by Jerry Diamanti
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Da poche settimane è in libreria il nuovo libro di Piero Cipriano, “Ayahuasca e cura del mondo” uscito per Politi Seganfreddo Edizioni, un testo dirompente che arriva alle lettrici e ai lettori dopo una serie di volumi pubblicati da Piero, dove si era impegnato sistematicamente a demolire le certezze della psichiatria contemporanea, partendo proprio dalla sua esperienza diretta di medico che da anni passa le sue giornate nelle corsie degli ospedali. Questa pubblicazione non è più solo di critica dell’esistente, è lo sguardo oltre alla cura pensata in modo etnocentrato, è una via oltre le “nostre” certezze occidentali. In questo breve ma intenso libro l’autore unisce misticismo e cura psichiatrica e afferma che la differenza tra psicofarmaci e psichedelici è una falsa frontiera. Secondo Cipriano, è giunto il tempo, anche qui nella vecchia e malandata Europa di tentare la cura con e dell’Ayahuasca.
Ayahuasca significa viaggio tra mondi che uniscono mentale e reale in modo inedito. Le domande a cui cerca di rispondere in queste appassionate pagine sono tante ma la principale è se sia possibile curare i disturbi psicopatologici con questa pianta e metodo, ribaltando l’idea che sta alla base della psichiatria e psicanalisi attuale. Un viaggio tra i territori della sperimentazione di uno medico che ci ha abituato negli anni alla sua irregolarità, sovversione delle norme, insomma al suo essere un anarchico riluttante.
1-Caro Piero ormai da quasi un decennio sei diventato il punto di riferimento per chi è critico della psichiatria contemporanea (quella che hai chiamato “manicomio chimico”), hai pubblicato vari libri importanti ma soprattutto la tua pratica medica è destrutturante della prassi “repressiva” di chi soffre disagi psichici. Detto questo mi sembra che questa tua nuova pubblicazione apra una nuova strada, un approccio altro che prima non avevi indagato come medico e come persona, ovvero decentrare lo sguardo dello psichiatra occidentale verso qualcosa che ha fondamenta completamente diverse. Sei andato oltre l’etno psichiatria potremmo dire forse esagerando o forse no, verso la via sciamanica. Piero cosa è successo?
È successo che non potevo andare avanti con la critica, la dissidenza, la radicalità, la parte destrues, la riluttanza alla psichiatria d’establishment – pur continuando a lavorare nel più hard dei luoghi psichiatrici, il SPDC, quindi da una posizione, la mia, che non è mai stata antipsichiatrica. Il fatto è che noi psichiatri, tutti dico, i duecentomila psichiatri del pianeta, gli undicimila psichiatri di questo paese, non facciamo mica gli psichiatri – ovvero coloro che agiscono la psichè iatreia, la cura d’anime – macché, noi non sappiamo neppure che cosa sia la cura psichica, continuiamo a usare come tanti burattini i farmaci che big Pharma ci mette a disposizione, rispetto ai quali ci alleva, ci istruisce, ci compra, e distribuiamo pasticche quotidiane e siringhe mensili e convinciamo le persone che questa sia la cura. Ma non curiamo l’anima. Imbrigliamo il corpo, se mai. Siamo Iatros che iatrogenizzano. Gli Iatros che utilizzano la sola parola sono meglio forse? Non mi pare. Anni spesi a sganciare denari e parole. Salvo rarità, si capisce. E dunque dal 2018 – come scrivo nell’incipit del libro – “decido di incamminarmi sulla via della ricerca psichedelica”. All’inizio leggo e compulso da vero ossessivo e monomaniaco tutto ciò che era stato scritto sull’argomento. Dopo passo alla fase successiva. Vedere sul campo. E qui colgo l’abissale differenza tra le – semplifichiamo – tre vie in cui la psichedelia può declinarsi: la via psiconautica di chi fa da sé, gli entronauti, gli esploratori solitari del proprio mondo psichico. Poi la via scientifica, quella dei terapeuti psichedelici. E questa subito mi ha mostrato alcuni dei suoi limiti. Perché è una via molto ma molto più ingenua, scarsa di sapere, assolutamente novizia, rispetto alla via che viene da molto lontano: la via ancestrale, o curanderica, o per dirla con un’espressione ormai un po’ troppo inflazionata (da quando Mircea Eliade ha reso planetario il termine sciamano): la via sciamanica.
2-Quale è l’ipotesi sciamanica dei disturbi psichici?
Prende ovviamente dalle esperienze e dagli scritti di antropologi alcuni dei quali hanno passato la linea di confine e si sono fatti essi stessi sciamani – quelli che, dice Jean-Loup Amselle, hanno tradito la causa antropologica – penso a Michael Harner, a Gerardo Raichel-Dolmatoff, a Jeremy Narby, oppure a terapeuti che operano da sciamani, lo psichiatra Claudio Naranjo, ad esempio, o Carlo Zumstein, o Jaques Mabit. Ma prende anche da anti-psichiatri come Ronald Laing che avevano fatto – con Timothy Leary – esperienze psichedeliche. Ecco – scusa l’inciso – capirai che da questo momento in poi mi allontano dal mio maestro Basaglia perché Basaglia – a parte andare a fare le sue conferenze in Brasile prima di morire (sarà stato il richiamo della foresta-farmacia del mondo amazzonica?, mah) – a una proposta terapeutica trascendentale, per così dire, o quantistica, per usare un’altra espressione in via di abuso, non ci sarebbe mai arrivato, legato com’era a basi marxiane e husserliane e sartriane, che gli precludevano certi sviluppi. Mi allontano da Basaglia, dunque, e mi avvicino a un altro grande psichiatra italiano, lui sì etnopsichiatra, Piero Coppo, purtroppo da poco venuto a mancare. Coppo parte dal discorso culturale. Sembra quasi riprendere l’apologo di David Foster Wallace: Questa è l’acqua. I pesci che nuotano nell’acqua, mica si rendono conto di essere nell’acqua. Tutto è acqua, scrive DFW. Così noi, dice Coppo, siamo “immersi in un brodo culturale” di cui neppure ci rendiamo conto a meno che il brodo cambi, a meno che l’acqua in cui nuotiamo sia diversa. Per restare sul nostro tema, dunque, ci sono culture provviste di sofisticate tecnologie del sacro, dispositivi per entrare e uscire dagli stati non ordinari della coscienza. Con tecniche esogene (piante) o tecniche endogene (respiro, meditazione, digiuno). Queste culture – che agli occhi dei moderni occidentali appaiono primitive – Coppo le definisce polifasiche, perché approvano diversi stati di coscienza. Coltivano l’abilità di passare dall’uno all’altro. Sono le culture impregnate di sciamanismo. Viceversa, la nostra cultura, moderna, occidentale, è rigidamente monofasica. La dittatura dello stato di coscienza ordinario ha espulso dal nostro brodo culturale gli altri stati di coscienza, che sono stati patologizzati, e sono diventati psicosi, schizofrenia, isteria, disturbo dissociativo, personalità multipla. Ecco come Piero Coppo spiega i disturbi psichici nel mondo occidentale: molto probabilmente sono degli stati non ordinari della coscienza che, per il set e setting in cui si manifestano (cioè fuori da un dispositivo ritualizzato ma eventualmente dentro un reparto psichiatrico) diventano stati di coscienza senza ritorno (cioè stati psicotici). La sua proposta? Imparare a “passare da una trance selvaggia a una trance liturgica” affidandosi al sapere dei “signori del limite”, alle tecniche delle “guide della soglia”. Ovvero agli sciamani o – in occidente – ai terapeuti psichedelici. Stesso discorso è quello che fa Jaques Mabit, il medico francese che in Perù ha creato Takiwasi, lui pure è persuaso che tossicodipendenti, schizofrenici, depressi e altri divergenti psichici siano potenziali sciamani che senza guida e senza brodo culturale adeguato hanno fallito – direbbe Joseph Campbell – il viaggio dell’eroe. D’altra parte, Claude Levi-Strauss considera lo sciamano uno psicanalista selvaggio, invece secondo me lo sciamano è più simile all’antipsichiatra, Laing che non a caso ne La politica dell’esperienza – libro fondamentale – propone la teoria che il delirio sia un equivalente del viaggio sciamanico – col racconto di questa tesi di Laing, infatti, si chiude il mio libro.
3-Il libro si concentra soprattutto su una pianta e il suo uso, raccontaci qualcosa sull’Ayahuasca da un punto di vista di utilizzo extra Europa.
Il libro insiste più su questa bevanda e sulle piante che la compongono perché questo Leonardo Caffo e l’editore rabdomante mi hanno chiesto. E mi hanno chiesto l’ayahuasca perché oggi l’ayahuasca è la star delle pozioni psichedeliche. L’ayahuasca è oggi ciò che negli anni 50-60 era la Lsd. Ma non potevo scrivere solo di ayahuasca senza fare un po’ una sinossi anche delle altre sostanze psichedeliche, dai funghi psilocibinici ai cactus mescalinici dalle radici ibogainiche ai rospi dimetiltriptaminici, eccetera. L’ayahuasca, tuttavia, anche se agli editori fa gola mettere il titolo sul libro (fosse per me non avrei usato Ayahuasca nel titolo), è assolutamente inafferrabile. E lo sarà – dico nel libro – anche per la scienza. La scienza non la acchiapperà. Non la farà mai sua. E se la imbottiglierà pur chiamandola ayahuasca quella roba lì non sarà ayahuasca. Perché l’ayahuasca – o la sua versione cruda: la jurema – è un assoluto mistero. Non si sanno molte cose di lei. Chi dice che esiste da poche centinaia di anni (Samorini) chi dice che esiste da cinquemila anni (Naranjo). E poi non si sa come gli ayahuasqueros amazzonici siano riusciti, tra migliaia di piante visionarie di cui la foresta dispone, a isolare due piante, una liana (la banisteriopsis caapi) che essendo provvista di Imao, sa inibire i nostri enzimi gastrici consentendo all’altra pianta (la psicotria viridis) che viene bollita insieme, provvista di Dmt, l’elemento visionario, di procurare le visioni agli umani. Tuttavia, questo è uno schemino semplice per neofiti. Le cose sono più complicate perché – spiego nel libro – l’ayahuasca è un contenitore farmacologico multiuso che ogni volta cambia, perché diverso è l’umore dell’alchimista ayahuasquero che la cucina, e diverse sono le piante che possono essere aggiunte (foglie di tabacco amazzonico il cosidetto mapacho, o qualche foglia di datura, o di coca, eccetera). E poi l’assunzione cerimoniale della bevanda dei morti si nutre dei canti con cui l’ayahuasquero accompagna la cerimonia – gli icaros – e questi hanno una parte di assoluto rilievo nell’esperienza. A partire dagli anni 30 del secolo scorso, inoltre, in Brasile si sono formate delle chiese – Santo Daime, Barquinha, União do Vegetal – che per sacramento hanno proprio l’ayahuasca, esse hanno sincretizzato la spiritualità amazzonica con quella cristiana ed è grazie a queste chiese che la bevanda ayahuasca è progressivamente uscita dalle comunità amazzoniche per raggiungere le grandi città americane o europee. Poi hanno cominciato a operare sempre più curanderos (o vegetalistas, o ayahuasqueros) sia nativi, sia meticci sia bianchi, fuori dall’istituzione religiosa sincretistica, che dal mio punto di vista – e anche dal loro, molti curanderos mi hanno detto – è comunque una limitazione per alcuni, una camicia di forza per altri. Insomma le chiese ayahuasquere, e questa sempre maggiore offerta di ayahuasqueros, ha innescato, a partire dagli anni 80 – anni, in occidente, di demonizzazione, proibizione, criminalizzazione delle terapie psichedeliche – un crescente flusso di “turisti enteogeni”, ovvero persone che nel mondo moderno, scientifico, non ottenendo cura adeguata dalla medicina o dalla psichiatria, sono andati a divezzarsi da droghe (eh sì, un bel paradosso, droghe terapeutiche che curano dipendenze da droghe patogene), a curarsi depressioni e altro disturbi psichici, oppure perfino a curarsi malattie non psichiche (tumori, malattie neurodegenerative, eccetera) perché questa bevanda ahimè non sa nulla della separazione cartesiana tra mente e corpo e si considera medicina tout court, e olisticamente prova ad aggiustare quel che c’è da aggiustare. Insomma, ho fatto una sintesi molto grossolana, già il libro mi è parso una sintesi riduttiva di un sapere ancestrale molto profondo, in una intervista non posso dire di più.
4-Quindi questa pianta perché potrebbe aiutarci da un punto di vista “psichiatrico”, o meglio perché potrebbero aiutarci le terapie psichedeliche? ce la racconti brevemente da un punto di vista “scientifico”?
Provo a riassumere perché le terapie psichedeliche funzionano molto meglio – e in modo completamente diverso – dagli attuali psicofarmaci. Faccio un rapido excursus storico. Negli anni 50, quando la psichiatria era senza farmaci, all’improvviso una competizione tra diverse molecole, per diventare lo psicofarmaco perfetto. Da una parte le molecole più rassicuranti, quelle che poi hanno vinto la partita e ci accompagnano ancora oggi (neurolettici, ansiolitici, stabilizzatori dell’umore, antidepressivi). Dall’altra molecole dirompenti (Lsd, psilocibina dei funghi, mescalina dei cactus) che espandevano la coscienza e – disse Aldous Huxley – regalavano una “grazia gratuita”. Ovvero, per dirla col termine che Huxley coniò insieme allo psichiatra Osmond, facevano psiche + delos, la psiche si auto rivelava a se stessa. Insomma, in un ventennio queste molecole troppo esplosive, poco gestibili, evasero peraltro dai luoghi medici diventando strumento della controcultura, intimorirono il governo statunitense che le rese illegali. Per un trentennio – anni 70/80/90 – quello in cui sono diventato medico, la psichedelofobia ha nutrito le convinzioni dell’opinione pubblica e degli psichiatri: queste molecole bruciano il cervello, sentivamo ripetere. E ci credevamo. A partire dagli anni 90 ricominciano in sordina gli studi psichedelici. Che esplodono a partire dal 2006. Un articolo importante della John Hopkins University ci informa che la psilocibina determina esperienze mistiche, e che queste esperienze sono trasformative e terapeutiche. È notevole questa cosa. Dopo un po’ di secoli, il misticismo ritorna nel discorso scientifico. Non ci si crede. Un altro gruppo di ricerca, quello dell’Imperial College, con studi di RMN funzionale comprendono cosa succede al cervello quando una molecola psichedelica – che sia psilocibina o Dmt dell’ayahuasca o altro – si lega ai recettori della serotonina. Un’area di comando detta Default Mode Network si inibisce, e aree cerebrali che mai si sono connesse o parlate si connettono. Accade che per alcune ore domina l’entropia o – per dirla con una metafora che a noi due piace – una mente rigidamente governata dalla DMN, all’improvviso senza DMN diventa anarchica, senza capo si auto organizza, non più separazione tra le varie aree ma cosmopolitismo neuronale e questo rompe l’ego, ego dissolution lo si chiama, e via di ricordi, intuizioni, soluzioni diverse per il proprio modo di essere al mondo. Ma la dissoluzione dell’io vuol dire – anche – che per qualche ora una persona trascende la sua persona e si fonde con un’altra persona o un animale o il pianeta o il tutto. Insomma, quel vissuto – che lo si chiami esperienza mistica o stato estatico o episodio di picco – ti porta a voler più bene a te stesso ma pure agli altri, perché per qualche ora sei stato anche gli altri. Capisci che se non saranno addomesticate – come temo accadrà – la portata di queste molecole va al di là della cura psichica. Ecco perché nel titolo parlo di cura – perfino politica – del mondo.
5 -A un certo punto nel testo ci i parli di un sogno, dell’ospedale psichedelico, pensi veramente che sia una via percorribile? o è solo un sogno? ti sto chiedendo se secondo te curare attraverso l’uso di piante sacre in una struttura ospedaliera possa funzionare o è uno snaturare completamente l’utilizzo di queste piante “sacre” per le popolazioni native e quindi de-potenziarne l’effetto? La mia paura è che senza accompagnamenti rituali, senza preparazione certe piante o funghi possano creare in soggetti inconsapevoli danni profondi e ingestibili, ma parlo da profano.
E’ una paura, quella tua, che condivido in pieno. La scienza non sa che farci con queste tecniche ancestrali. Il potere ne ha paura. Negli anni 70 reagì con la messa fuori legge. Criminalizzarle. Ora sono tornate. Al potere adesso serve un altro modo per disinnescarle. Il modo per disinnescarle adesso è addomesticarle. Portarle in ospedale e togliere – appunto – tutto l’elemento extra molecolare, ovvero il setting, che sarebbe il contesto, il rituale, il curandero, il canto, tutto ciò fa parte della cura. E proporre alle persone una versione – non visionaria si dice – più blanda. In Italia l’Esketamina è l’esempio di una molecola psichedelica attenuata. Tra l’altro, a proposito di setting: la quasi totalità degli psichiatri italiani che somministra Esketamina non ha idea di ciò che sta somministrando. Somministrano ciò che – ancora una volta – big Pharma gli mette a disposizione. Ma prima di questa molecola – fino al giorno prima – erano ancora affetti dalla psichedelofobia con cui sono stati fabbricati.
Il sogno dell’ospedale psichedelico è un sogno, infatti, una provocazione, trasformare i manicomi in ospedali psichedelici, luoghi di morte psichica in luoghi di rinascita psichica, in realtà mettiamo che un ministro della salute meno fobico del precedente mi desse questo incarico, si potrebbe fare un ospedale misto scientifico-sciamanico, una sorta di Takiwasi. Perché no. Un sogno, appunto.
6- Il libro si conclude con una nota importante:
Dato lo stato delle cose – le sostanze di cui scrivo sono proibite, ovvero in Tabella I – tengo a precisare che in questo libro, soprattutto i capitoli centrali – L’abuela e io – che potrebbero incriminarmi, sono fiction, finzione, inventati di sana pianta. Bella questa: la pianta che sana, in effetti, è proprio il succo del libro, insomma: non sono realtà. Ma d’altra parte, dovrebbe esservi chiaro, a questo punto, che il confine tra realtà, sogno, allucinazione e illusione è fittizio. La realtà non esiste. Questo libro che avete tra le mani è un agglomerato ondulatorio di quanti che ci sono e non ci sono: questo libro non esiste. Io che l’ho scritto? Io nemmeno esisto. E voi? Esistete forse?
Quindi dobbiamo leggere questo libro come un romanzo o ci stai dando delle speranze di cambiamento nel mondo del disagio psichico che è in grande aumento soprattutto dopo i due anni di pandemia? Cambierà qualcosa nei prossimi anni nel mondo della ricerca?
Io non sono capace di scrivere in un genere, i miei saggi sono infarciti di pezzi di non fiction novel, e dunque pure questo libro è così, con parti saggio-saggio in cui mi limito a smembrare e riscrivere cose dette fatte scritte da altri. Invece, soprattutto nella parte centrale, mi piglio delle licenze, e dunque lì sì, diventa romanzo, ma il romanzo non inficia la verità.
Qualcosa sta cambiando, assolutamente. Le molecole psichedeliche saranno i nuovi psicofarmaci. Di ciò sono sicuro. Non so come, questa volta, la forza di queste molecole potrà essere ostacolata. Ma qualche indizio già c’è.
Andrea Staid
Foto di Mulyadi
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- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com
- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com
- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com
- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com