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by Jerry Diamanti

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La scintilla con Fariba Bogzaran è scoccata dal nostro primo incontro: a SAND ci siamo conosciuti di persona tra i boschi e le colline verdi dell’Umbria e subito riconosciuti per la semplicità e il calore umano che ci accomuna. Artista geniale votata all’esplorazione della coscienza attraverso le arti visuali, scienziata dall’approccio olistico con quasi quaranta anni di esperienza internazionale, docente e fondatrice del programma di studi sul sogno dell’Università John Fitzgerald Kennedy di Berkeley in California, Fariba ci ha scosso nel profondo raccontandoci delle sue esperienze, del suo amore per l’oceano e per la natura selvaggia.

M – Come contribuiscono i sogni al processo naturale di realizzare l’interezza che siamo?

F – La via che si rivolge all’interezza è nella disposizione a riportare  tutte le parti all’unità. Non siamo divise nella mente, nel corpo, nelle emozioni, nella psiche, siamo esseri umani interi, ma in qualche modo il nostro sviluppo umano e determinate condizioni esterne lentamente ci rendono come separate da chi siamo e per il resto della nostra vita cerchiamo quell’interezza originaria. Quando nasce un bambino non pensa che il sogno e la veglia siano separati o che la natura e gli esseri umani siano divisi. Nasciamo come entità non duali e poi attraverso il nostro sviluppo diventiamo pensatori dualistici. Naturalmente il mondo non è fuso insieme, ma la sensazione vitale, il “felt sense” di essere connessi alla profondità dei nostri mondi interiori e del nostro ambiente naturale è essenziale per la prospettiva dell’interezza.

Rispondere alla domanda sui sogni e sull’interezza può essere complesso.

Nel nostro sviluppo ci corazziamo per sopravvivere a traumi e ad altri eventi inaspettati della vita. Quando il momento è giusto e abbiamo uno spazio sicuro per prendere consapevolezza in profondità nella nostra psiche, abbiamo l’opportunità di portare delle realizzazioni nella nostra narrazione in riguardo alla vita, esplorare determinate aree ed entrare in uno spazio di interezza.

Nel grembo materno trascorriamo molto del nostro tempo sognando. Anche quando nasciamo e nei primi anni di sviluppo, molto del nostro tempo viene vissuto nel sogno. L’apprendimento qui continua man mano che acquisiamo più esperienze nella veglia. Nel periodo dello sviluppo prima o poi, il consenso collettivo ci costringe ad avere la percezione che lo stato di Veglia è la “realtà” e che il Sogno sia solo un affascinante insieme di esperienze. Impariamo che quando chiudiamo gli occhi, letteralmente ci disconnettiamo dal mondo e “cadiamo” nel sonno. C’è una divisione arbitraria tra la nostra coscienza di veglia e la coscienza di sogno. Sì, c’è una chimica che cambia fisiologicamente in entrambi gli stati, ma la coscienza è un continuum.

Che ne siamo consapevoli o meno, incarniamo le esperienze di vita nei sogni e a loro volta le esperienze oniriche influenzano la nostra vita desta. Sappiamo che trascorriamo un terzo della nostra vita nel sonno e se abbiamo vissuto 7-8 ore di sonno probabilmente avremo avuto diversi sogni in fase REM (Rapid Eye Movement) e molte esperienze oniriche in altre fasi del sonno (tranne il sonno profondo a bassa frequenza di Fase 4).

Dedicarsi gradualmente alla consapevolezza del sogno, per realizzare dove e come viviamo il nostro tempo di sogno, può portarci in contatto con la totalità di chi siamo. Il tempo onirico è complesso. Poiché siamo esseri multidimensionali, i sogni sono multidimensionali. Esistono molti tipi di sogni e come questi possano diventare parte integrante della nostra vita dipende dalla persona. I sogni possono essere una fonte d’ispirazione creativa, guarigione, risoluzione dei problemi, esperienza spirituale, comprensione psicologica ed emotiva e, allo stesso tempo, ci sono sogni che sono puramente collage senza senso di pensieri ed esperienze. In che modo i sogni partecipano al nostro processo per diventare la totalità di ciò che siamo?

Ebbene, se ignoriamo il sogno, riconosciamo solo una parte di ciò che siamo, quindi la consapevolezza di questa parte della vita è essenziale per questa totalità.

M – Che ruolo ha il sogno nello sviluppo psicobiologico della persona?

F – Da bambini abbiamo trascorso molto tempo a sognare, proprio attraverso questo processo il nostro cervello si è sviluppato via via al massimo delle sue capacità. All’età di tre anni abbiamo attraversato quella che viene chiamata la lateralizzazione del cervello in cui il cervello destro e sinistro si sviluppano allo stesso modo. I primi tre anni del nostro sviluppo sono trascorsi sia nel sogno, che nell’osservazione e nell’apprendimento della veglia. Dal camminare, al nutrirci, all’ascoltare il linguaggio e imparare a parlare, al periodo di elaborazione dell’attaccamento generato dalla fine della fusione intersoggettiva (separazione-individuazione) in cui mettiamo alla prova la nostra separazione fisica e psichica da nostra madre.

La  ricerca scientifica di Solms mostra come sia la regione del prosencefalo ad essere responsabile della generazione dei sogni. Naturalmente il prosencefalo è anche responsabile delle funzioni cognitive più elevate, della risoluzione dei problemi e si collega anche all’esperienza del sogno lucido. Poi la parte importante è anche la chimica delle emozioni.

M – I sogni hanno la tendenza a coinvolgere anche emozioni negative, come fa il corpo a metabolizzarle?

F – Le emozioni nei sogni sono le stesse della veglia. Se siamo arrabbiati, tristi, felici, gioiosi in sogno e ci svegliassimo, subito  proveremmo la stessa emozione. L’avvento di un’emozione negativa nei sogni può avere un impatto fisiologico nel corpo fisico. Quando diciamo che qualcuno si è svegliato dalla parte sbagliata del letto intendendo che si è svegliato con un’emozione negativa, se risalissimo al sogno potremmo scoprire che il suo tono emotivo prevalente potrebbe essere spiacevole. Non c’è motivo di svegliarsi ansiosi, arrabbiati o tristi a meno che non abbiamo a che fare con problemi nella realtà desta che suscitano tali emozioni o forse potrebbe esserci un’interazione biochimica. Ad esempio nel caso di PTSD (Sindrome da Stress Post Traumatico). L’evento sopraffacente avvenuto nella veglia suscita una particolare emozione che a sua volta si incorpora nel sogno: per questo la persona potrebbe anche avere incubi ricorrenti, sogni inclini all’ansia o immagini di situazioni legate ai traumi che si manifestano d’apprima gradualmente per poi talvolta aumentare lentamente fino a diventare ansia e trasformarsi in incubi. Questi potrebbero essere densi di ansia a tal punto da far risvegliare il sognatore.

Per questo motivo è importante affrontare i problemi e le emozioni negative nella vita desta. Avere l’abitudine continuativa di svuotarsi dai pensieri negativi, dalle preoccupazioni e dalle ansie prima di andare a letto con semplici pratiche di meditazione e respirazione che possano aiutarci ad addormentarci in uno stato di equilibrio. Ovviamente questo è più facile a dirsi che a farsi. Come rilassi le persone che stanno soffrendo nel bel mezzo di una guerra, carestia, di un brutto divorzio, lutto o dolore? Non è facile. Abbiamo esperienze di vita, sfide ed imprevisti, come le gestiamo?

Una qualità con cui possiamo farlo è la Consapevolezza. Dobbiamo permetterci di sentire i nostri sentimenti quando siamo in una situazione appropriata. Ad esempio, nel momento del dolore possiamo essere coinvolte nella situazione con tutte le forme di dolore che si presentano. Essere presenti all’emozione e poi pian piano cavalcarne l’onda. Ad esempio, conosco una persona che vuole essere sempre felice. Questo è il suo obiettivo nella vita, il che è meraviglioso. Ma quando si presenta una situazione di vita difficile, la nega e fugge da essa al punto da causare difficoltà a tutti coloro che lo circondano per non perdere la sua felicità. Ha anche lasciato morire sua moglie perché non poteva affrontarne le difficoltà.  E’ scappato con un’altra donna. Eppure soffre di un’ansia di fondo. La felicità è uno stato mentale. Sarebbe meraviglioso essere sempre felici, ma di nuovo proviamo ad abitare l’esperienza umana con tutte le sue emozioni. Una volta in contatto con questo possiamo iniziare ad affrontarle in modo appropriato, in modo da poter cambiare il panorama emotivo dei nostri sogni più inquietanti.

Fare pratiche di rilassamento, calmare il sistema nervoso e esprimere affermazioni positive prima di andare a dormire aiuterà ad avere esperienze più equilibrate. Dobbiamo ricordare che ogni notte abbiamo esperienze oniriche inaspettate. Siamo abituati a questi epici eventi onirici e questi ovviamente producono un loro paesaggio emotivo, se portiamo la negatività della veglia a quelle esperienze oniriche il colore dei nostri sogni cambia.

Per coloro che si scrivono i sogni e prestano loro attenzione, consiglio di osservare il loro tono emotivo poiché le emozioni possono sbloccare e lasciar emergere i significati del sogno.

Fariba a SAND 2018 in Umbria

M – Quando parliamo di significati qualcuno potrebbe pensare ad un approccio interpretativo classico, la decodificazione razionale degli elementi talvolta caotici dell’inconscio. Per ampliare questa visione potresti parlarci del “Sogno della farfalla” del filosofo taoista Chuang Tzu?

F – Il “Sogno della farfalla” è spesso citato nella moderna letteratura sugli stati di sogno. Chuang Tzu ci dice inizialmente che nel suo sogno era una farfalla, ma che al risveglio non era sicuro se fosse Chuang Tzu che sognava di essere una farfalla o una farfalla che sognava di essere Chuang Tzu.

Questa prospettiva multiprospettica ci sfida. Spesso pensiamo di svegliarci da un sogno e poi di poterlo interpretare, ma come sarebbe se in realtà fossimo noi ad essere sognati o se ci svegliamo in un altro sogno? Il risveglio potrebbe essere il grande sogno! Chuang Tzu non mette in dubbio cosa significhi un sogno di farfalla o cosa significhi essere una farfalla. Non ha proclamato che il sogno di una farfalla significa trasformazione o libertà. Semplicemente interroga ed esamina la sua percezione e mantiene una mente aperta. Il sogno potrebbe essere simbolico e potremmo interpretarlo in un modo, ma se fosse un’esperienza oltre la nostra limitata realtà costruita…

M – Il modo in cui viviamo il sogno può essere diretto o modificato dalle nostre convinzioni razionali di base? Potrebbero queste limitare la percezione e l’esperienza del sognatore?

F – Assolutamente. Nella mia prima ricerca, “Experiencing the Divine in Lucid Dream State” (Fare esperienza del Divino nello Stato di Sogno Lucido), ho dimostrato chiaramente come le nostre convinzioni fondamentali abbiano un impatto diretto sulle nostre esperienze oniriche. La nostra convinzione di base può limitare la nostra percezione e le nostre esperienze. Un modo per affrontare questo problema è esaminare le nostre convinzioni fondamentali. Allora abbiamo così tante convinzioni fondamentali su molte cose! Sarebbe una grande pratica di autoriflessione. In quali aree della vita abbiamo una posizione molto forte? Religione, politica, relazioni, lavoro, ecc. E come possiamo essere aperti ad altre idee o avere flessibilità per vedere altre prospettive. Come esseri umani siamo in un processo dinamico. Allo stesso modo in cui le rose sbocciano dispiegandosi, anche noi abbiamo bisogno di dispiegarci per vedere le dimensionalità in noi stessi e le potenzialità oltre la nostra immaginazione. È ciò che nel Buddismo Zen viene chiamato “Mente Aperta”. Abbiamo una mente piccola e una mente grande. A volte la piccola mente ama rimanere nella sua zona di comfort con la paura che accada qualcosa di nuovo. Dalla mia esperienza, quando riposo nella mia piccola mente, le mie esperienze diventano limitate, ma non appena mi apro alla grande Mente, accadono eventi inaspettati, comprese le sincronicità. In questo tempo in cui viviamo, è importante avere una mente flessibile, vedere altri punti di vista per espandere la nostra percezione e prospettiva. Naturalmente questa espansione della mente è correlata anche con l’espansione del cuore. Sono interrelati. Così come nell’antica filosofia cinese, in cui vi è una parola che allude all’unità cuore/mente.

M – Quanto può essere  importante ricordare e scrivere i sogni che abbiamo vissuto? E quale può esserne il proposito? 

F – I sogni possono essere facilmente dimenticati, a meno che non abbiano un impatto, emotivamente o visivamente. Le persone che sono interessate alla loro vita di sogno, registrano i loro sogni perché vogliono ricordarne l’esperienza. Alcuni preferiscono scrivere ogni sogno che ricordano e altri sono selettivi sui tipi di sogni che si annotano. I sogni possono essere scritti o registrati a voce.

Lo scopo della registrazione dei sogni varia a seconda dell’individuo. Il potenziale all’interno delle esperienze oniriche è enorme. Sono l’aspetto creativo di chi siamo. Ci sono tanti tipi di sogni ma sappiamo che ci sono molti sogni straordinari. Il fatto che siamo artefici e produttori di tali esperienze ci dà uno stimolo a prenderne coscienza. Inoltre c’è una forte connessione tra la vita onirica e la vita da svegli. Tornando alla tua prima domanda, prestare attenzione alla nostra vita onirica porta un senso di completezza in riguardo al chi siamo e cosa sta succedendo dentro di noi. Ricordiamoci che i sogni sono molto difficili da catturare nella loro interezza. Registrandola tratteggiamo solo un frammento dell’esperienza onirica.

M – Per coloro che vogliono iniziare a ricordare i propri sogni, hai qualche suggerimento da condividere che ci potrebbe aiutare?

F – Il mio metodo per ricordare i sogni è semplice: motivazione, intenzione e pratica. Se una è motivata, può stabilire l’intenzione di ricordare e poi praticarla. Un modo efficace per ricordare i sogni è avere un quaderno e una penna accanto al letto e prima di addormentarsi dirsi: “Stanotte voglio ricordare i miei sogni” oppure “Stanotte quando sogno voglio diventare lucido.” Quando ti svegli, aiuta a non aprire subito gli occhi e a non spostarti dalla posizione in cui ti sei svegliato. Se ricordi alcune parti del sogno, cerca di rimanere calmo in quello stato onirico per trovare i dettagli del sogno.

M – Puoi spiegarci qualcosa in riguardo all’Integral Dreaming Practice (Pratica Integrale del Sogno)?

F – Questa pratica è stata creata da un metodo che ho sviluppato nel 1984 chiamato Dream Creations (Creazioni di Sogno). La base di questo metodo è che i sogni sono creativi e che anche il nostro approccio ad essi deve avere elementi creativi. Poi, durante anni di pratiche interdisciplinari come il Ta’i Chi e lo sciamanesimo, ho  integrato questi metodi agli ambiti dell’arte e della psicologia di cui mi occupo da tempo. È così che è stato sviluppato. Successivamente, quando stavo scrivendo il libro “Integral Dreaming”, per la prima volta, ho espresso approfonditamente il processo di come vedo l’approccio ai sogni.

Spesso questi vengono incontrati da una prospettiva interpretativa. All’interno della pratica integrale considero l’approccio Non interpretativo e Riflessivo . L’interpretazione viene dal presupposto che il sogno debba essere sottoposto a comprensione cognitiva. Integral Dream Practice è un approccio al sogno che invita il sognatore a vedere i sogni da molte prospettive diverse e utilizzare numerose varietà di metodi per disvelare un sogno. Questo metodo funziona bene con grandi sogni o sogni eccezionali o di grande impatto, sogni che vanno oltre la nostra comprensione da desti. Se vogliamo dispiegare tali sogni, allora all’interno della pratica integrale il sognatore può avvicinarsi al sogno prima in modo non interpretativo.

Attraverso diversi metodi creativi di rientro nello stato onirico il sognatore “ritorna” al sogno e attraverso le arti creative, la scrittura automatica e la sintesi poetica incontra il sogno nella sua essenza. La scrittura automatica, ovvero scrivere senza pensare, è la mia preferita. Dopo aver annotato un sogno, seguilo con la scrittura automatica. All’interno di questa pratica, si può entrare in contatto con il flusso della coscienza mentre il sogno è ancora fresco e le intuizioni  sorgono da questo stato di flusso. Ci sono molti approcci espressivi all’arte, come il disegno, il movimento, il teatro o l’incarnazione del sogno.

Se i sogni sono l’arte della mente, allora in questo modo incontriamo il sogno nel proprio spazio. Se poi il sognatore vuole continuare, c’è la fase Riflessiva. Sulla base delle intuizioni della fase non interpretativa, il sognatore collega il contenuto con la propria vita quotidiana, o situazione passata o preoccupazioni future. All’interno di questa fase c’è un Atto Integrativo. Spesso riceviamo intuizioni da un sogno ma queste potrebbero permanere solo come tali senza portare allo sviluppo di alcuna azione. Come si integra questa nuova conoscenza nella vita di tutti i giorni? Il risultato alla fine è trasformativo.

M – Ci hai appena parlato dell’esistenza di metodi creativi per entrare volontariamente nello stato onirico. Puoi dirci qualcosa sull’uso del suono, della vibrazione, del ritmo? In che modo il battito ritmico, come ad esempio quello di un tamburo, può indurre uno stato di sogno?

F – C’è stato uno studio fatto da Melinda Maxfield nel 1990 chiamato “Effects of Rhythmic Drumming on EEG and Subjective Experience” (Effetti del battito ritmico sull’elettroencefalogramma e l’esperienza soggettiva). La Maxfield ha creato un tamburo seguendo la saggezza dell’I Ching e ha cercato di scoprire eventuali cambiamenti nell’elettroencefalogramma derivati dall’esposizione dei soggetti al suo uso. Per arrivare a uno studio di controllo, ha incluso nel lavoro anche l’uso del tamburo classico e del tamburo sciamanico. Ha scoperto che i tamburi sciamanici (tamburi ritmici) avevano effetti neurofisiologici sul cervello portando i soggetti ad esperire le onde Alpha e soprattutto le onde cerebrali Theta.

Naturalmente gli sciamani, che sono stati i nostri primi scienziati, avevano scoperto già questa conoscenza da migliaia di anni. Usavano i tamburi per guarire, per entrare in trance, per scoprire le medicine vegetali e connettersi con gli antenati. La loro metodologia era basata sull’osservazione e la verifica pratica, che è la madre della scienza.

Dal 1986 ho iniziato ad integrare il tamburo sciamanico nella mia pratica onirica e nei miei insegnamenti. Osservando con accuratezza ho scoperto che il tamburo sciamanico induce lo stato di sogno. Quando suono il tamburo i partecipanti entrano in quella che chiamiamo ipnagogia, la soglia del sonno. I partecipanti a queste esperienze hanno spesso “sobbalzi ipnagogici” e lievi cedimenti che sono indicatori dell’ipnagogia. Inoltre poiché sono da numerosi anni una praticante di sogni lucidi e ho fatto estensive ricerche su di essi, ho combinato l’uso del tamburo sciamanico alle pratiche sciamaniche chiamando tale integrazione Shamanic Lucid Dreaming (Sognare lucido sciamanico). Il rientro nel sogno con il tamburo è stato un aspetto essenziale dei miei insegnamenti negli ultimi trentacinque anni e all’interno della Pratica Integrale del Sogno, utilizzo questo metodo nella fase non interpretativa dell’essere con il sogno. Nel 1988 ho presentato questo metodo ai miei colleghi dell’Associazione Internazionale per lo Studio dei Sogni come un modo per esplorare lucidamente l’ipnagogia, ed è stato accolto molto bene. Attraverso anni di pratica ed osservazione di questo metodo, so che funziona. Tuttavia, per quanto esso sembri semplice, può anche rivelarsi assai complicato. Il praticante di questo metodo deve avere una formazione in più discipline: stati di coscienza sciamanici, studi sui sogni e psicologia somatica.

Quello che amo del battito ritmico in generale è che ci collega alla terra, al nostro corpo, alla nostra anima. È un modo per connettersi dentro e fuori e sentirsi parte dell’intero ritmo dell’universo. Più siamo connessi alla natura e ai nostri mondi interiori, più sentiamo quell’interezza e quella unità di cui abbiamo disperatamente bisogno a questo punto della nostra vita.

 

Intervista a cura di Jerry Diamanti e Nadeshwari Joythimayananda

Fariba Bogzaran Website

Photo by Jr Korpa

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    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

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    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

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    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

    Salva

    Salva

  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

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