocrinologo Hans Selye identificò, in tale processo, tre fasi:

  • Reazione di allarme

  • Resistenza o adattamento

  • Esaurimento

L’intera sequenza è stata chiamata, General Adaptation Syndrome (G.A.S.) ovvero” sindrome generale di adattamento”.

La risposta di stress è un insieme di reazioni a catena che l’intero organismo coinvolgono, cioè tutto l’asse psico-neuro-immuno-endocrinologico (sistema nervoso, immunitario ed endocrino).

La risposta allo stress, identificata da Selye è condizionata fondamentalmente da tre elementi: lo Stressor, l’individuo e l’ambiente in cui essi interagiscono:

Stressor: Esistono Stressor fisici (uno shock elettrico, l’esposizione al freddo, ecc…), metabolici-biologici (riduzione dei livelli glicemici, infezione, intossicazione alimentare, ecc.), psicologici (una prova d’esame), psicosociali (un evento di perdita o lutto). Ciascuno di questi stressor, pur inducendo una generale attivazione dei meccanismi della risposta, è caratterizzato da una preferenziale stimolazione di uno o più sistemi (nervoso, endocrino, immunitario) Stressor troppo potenti, frequenti e prolungati sono in grado di superare la possibilità di resistenza dell’organismo e di iniziare un processo patologico. Vedi uno stato di emergenza protratto come quello indotto dalle misure anti-pandemia.

Individuo: L’individuo è un CAS, Complex adaptive system, dotato di alcune caratteristiche uniche che gli consentono di attivare una risposta da stress adeguata non solo a ritrovare l’equilibrio perduto (adattamento tramite autorinnovamento) ma anche di evolvere, cioè di trascendere e includere l’esperienza passata verso una condizione nuova, più evoluta e complessa ( auto trascendenza tramite, apprendimento, memoria ed evoluzione). Tali caratteristiche sono condensate nel termine auto-organizzazione

Esso dipende oltreché del patrimonio genetico dell’individuo, anche da un processo detto di “imprinting psicobiologico” dalla sua capacità cioè di attivare le risorse dei sistemi citati in base alle passate esperienze, all’età e al sesso dell’individuo, al buon funzionamento organico, al profilo cognitivo e psicologico, all’alimentazione, allo stile di vita, all’attività fisica, atteggiamenti posturali., i cosiddetti condizionamenti neuro associativi.

Ulteriori esperimenti, condotti anche su soggetti umani, dimostrarono che il condizionamento neuro-associativo (neuro-associazione) è tanto più forte quanto più cresce il numero delle esperienze ad esso relative e quanto più intenso è lo stato d’animo associato; e noi sappiamo che ogni comportamento è dettato da un preciso stato d’animo. Tale “apprendimento” resta latente, relegato nell’inconscio, pronto a riattivarsi al presentarsi dello stimolo giusto. Se teniamo conto del fatto che, come afferma M. S. Gazzaniga “il 98% di quello che fa il cervello è al di fuori del dominio della coscienza”, possiamo comprendere l’enorme importanza che i condizionamenti neuro-associativi hanno nella nostra vita, nella determinazione dei nostri stati d’animo e, di conseguenza, dei nostri comportamenti.

Ambiente. Costituisce la terza importante componente della risposta di stress, spesso trascurata pur essendo in un certo senso la sorgente degli stimoli stressogeni. Per ambiente dobbiamo intendere quello esterno, non limitato alle sole condizioni geo climatiche, ma anche alla condizione sociale, familiare, sentimentale, lavorativa, economica, politica e così via, ma allo stesso modo quello interno cioè le condizioni psico-emotive dell’individuo (educazione, intelligenza, consapevolezza, padronanza emotiva, qualità umane, potenzialità spirituali, e appunto capacità di consapevolezze, saggezza e disidentificazione).

Cosa succede nel nostro organismo quando si attiva la sindrome generale di adattamento?

Prima fase: allarme. È la fase iniziale della reazione da stress in cui l’organismo chiama a raccolta tutte le sue risorse disponibili per l’azione immediata, soprattutto secernendo ormoni in grado di provocare opportuni cambiamenti in determinate funzioni organiche. In questa fase avviene un’intensa produzione di adrenalina e una rapida accelerazione del ritmo cardiaco.

Seconda fase: resistenza o adattamento. Questa fase dura finché risulta necessaria una speciale prontezza e capacità d’azione, secondo percezioni basate, in gran parte, su fattori psicologici. È la fase in cui ci si adegua, bene o male, alle nuove circostanze e, in pratica, finché si percepisce il fattore di stress l’organismo resiste. In questa fase assume un ruolo fondamentale l’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (asse HPA) nella quale viene messo in atto un complesso programma sia biologico che comportamentale che sostiene la risposta allo Stressor. L’evento fondamentale è la sovrapproduzione di cortisolo che ha, come conseguenza, la soppressione delle difese immunitarie

Il conseguente indebolimento o la temporanea inefficacia delle funzioni immunitarie non sono preoccupanti se durano per brevi periodi, ma diventano un serio problema in caso di stress cronico: la prolungata riduzione delle capacità difensive moltiplica la probabilità di contrarre malattie infettive, e sembra aumentare la predisposizione alle malattie autoimmuni.

La cultura del controllo, l’istituzionalizzazione del trauma, il codice della paura, l’identificazione con le nostre emozioni, e nel caso della pandemia, il protrarsi della situazione di emergenza imprigionano le persone in questa fase, ostacolando il raggiungimento dell’adattamento. La necessità di mantenere il controllo, determinano un’incapacità di rilassarsi e una disassuefazione al piacere tale per cui salta l’equilibrio tra simpatico e parasimpatico cronicizzando l’individuo in un iperattività simpaticotonica caratterizzata da ritmo cardiaco accelerato, tono muscolare rigido, sensazione di pericolo imminente.

Ecco il nostro circolo vizioso all’opera:

trauma -paura- reazione simpatica- ipertrofia razionale – controllo.

Nello scenario odierno le persone identificate emotivamente si trovano a fronteggiare un’emergenza prolungata con gli strumenti inadeguati della mente razionale che cerca di controllare la situazione.

Così facendo lo stress diventa abitudine quotidiana, la fase di adattamento si traduce in fase di resistenza prolungata, lo stress cronico produce un ulteriore danno alla rete psico-neuro-immunologica e in particolare al sistema immunitario.

Terza fase: esaurimento. Se la risposta di stress è stata efficace, la fase di adattamento passa alla terza fase di esaurimento, che richiede riposo per recuperare le energie necessarie ad una corretta funzionalità dei processi di auto-organizzazione. Solitamente questa fase viene vissuta con un piacevole senso di rilassamento e contatto con se stessi.

Nella condizione sopra descritta di stress cronico però questo non può avvenire e si realizza un rapido esaurimento degli ormoni surrenalici e delle riserve energetiche. Peggiorando ulteriormente il circolo vizioso paura/controllo.

 

Alla soglia del risveglio

Ora fermiamoci un attimo a considerare la nostra vita prima della pandemia. Pensiamo alla famosa frase. Speriamo di potere tornare presto alla normalità?

A quale normalità? Non ti ricordi forse quanto ti lamentavi due anni fa della crisi economica, del lavoro stressante, della vita alienata, dell’egoismo della gente, della corruzione e incapacità dei politici, dell’avidità delle multinazionali e della finanza mondiale?

E’ di quella normalità che parli? Forse non ricordi lo stress cronico, la paura e la rabbia, la tristezza e le insoddisfazioni?

Tranquilla/o devi solo portare pazienza ancora qualche settimana o mese al massimo, la task force dei nostri politici e scienziati ti traghetterà presto, grazie alla vaccinazione di massa che ripeterai ogni anno, verso la tanto agognata normalità. Essa ti sta aspettando esattamente come prima, anzi probabilmente peggio.

Pensi davvero di non potere sognare e realizzare un futuro migliore? Ricorda quando si nasce non si esce semplicemente dall’oscurità dell’utero, si inizia a respirare.

Pensi di non meritare un finale diverso, l’aria fresca di un nuovo inizio?

Pensi non sia ora di uscire dall’emergenza interiore, che non finirà con la vittoria sulla pandemia di COVID?

Probabilmente non ci credi, non riesci ad immaginare cosa dovrebbe succedere.

Allora ti do una bella notizia, è tutto pronto per il risveglio, possiamo uscire dalla vera pandemia, quella emotiva.

Porta pazienza ancora un attimo, devo prima sostenere con dei dati quello che ti sto promettendo.

La Cultura del dominio, lotta e competizione fondata sul pensiero razionale e l’identificazione emotiva, sostenuto dal vecchio modello darwiniano di evoluzione ha fatto il suo tempo.

Nonostante questo viene ancora insegnata nelle scuole.

Il paradigma nuovo olistico-sistemico, integrale, fondato su mutualismo, cooperazione è ancora lasciato fuori dal mondo dell’educazione.

Nuove possibilità?

Nel 1991 sono state scoperte 40.000 cellule specializzate chiamate neuriti sensoriali, simili al quelle del cervello che si trovano nel cuore, essi pensano indipendentemente dal cervello.

Disposte in modo tale da essere definite cervello del cuore, intorno alle arterie coronarie.

Conserviamo informazione, memoria del trauma nel cervello e o nel cuore.

Quando ci sentiamo al sicuro, i neuriti sensoriali mandano segnali alle arterie, fase 2 e 3 sindrome generale di adattamento: puoi fluire, rigenerarti. Se abbiamo trauma, restiamo bloccati nella fase 1, attacco fuga, blocco flusso, concentrati sulle difese, stress cronico.

Possiamo armonizzare questi due organi, questi due cervelli: l’armonizzazione produce enzimi della longevità che riparano i telomeri e riparano il DNA.

Si può invertire il processo, possiamo creare telomeri deputati a rallentare l’invecchiamento.

Possiamo invertire la tendenza allo stress cronico e avviare il processo di autoregolazione (auto-rinnovamento e auto-trascendenza riparare e rigenerare stimolando enzimi della longevità).

Coerenza-Armonia cuore cervello:

Rinforza le difese immunitarie,

Aumenta la variabilità della frequenza cardiaca HRV,

Aumenta la resilienza e l’intuizione.

Favorisce gratitudine riconoscenza, interesse compassione, che a loro volta elevano il cervello a stato superiore aumentando le onde gamma e innescando 1300 reazioni positive, che durano per 6 ore, aumenta DHEA l’ormone della giovinezza del 100%, il cortisolo si abbassa del 30%.

Ora devo parlarti degli stati di coscienza, ne hai mai sentito parlare? Pensi forse che non c’entrano con i tuoi problemi quotidiani?

Stati di coscienza ed emozione

Semplificando possiamo riconoscere quattro sottosistemi di coscienza:

  • la coscienza istintiva,

  • la coscienza razionale,

  • la coscienza intuitiva,

  • la coscienza unitiva.

I primi tre trovano basi biologiche nella descrizione del cervello trino di McLean:

  • il rettile,

  • il paleo-mammifero,

  • il neo-mammiliano.

Il cervello rettile (o tronco cerebrale): è la parte filogeneticamente più antica del cervello, per usare le parole McLean:

Il suo nucleo o telaio, approssimativamente corrispondente alle strutture di base del cervello del rettile, contiene l’apparato essenziale per i regolamenti interni (viscerali e ghiandolari), per le attività primitive basate su istinti e riflessi, e anche i centri per suscitare la vigilanza dell’animale o farlo addormentare.” (Koestler 1976 pp. 277)

Possiamo riferirci ad esso come al livello generale di intelligenza rudimentale senso-motoria e delle pulsioni istintive o impulsi. Ecco come McLean esprime il concetto del cervello paleo-mammifero (o sistema limbico):

“Il sistema limbico è intimamente collegato da percorsi neurali a due vie con l’ipotalamo e altri centri nel tronco cerebrale che si occupano di sensazioni viscerali e reazioni emotive – tra cui sesso, fame, paura e aggressività; al punto che al sistema limbico è stato anche dato il nome di ” cervello viscerale”. (Koestler 1976 pp. 277) 

“Il sistema limbico elabora le informazioni in modo tale che vengano vissute come sentimenti ed emozioni, che diventano forze guida per il comportamento.” (Koestler 1976 pp. 277)

Il terzo, il cervello neo-mammifero (o neocorteccia):

“La crescita esplosiva della neocorteccia”, dice Jantsch, “in una fase successiva dell’evoluzione è uno degli eventi più drammatici della storia”. (Jantsch, E. 1980 Pergamon Press, p. 167).

Come vediamo il passaggio dallo stadio di coscienza istintiva, a quella razionale, a quella intuitiva avviene secondo un processo evolutivo di trascendimento e inclusione caratterizzato da una maggior complessità delle strutture cerebrali.

I neuroscienziati e in particolare Karl Pribram (Pribram K., 2013), sono giunti a loro volta ad un salto cognitivo, la famosa ipotesi olografica prevede che il cervello potrebbe funzionare nel suo insieme.

Da allora si moltiplicano le teorie olografiche sulla coscienza come quella di Tam Hunt (Tam Hunt 2001) il quale prevede una sorta di macro-coscienza che deriva da una risonanza condivisa tra molti costituenti micro-coscienti.

Ecco come l’ha detto Hunt: 

Man mano che una risonanza condivisa si espande in sempre più costituenti, la particolare entità cosciente diventa più grande e complessa. Quindi, la risonanza condivisa in un cervello umano che raggiunge una sincronia gamma, per esempio, include un numero molto più grande di neuroni e connessioni neuronali rispetto al solo caso di ritmi beta o theta.” (Hunt 2018)

Le Pratiche esperienziali di meditazione che prevedono lo sviluppo della consapevolezza e della disidentificazione dalle proprie emozioni come strumento per superare la propria condizione di stress cronico, accedere alla propria vera natura, al contatto con se stessi e quindi alla pace interiore non sono un miraggio riservato a qualche élite con tempo da perdere. Rappresentano la condizione essenziale, sono alla portata di tutti e trovano un fondamento neurofisiologico nel nostro cervello.

La coscienza dell’unità è la condizione migliore nella quale possiamo trovarci, in quanto pare essere il risultato della risonanza armonica delle nostre funzioni cerebrali.

In sintesi, possiamo accorgerci che siamo prigionieri della nostra mente e della pandemia emozionale che opera attraverso il circolo vizioso paura/controllo, stress cronico, identificazione, abbiamo a disposizione la conoscenza e gli strumenti necessari per un salto evolutivo di coscienza, siamo fisiologicamente fatti per questo, tutto è pronto per il risveglio, manca il nostro intento di volerlo fare.

Il salto evolutivo

Sono innumerevoli gli autori che descrivono il salto evolutivo che attende l’umanità oltre la ragione, verso la nascita e l’affermazione di un pensiero sovrarazionale, in grado di fornire le risorse per operare con le sfide della globalizzazione e dell’ipercomplessità che contraddistingue la postmodernità. Si tratta di un pensiero consapevole, inclusivo, integrale, in grado di trascendere e includere l’etnocentrismo razionale, esclusivo della visione occidentale del mondo in una visione mondo-centrica transculturale, transpersonale, non duale.

La pandemia di COVID può rappresentare l’occasione per cogliere la sfida, per imparare a realizzare il passaggio epocale verso il benessere e l’armonia, il contatto con sé stessi. Un passaggio che ci porterà a riconoscere, a dare voce, tempo e spazio per ascoltare l’eco dei saggi dell’umanità, realizzare quel “conosci te stesso” scritto sulla porta dell’oracolo di Delfi; quel lascia tutto e seguimi Cristico, quella consapevolezza che il maestro è nel cuore di ciascuno di noi, a disposizione.

Attraverso l’osservazione consapevole e l’ascolto di sé potremo incontrare quella “una” divinità nascosta nella profondità dell’animo umano.

Non sarà la ragione, non saranno i successi della scienza della materia, ma quello spirito del profondo di cui parla Jung che potrà risvegliarci; non sarà il sapere ma la saggezza, non la conquista, la fretta, il combattimento o la vittoria ma l’ascolto, il contatto, la fiducia e il fluire che ci consentiranno di accedere alla dimensione sovrarazionale. Dovremo accettare l’ineffabile e il mistero, tollerare l’incertezza dell’inconoscibile e dell’incommensurabile, pulire il nostro sguardo, riconoscere quella voce interiore, quella guida che viene dal profondo, che la psicologia del futuro chiama Sé.

Nessuno ce l’avrà veramente fatta se questa pandemia continuerà ad essere è gestita con l’identificazione egoica del piccolo uomo razionale che ancora ebbro del suo presunto potere conquistato sulla natura, persisterà semplicemente a combattere la malattia con la sola forza della tecnologia. diagnostica, farmacologica e farmacogenetica.

Per quanto ancora ci si potrà permettere di credere che l’essere umano sia una massa di carne, ossa, cellule, processi biochimici proteina Spike RNA e DNA; per quanto tempo ancora la scienza potrà ancora illudersi che si possano ignorare dettagli quali, l’anima, lo spirito, l’ essenza stessa, la vera natura dell’essere umano?

Non voglio con questo biasimare la stragrande maggioranza della popolazione che non è a conoscenza delle possibilità offerte dal nuovo paradigma qui descritto, ma non posso esimermi dal riconoscere la piccolezza delle piccole donne e dei piccoli uomini che ci governano, i piccoli uomini che dirigono le grandi case farmaceutiche, che sono al potere nei luoghi dell’alta finanza e delle multinazionali. Si tratta indubbiamente di grandi menti che hanno raggiunto il massimo del successo, sono intelligenti, svegli, astuti, persone che fanno probabilmente del loro meglio secondo la loro visione razionalista, voglio anche credere che siano in buona fede. Semplicemente ci sono diverse linee di intelligenza e sviluppo, l’intelligenza del potere è in grado di manipolare le menti, si tratta di un’intelligenza che viene usata prima di tutto contro se stessi, il proprio Sé, si dice in psicologia. I primi ad essere manipolati infatti sono gli stessi individui identificati con il potere e il successo, alienati da se stessi e persi nel proprio ruolo, che finisce per sostituirsi alla loro vera natura. Grandi EGO identificati con il loro ruolo, dalla loro personalità dominate, ignari della pandemia emotiva del successo, del potere, del denaro, del prestigio che li pervade e manipola le loro coscienze.

L’intelligenza del potere egoico è così abile, come ricorda Laing, a raccontarsi bugie da credere che siano la verità; a nascondersi dietro le maschere delle razionalizzazioni, a giustificare qualsiasi comportamento con raffinate argomentazioni. Questo soggetti meritano la nostra compassione, in fondo sono al nostro servizio, schiavi delle loro identificazioni.

Chi di noi si metterebbe in quei ruoli così scomodi come il Ministro della Sanità a prendere decisioni così stupide, a mettersi nelle mani di comitati tecnico-scientifici i quali a loro volta sono nelle mani dei grandi potentati economico finanziari.

Come potrebbero stare a questo gioco se non fossero loro stessi manipolati da loro stesse identificazioni.

Sintetizzando possiamo quindi affermare che identificazione e manipolazione sono i «sintomi» fondanti della pandemia emozionale.

Ma vediamo nei dettagli alcuni tratti del profilo di personalità di chi è «affetto» da pandemia emozionale.

Profilo di personalità

  • Manipolazione di Sé stessa/o:

Nell’individuo affetto dalla pandemia emozionale il motivo di un’azione è sempre presunto; il motivo dato non è mai il motivo reale, indipendentemente dal fatto che il motivo reale sia conscio o inconscio. Egli crede, seriamente e onestamente, nel presunto obiettivo o motivazione. 

  • Dipendenza emotiva: Ne consegue una tendenza alla sottomissione a poteri forti, patriarcali, a subire passivamente regole, imposizioni e violenze ad opera di gerarchie autoritarie. Si è facilmente manipolati e spesso inconsciamente si è disposti alla manipolazione pur che ci offra stabilità, sicurezza e l’illusione di risolvere i nostri problemi.

  • Irrazionalità: Il pensiero è offuscato dal cosiddetto wishful thinking, concetti irrazionali e determinati da emozioni insensate, per le quali si tende a creder veri ciò per cui si è affini e falso ciò che non ci piace.

  • Tendenza alla costrizione e alla repressione: Non importa quanto ben intenzionato possa essere, non può agire se non nel modo che prevede il copione della peste emozionale.

  • Guidata/o dal passato: Costrizione e repressione nascono da traumi del passato che hanno indotto l’individuo alla precoce soppressione della vita sentimentale-genitale su vasta scala e alla conseguente difesa nei confronti di emozioni piacevoli.

  • Atteggiamento passivo-aggressivo: l’individuo tenderà a controllare i suoi impulsi aggressivi mediante un comportamento socialmente accettato, con una superficiale cortesia e accondiscendenza che maschera sentimenti aggressivi che affiorano sotto forma di manipolazione, dimenticanze, errori involontari, pettegolezzi, invidie, gelosie e ogni altra forma di comportamenti che creino danno alla persona oggetto della sua aggressività. Quando questo atteggiamento di controllo sfugge di mano o quando la situazione lo giustifichi emerge il vero volto dell’aggressività.

Si arriva cosi a giustificare la retorica della guerra, combattuta per interposta persona alla quali deleghiamo il compito di scaricare la nostra rabbia repressa.

  • Razionalizzazione: Tentativo spesso riuscito di giustificare idee irrazionali o sbagliate mediante un uso eccessivo del ragionamento. Spesso tali ragionamenti sono molto credibili e sostenuti da argomentazioni coerenti. «La nostra mente è talmente abile a raccontarsi bugie da credere che siano la verità» (R. Laing)

  • Tendenza alla Proiezione e identificazione proiettiva: si definisce proiezione il desiderio inconscio di sbarazzarsi di una parte di sé e di metterla o proiettarla dentro a qualcun altro. L’identificazione proiettiva si spinge fino ad attuare una vera e propria «pressione interpersonale» con atteggiamenti e comportamenti che portino la persona o i gruppi oggetto della proiezione a provare veramente quel sentimento proiettato.

  • Familiarità con l’emergenza: La condizione di stress cronico nel quale versa solitamente l’individuo identificato emotivamente lo porta, quasi automaticamente, nonostante la sua volontà cosciente, a trovarsi a suo agio e quasi ricercare, seppur affermando il contrario situazioni di dolore, disagio e comunque emergenza nelle quali la situazione di stress e negazione del piacere è giustificata

  • Senso di affaticamento ed esaurimento: la repressione delle emozioni più vitali, e lo stress cronico portano la persona a vivere in perenne stato di esaurimento e mancanza di energia. Ne consegue un senso di fragilità, più o meno mascherato da atteggiamenti difensivi e di sfiducia nelle capacità del proprio organismo di guarire.

  • Senso di minaccia e insicurezza: lo stato di emergenza perenne e la mancanza di energia portano a un vissuto di perenne minaccia che tende a ricercare un senso di protezione e sicurezza nell’autorità, nella legge, nella medicina e nelle istituzioni alle quali si è disposti a delegare la propria autonomia pur di sentirsi al sicuro.

  • Colpa/responsabilità: quando trascuriamo la nostra vera natura, quando reprimiamo il nostro eros, lo slancio per la vita, conseguentemente tendiamo a sentirci in colpa. Il senso di colpa diventa così un elemento centrale nella nostra vita che regola le nostre scelte morali e i nostri giudizi sugli altri. La persona in piena pandemia emotiva abusa del senso di colpa, trova sollievo con il sacrificio e la rinuncia al piacere oppure scaricando sugli altri la responsabilità della propria condizione. Scambia la responsabilità per colpa, non si assume la propria e la delega al potere costituito. Sente nel concetto di responsabilità il peso del dovere e trascura il fatto che responsabilità significhi abilità a rispondere, impedendosi così la fiducia in se stesso e nelle proprie capacità.

  • Paura e controllo: la diade madre che guida chi è identificato emotivamente è un senso di perenne paura che giace in sottofondo o che può emergere in modo conclamato in certe situazioni ma che indice a un costante atteggiamento difensivo e diffidente a una costante tendenza a vigilanza e controllo.

  • Separazione: la separazione originaria dai sentimenti e dal piacere, la cronicizzazione in un atteggiamento difensivo e di controllo portano alla separazione da sé stessi e di conseguenza.

  • Distanza da se stessi: si tende ad essere guidati dall’esterno, dal copione familiare, dalla tradizione, da quello che dicono gli altri, la chiesa, i politici, i personaggi pubblici, si tende a dare estrema importanza a quello che dice la gente e alla propria immagine, costruita su comportamenti presi a prestito e attuati per ottenere benefici e approvazione.

  • Superficialità: Si resta in superficie guidati dalle idee su noi stessi e sul mondo e si resite a tutto quanto voglia invitarci all’approfondimento, all’ascolto di Sé, alla messa in discussione, al cambiamento.

  • Rinuncia: Si ignorano le proprie potenzialità e risorse, si reagisce con sfiducia, incredulità e giudizio nei confronti di chi ci incoraggi a migliorarci

  • Intolleranza: Sotto una maschera di apparente accoglienza e disponibilità si nasconde una’ atteggiamento difensivo di intolleranza nei confronti di chi minacci la nostra stabilità e le nostre consolidate credenze. Ci si rifiuta di prendere in considerazioni altri punti di vista, reagendo con chiusura e atteggiamento giudicante.

  • Paura della morte: la morte a dispetto della sua vera natura, cioè parte della vita, apertura all’otre, viene vissuta in modo negativo, è temuta, ignorata, combattuta e questo porta con se un atteggiamento di lotta, diffidenza e controllo nei confronti di tutto ciò che la ricorda: malattia, debolezza, lasciarsi andare, affidarsi, non fare, rinunciare, vuoto, silenzio, etc.

  • Riduzione delle aree di confort: Identificazione emotiva, con conseguente distanza da Sé stessi e manipolazione di Sé, porta a un senso di forza fasulla che nasconde una grande vulnerabilità e senso di impotenza/inferiorità. La persona vittima della pandemia emotiva pur avendo, slanci di amore e voglia di bene, riesce ad esercitare le sue migliori qualità solo all’interno delle sue aree di confort, fondamentalmente quando la sua sicurezza emotiva è garantita e il riconoscimento assicurato. In assenza di queste condizioni, tanto più ridotte quanto più la persona è identificata, la persona entra in area di rischio psicologico, si sente in emergenza e attua i suoi schemi di comportamento difensivi. Ecco perché ci si trova bene in situazioni di emergenza, le si accetta se imposte e quasi le si cerca. Ci si può comportare secondo schemi conosciuti, secondo i personali, automatici sistemi di controllo. Controllo e sicurezza sopra tutto. E cosa garantisce sicurezza e controllo? La mente razionale.

Oltre Il modello bio-medico prodotto della modernità occidentale

Si sente spesso dire dobbiamo credere nella scienza, solo la scienza farà progredire l’umanità.

Affermazione condivisibile ma nessuno ci dice cosa significhi veramente la parola scienza e soprattutto di quale scienza si parla.

Di scienza c’è né una sola potreste obbiettare. Falso.

Dicesi scienza una conoscenza che fornisca garanzie di affidabilità.

Come abbiamo visto nel breve excursus storico il metodo scientifico positivista, Newtoniano Galileiano: esperimento, misurazione, ripetibilità, verifica, ha prodotto risultati straordinari nel campo della materia, tanto da essere stato applicato ai sistemi viventi.

Cosi facendo si sono compiuti due errori fondamentali: uno metodologico l’atro epistemologico. L’essenza della vita è incommensurabile e irripetibile, misurazione e ripetibilità possono essere applicati al vivente solo se questo viene ridotto al suo aspetto materiale.

Un metodo scientifico è stato identificato con il metodo scientifico. Si tratta del metodo scientifico della visione occidentale, razionale, materialista, riduzionista.

Tutti gli approcci metodologici ed epistemologici non materialisti e riduzionisti vengono ignorati, non riconosciuti o combattuti.

Il modello biomedico, così definito in quanto si concentra sugli aspetti organici e biologici degli stati del corpo, nasce da una visione filosofica, prima che da un metodo scientifico.

Si tratta prima di tutto di un modo di guardare, di indagare il corpo che ha avuto origine in un determinato periodo storico, economico, filosofico e culturale, che non a caso noi chiamiamo “modernità”.

Il pensiero scientifico moderno occidentale è quindi uno sguardo che ha relegato tutte le altre concezioni del corpo, della salute e della malattia, nella superstizione e nella magia, e come tali screditate.

È necessario riconoscere che questo atteggiamento scientifico occidentale non ha riguardato solo i sistemi medici “interni” alternativi alla nascente biomedicina – pensiamo a tutte quelle pratiche che sono state raccolte, spesso per omologazione, sotto l’etichetta di “medicina popolare”.

La biomedicina inserita nel dispositivo coloniale ha avuto un peso notevole nel relegare la molteplicità dei sistemi medici con cui si andava confrontando – e per lo più scontrando – nel mondo dell’irrazionale, del magico, del primitivo: e spesso, ancora oggi attraverso questo pregiudizio guardiamo ai sistemi medici altri.

Sono sistemi medici che, per semplificazione, vengono definiti come tradizionali, proprio per sottolineare la loro alterità dalla biomedicina – e forse questo è anche un segno implicito del fatto che continuiamo a considerarli come non moderni.

Si sta sviluppando un pensiero post-moderno, mondo-centrico, transculturale, inclusivo che riconosce l’atteggiamento coloniale, esclusivo avuto dal modello biomedico, sostenuto in questo dal pensiero religioso del cristianesimo. Si tratta di una visione che offre dignità alla medicina tradizionale, alle dimensioni dello spirito liberate dalla narrazione esclusiva del cristianesimo.

Si tratta di una visione che offre un nuovo modello scientifico, che ha le sue radici nella scienza della complessità e nel nuovo paradigma integrale, olistico-sistemico.

Sono ormai innumerevoli gli studi e le ricerche per la valutazione della relazione tra la medicina occidentale moderna e la salute che mettevano in discussione il modello biomedico dominante.

Possiamo così sintetizzare le conclusioni:

La tecnologia medica moderna non è in grado, da sola, di affrontare e risolvere le “malattie della civiltà” più comuni. Gli interventi sul piano biologico, seppur si mostrano utili in casi di emergenza, hanno effetti irrilevanti sulla salute delle intere popolazioni. Solo di rado, i meccanismi biologici sono le cause esclusive di infermità.

La salute degli esseri umani è determinata in prevalenza, non dall’atto medico, ma bensì, dal loro comportamento, dalle loro abitudini alimentari e dalla natura del loro ambiente.

Capra F. (1987), Il punto di svolta, Feltrinelli, Milano.

Ringrazio chi ha avuto la pazienza di seguirmi fino a qui e vi lascio con alcune schede che prefigurano la luce oltre il buio, il trascendimento e l’inclusione del modello biomedico e del pensiero razionale verso un modello integrale sovra-razionale.

 

Medicina integrale

Una definizione che supera l’eterna dicotomia tra biomedicina e gli approcci tradizionali è stata proposta da Wilber con il termine Medicina Integrale. Qui di seguito ne propongo una versione modificata che comprende:

  • L’eccellenza della biomedicina adatta a intervenire sull’organismo dal punto di vista fisico.

  • L’ eccellenza delle medicine tradizionali, adatte ad un approccio olistico, sull’unità della persona.

  • L’eccellenza dell’approccio psicologico che metta al centro la relazione medico-paziente-ambiente.

Medicina tradizionale (non convenzionale)

  • Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) l’Omeopatia è il 2 ° più grande sistema medico al mondo, con un importante e costante tasso di crescita ogni anno a livello mondiale.

  • In Europa più di 100 milioni di persone utilizzano l’omeopatia e 50 mila sono i medici omeopati che la esercitano.

  • Nel mondo i medici sono oltre 500.000 e i pazienti che la utilizzano sono più di 600 milioni (secondo l’OMS), distribuiti in più di 100 Paesi.

  • Secondo i dati del Rapporto EURISPES Italia 2017, un italiano su 5 (il 21,2% della popolazione, pari a quasi 13 milioni di persone) fa uso di terapie non convenzionali (con una crescita del 6,7% rispetto al 2012).

  • Secondo il Rapporto, l’omeopatia è la medicina non convenzionale più amata in Italia, verso cui si orienta il 76,1% degli italiani. Seguono la fitoterapia (con il 58,7%), l’osteopatia (44,8%), l’agopuntura (29,6%), la chiropratica (20,4%).

Medicina tradizionale (pre-convenzionale)

  • tradizioni di cura peculiari dell’Africa Subsahariana

  • ayurveda medicina tradizionale cinese

  • sciamanesimo caratteristico della Siberia continenti sudamericano e nordamericano

  • guaritori tradizionali aborigeni australiani

  • medicina popolare e guaritori tradizionali dell’Europa

Quale scienza?

Le diverse teorie riconducibili alla Scienza della Complessità sono, tra le altre: 

  • teoria Generale dei Sistemi (Bertalanffy, Weiss),

  • cibernetica (Wiener),

  • termodinamica del non equilibrio (Prigogine),

  • teoria cellulare automata, (Von Neumann),

  • teoria della catastrofe (Thorn),

  • teoria dei sistemi autopoietici (Maturana e Varela),

  • teoria dei sistemi dinamici (Shaw, Abraham),

  • teorie del Caos.

Altri metodi di ricerca scientifica

  • transpersonal-phenomenological research

  • research conducted through exceptional human experiences

  • Embodied Approaches to Transformative Research Praxis

  • Imaginal and Artistic Approaches to Transformative Research Praxis

  • Indigenous Approaches to Transformative Research Praxis

  • Tart’s essential science,

  • Varela’s first-person science (Varela 1999),

  • Wilber’s integral science (Wilber, 2011)

Braud, W. & Anderson, R. (1998) Transpersonal Research Methods for the Social Sciences. London: Sage.

Possibili cure

  • Cure domiciliari precoci

  • Medicina integrale

  • Aumentare difese

  • Prevenzione primaria

  • (alimentazione, abitudini di vita, attività sportiva, contatto natura)

  • Sviluppo potenzialità

  • (creatività, qualità, servizio, condivisione)

  • Curare la pandemia emozionale

  • (padronanza esperienza interiore, consapevolezza, liberazione dalla storia personale, realizzazione di Sé)                                                                                                                               

    P.L. Lattuada MD., Ph.D., Psy.D.

    djirendra@gmail.com

    www.integraltranspersonallife.com 

    www.pierluigilattuada.com

     

Photo by Rip Thorn                         

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

    Salva

    Salva

  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

    Salva

    Salva

  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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