by Jerry Diamanti
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Introduzione
Il lavoro è diventato intimamente connesso alla remunerazione monetaria e ci si chiede se le persone lavorerebbero ancora e quale lavoro sceglierebbero se questo incentivo venisse meno. Le definizioni di “lavoro” del dizionario sono varie; tra gli altri, alcuni si concentrano sull’ “adempimento regolare dei doveri per salario o stipendio” (Merriam Webster, nd def a) e altri ritengono che il lavoro implichi l’esecuzione di “un compito che richiede uno sforzo prolungato o operazioni ripetute continue” (Merriam Webster, nd def a) b). Il lavoro, o le attività che hanno a che fare con la nostra sopravvivenza e il nostro benessere, non sono sempre stati retribuiti finanziariamente; per capire il tipo di società in cui non erano associate al denaro, vi porto in un viaggio nel Paleolitico in Europa, dove risiedo in Spagna. Questo viaggio rivela che la divisione del lavoro non solo è cambiata dal nostro passato paleolitico, ma suggerisce che la prospettiva patriarcale moderna non ha riconosciuto l’importanza del ruolo del lavoro delle donne per quanto riguarda il loro contributo al nostro benessere generale come specie. Quest’ipotesi si basa sulla falsa rappresentazione scientifica della divisione del lavoro tra i diversi sessi nelle società preistoriche, sull’assenza di riconoscimento della capacità innata di prendersi cura propria delle donne come fondamento della nostra cultura, sul mancato riconoscimento del loro ruolo nello svelare i segreti della natura attraverso l’analogia con il suo corpo e l’incapacità di rendersi conto che le donne forse furono le prime a postulare una comprensione spirituale dell’Universo in cui la Cosmica o grande Madre era vista come procreatrice e permeante tutti gli esseri viventi. Sulla base di questa prospettiva, la mancanza di remunerazione per il lavoro tradizionalmente svolto dalle donne nell’ambito del Prodotto Interno Lordo (PIL), rivelata da Marylin Waring (1988) nel suo libro ‘If Women Counted’, è solo la punta dell’iceberg della violenza perpetrata contro il valore della donna e il suo lavoro. Quando una società e il suo sistema educativo promuovono sottilmente una prospettiva di potere su qualsiasi segmento della popolazione attraverso il deprezzamento dei loro talenti e del loro contributo in qualsiasi sfera, anche la parte dominante ci perde, poiché quel segmento non è allineato con il loro centro e svaluta la forza vitale che anima tutta la creazione.
Il nostro passato paleolitico
Gruppi di persone conosciuti come homo sapiens iniziarono ad arrivare in Spagna circa 40.000 anni fa, probabilmente attraversando i Pirenei. Non furono i primi ad arrivare in questa terra poiché ad Atapuerca e a Granada sono stati trovati resti umani risalenti a 1.200.000 di anni fa. L’uomo di Neanderthal era ancora presente quando arrivò l’homo sapiens e coesistettero per circa 2.600-5.400 anni (Zilhão et al 2017); è più che probabile che alcuni di loro si siano incrociati con i nuovi arrivati. I nuovi arrivati in Spagna condividevano “un sistema socio-culturale comune che era matrilineare, una terminologia Borneman (1975) coniata nel 1975 per riferirsi a un sistema che caratterizza le culture europee durante il Paleolitico” (Lindhard, 2021, p.118). Probabilmente vivevano in clan matrilineari composti da circa 25-30 membri, che includevano maschi, ma, a quei tempi, il matrimonio non esisteva (Borman; 1975 & Garcia Ledger, 2017). Come le moderne società di cacciatori-raccoglitori, non avevano una dimora fissa e i loro movimenti costanti consentivano loro di incontrare altri clan. Lo spostamento facilitava i rapporti sessuali al di fuori del clan madre, che in termini antropologici vengono definiti promiscui.
Il ruolo della donna nel clan
Sebbene antropologi e storici maschi abbiano messo l’accento sul ruolo dell’uomo antico come cacciatore basato sulle odierne società di cacciatori-raccoglitori, le antropologhe hanno sottolineato che le proteine animali non furono la principale fonte di cibo, bensì le piante, le noci e le bacche raccolte dalle femmine ( Ruether 2005). Questa rivelazione sfata il mito avanzato da “teorici sociali del diciannovesimo e ventesimo secolo come Spencer, Durkheim, Tonnies, Simmel e Weber, che presumevano che la produzione per la comunità fosse un affare maschile (e solo maschile) sin dall’inizio dei tempi (vedi: Chafetz 2006, McPhillips 1995, Sydie 1987 in Nicholson, 2008, 75). Contraddice anche la “credenza che l’attuale disuguaglianza dei sessi avesse le sue radici in uno stile di vita antico e nelle differenze biologiche intrinseche tra i sessi” (Zihlman 1981, p. 76). “Queste intuizioni mettono in discussione anche la narrazione storica di Wilber (1995;1996;1998), che, influenzato da Habermas, parte da un sistema di genere in atto fin dall’inizio che separa il lavoratore sociale (maschio) dalla badante (donna)” ( Lindhard, 2021, pag. 115). Durante il Paleolitico non esisteva una “mamma a casa” poiché gli esseri umani non avevano una casa fissa.
Dato che lo scioglimento dell’era glaciale in Europa iniziò solo tra il 30.000 e il 10.000 aC, la vita era fisicamente dura. Intorno al 12.000 AC, le temperature nel nord della Spagna erano comprese tra -5 e +5 in estate e nel sud della Spagna erano di circa 15 gradi inferiori rispetto alle temperature attuali (Garcia Legar 2017, p. 36). Crescere i bambini in queste condizioni dev’essere stato difficile; non esisteva l’agricoltura, servivano più mani per il lavoro: avere e allevare figli era un compito specializzato e generoso che non produceva guadagno per sé.
Sebbene questo lavoro ricadesse principalmente sulle donne, i membri maschi del clan probabilmente contribuivano. La divisione del lavoro non era strettamente basata su linee sessuali ed era più probabilmente interdipendente, complementare, sovrapposta e flessibile (Hudecek-Cuffe, 1996, p. 93). I resti fossili mostrano che le donne erano forti, alte e molto muscolose; in media vivevano solo circa 34 anni, anche se non ci sono tracce di nessuna delle malattie degenerative emerse nel Neolitico in coincidenza con l’addomesticamento dei cereali (Garcia Legar 2017). Resti fossili indicano che anche le femmine prendevano parte alla caccia, il che supporta l’ipotesi che la divisione del lavoro tra i sessi fosse flessibile (Wei-Haas, 2020).
Donne come creatrici di oggetti
Essendo nomadi, non appena una donna aveva un bambino, doveva legarselo alla schiena per poter portare avanti le faccende quotidiane. È più che probabile che le donne abbiano inventato modi per portare i loro bambini e i vari prodotti raccolti. È anche un’ipotesi ragionevole che, come raccoglitrici, le donne abbiano scoperto modi per scavare radici usando altri materiali naturali a portata di mano. Poiché usavano le pelli per riscaldarsi, probabilmente entrambi i sessi lavoravano a questo compito.
La capacità innata di prendersi cura e di comunicare delle donne come fondamenti della cultura
Garcia Ledger (2017) suggerisce che la base materna nelle società matristiche fornisce la genesi della cultura umana, ed è “la magia della maternità attraverso la quale il principio dell’amore divino, dell’unità e della pace si manifesta in una vita piena di violenza. Custodendo il frutto del proprio corpo, la donna, prima dell’uomo, sviluppa la sua capacità di amare oltre i limiti del proprio essere. Questa cura è la base dello sviluppo della cultura; da esso deriva tutto il buon lavoro della vita, tutta la dedizione, tutta la cura e tutto il lutto finale” (Bachofen in Garcia Ledger 2017). Sebbene la cura si trovi anche in altre specie come la leonessa, in esse non ha mai dato origine allo stile di vita culturale che troviamo nell’homo sapiens, suggerendo che sono necessari più ingredienti se vogliamo capire cosa distingue l’uomo dagli altri animali.
Il periodo paleolitico è preistorico in quanto non esiste una storia scritta, sebbene i disegni rupestri fossero probabilmente uno dei modi in cui comunicavano ciò che era importante per loro. Davis (1984) vede l’arte rupestre come “un mezzo di comunicazione in tre contesti principali: una rete estesa di atti e credenze rituali, di percezioni e conoscenze fuori dall’ordinario e di informazioni locali adattativamente significative” (abstract ). Sulla base delle impronte di mani su stencil trovate nelle grotte in Spagna e altrove, l’antropologo Prof Dean Snow (2006) ha stabilito che il 75% degli artisti del Paleolitico superiore erano donne (Wang, Ge, Snow, Mitra e Lee Giles, 2013; Snow, 2006), Lindhard (2021) suggerisce che l’arte rupestre è stata anche un modo in cui queste prime artiste hanno potuto condividere la loro spiritualità e anche “conciliare la tensione tra le esperienze dell’ineffabile e allo stesso tempo fornire un’espressione didattica fondata sulle immagini” (pag. 125). Insieme all’innata capacità di prendersi cura di una donna, questo bisogno di comunicare alle generazioni future può costituire alcuni degli “altri ingredienti” che non solo hanno dato origine alla cultura, ma ci rendono decisamente umani.
Il corpo della donna come anello unico per svelare i segreti della natura
Gli abitanti del Paleolitico vivevano in stretto contatto con la natura; tuttavia la regolarità del ciclo mestruale delle donne probabilmente le rendeva molto più sensibili ai ritmi della natura rispetto agli uomini (Lindhard, 2021, p. 122). Prima della luce elettrica, Helfrich-Förster et al (2021) hanno scoperto che i cicli mestruali delle donne sono temporaneamente sincronizzati con la luminanza e i cicli gravimetrici della luna (titolo). Anche la gravidanza sarebbe stata contata in mesi lunari, collegando le donne alla luna e ai periodi di oscurità seguiti dalla rinascita.
Le ipotesi di Garcia Ledger (2017) secondo cui l’osservazione accoppiata con la memoria ha permesso agli esseri umani di rendersi conto che la natura si esprime attraverso periodi alternati di cicli di oscurità e luce con cicli diurni e stagionali basati sugli equinozi. Un’intuizione che avrebbe potuto portare a un sistema di calendario precoce che sarebbe stato fondamentale per la loro sopravvivenza; dall’equinozio d’autunno si sarebbero accorti che stavano entrando nella parte più buia e più fredda dell’anno e che in un paio di mesi il cibo sarebbe stato scarso. Allo stesso modo, l’equinozio di primavera avrebbe annunciato che la terra stava cominciando a svegliarsi e il periodo di scarsità stava finendo. Probabilmente, come più tardi i Celti, il popolo paleolitico celebrava i solstizi e gli equinozi (Garcia Ledger, 2017). Sebbene il simbolo Yin Yang (Taijitu) sia associato alla tradizione taoista, i Druidi conoscevano il simbolo della spirale inversa (Kondratiev, 1999), il che rende probabile che anche le persone del Paleolitico superiore (30.000 aC circa) fossero consapevoli del ciclo periodi chiari e scuri della natura che si ripetono annualmente (Garcia Legar 2017; Gimbutas 1982). Le avverse condizioni climatiche di quell’epoca ne fanno un’ipotesi sostenibile e ragionevole, poiché questa conoscenza permise loro di sopravvivere.
Spiritualità femminile
Ci sono molte definizioni di spiritualità; uno che risuona “comporta il riconoscimento di un sentimento o senso o convinzione che c’è qualcosa di più grande di me, qualcosa di più nell’essere umano dell’esperienza sensoriale, e che il più grande insieme di cui facciamo parte è di natura cosmica o divina” (Spencer, nd). Non tutti hanno questa comprensione, ma come sostengo nel mio articolo sulle Donne del Paleolitico (Lindhard, 2021), questa intuizione arriva più facilmente non appena una donna rimane incinta e si rende conto che c’è una forza intelligente che lavora attraverso il suo corpo ed è ciò che guida sia lo sviluppo della nuova entità nel suo grembo, sia i cambiamenti interiori che sperimenta mentre il suo corpo viene continuamente modificato con il progredire della gravidanza. Nelle grotte (che sono a loro volta simili ad un utero e scure) della Spagna e altrove, sono stati trovati simboli che raffigurano una V o una V attraversata da una linea. Si è pensato che queste rappresentassero la forma dell’area pubica di una donna, le pieghe formate dalle sue gambe e l’apertura verso l’utero o la “caverna oscura”. Inoltre, in grotte come Ekain, una piega ovale naturale nella roccia simile a una vulva è stata più volte dipinta di rosso (Garcia Leger, 2017). Queste intuizioni suggeriscono che vedendo il mistero che agisce attraverso il suo stesso corpo, le donne siano state in grado di “tradurre catafaticamente le proprie esperienze e intuizioni interiori, e quindi riconciliare la tensione tra l’esperienza dell’Io senza immagine dell’ineffabile trascendenza usando l’espressione didattica basata sulle immagini” (Lindhard, 2021, Riassunto). Se questo è corretto, almeno alcune donne del Paleolitico sono state in grado di fare un salto dalla propria esperienza per postulare un’entità attraverso la quale tutte le creature viventi nell’universo vengono all’esistenza. Poiché la società paleolitica era matrilineare, è normale che questo tipo di società consideri tale entità come una Madre Cosmica. In modo simile all’impronta dell’oca a V con una linea passante, alla sua capacità di volare più in alto di qualsiasi altro uccello, alla sua capacità di camminare sulla terra e di muoversi nell’acqua, l’oca divenne il simbolo iconografico dell’energia creativa femminile (Garcia Leger, 2017). Sulla base del suo ampio studio della Vecchia Europa, Gimbutas (1972/1982) suggerisce che questi geroglifici rappresentino il femminile come Dea Madre ed esprimono la sua vulva, tuttavia io, come Garcia Leger, sento che durante il Paleolitico l’accento veniva posto sull’idea di Madre piuttosto che Dea, e che le donne paleolitiche non si elevavano a qualcosa di straordinario. Ciò che occorre rilevare è che, considerando il grembo materno come la fonte attraverso il quale avviene la creazione, in quella fase della nostra storia l’atto sessuale sembra aver giocato solo un ruolo minore o nessun ruolo, inoltre né il padre pare fosse ufficialmente riconosciuto né sembra svolgesse un ruolo nell’allevare i suoi figli.
Durante il Paleolitico si svolgevano riti funebri su alcune ossa di donne nelle grotte. Mentre io sottolineo l’aspetto cosmico della Madre e dei suoi cicli, Garcia Legar (2017) rimarca la connessione tra le donne paleolitiche e la terra come la Madre e i suoi cicli. Questa intuizione ha probabilmente portato la figura della Madre ad abbracciare diverse funzioni, con vita e morte che vanno di pari passo in modo circolare, evidenziando il ruolo della morte (o del periodo scuro) nel rinnovamento della vita. Quando comprendiamo l’Universo come interconnesso, tutto funziona in modo sincronizzato, quindi possiamo mettere l’accento dove vogliamo con i cicli cosmici che riflettono i cicli della terra e viceversa. Le donne, attraverso le mestruazioni, sono collegate ai ritmi della Natura in modo unico e palpabile.
Età Neolitica
Il nostro passato egualitario
L’età neolitica, iniziata tra 12.000 e 6.500 anni fa, è stata probabilmente influenzata dai cambiamenti climatici che hanno coinvolto il riscaldamento della terra dopo l’ultima era glaciale. I primi insediamenti furono trovati nella Mezzaluna Fertile dove le persone iniziarono a piantare e a coltivare cereali selvatici in raccolti, la cui irrigazione seguì rapidamente (Editors of Encyclopaedia Britannica, nd). Tuttavia, i primi insediamenti dello stesso periodo sono stati trovati anche in Turchia (Hodder, 2015). Sebbene il periodo Neolitico sia anche associato alla ceramica, un grande insediamento compreso tra 5.000 e 7.000 persone nell’Anatolia sudorientale noto come Çatalhöyük indica uno stadio pre-ceramico. Dal numero di figure femminili trovate in questo sito, inizialmente si pensava che fosse dominato da una dea femminile. Tuttavia, indagini successive di Hodder e del suo team mostrano che alcuni di questi sono probabilmente animali e almeno una delle figure femminili sembra indicare il “ruolo speciale della femmina in relazione alla morte tanto quanto i ruoli di madre e nutrice ” (Hodder, 2005, paragrafo 4). Ciò non contraddice la teoria della dea ma suggerisce che la figura della Madre abbracciasse probabilmente aspetti e funzioni diversi, registrati probabilmente anche nel Paleolitico come suggerito sopra. Nell’insediamento di Çatalhöyük sono state trovate ossa di persone sepolte sotto le case, in particolare nei focolari. Tuttavia, sebbene le persone vivessero insieme come una famiglia, le ossa non indicano che fossero “parenti biologicamente o membri della stessa famiglia” (Hodder, 2015, Discoveries about the social structure). Sembra che le disposizioni di chi viveva insieme come una famiglia non solo fossero diverse dalla struttura familiare di oggi, ma che anche sotto il focolare non si seppellisse seguendo linee familiari. Ciò che costituisce una famiglia è cambiato nel tempo ed è un’istituzione più storica che naturale (Maynes & Waltner, 2012, prefazione). La disposizione delle case (tutte domestiche) nell’insediamento di Çatalhöyük è descritta come “come un “nido d’ape” in quanto non c’erano strade e le case erano interconnesse, si accedeva all’interno attraverso un foro nel tetto, che, allo stesso tempo, formava una sorta di piazza, collegando tutte le case (Maynes & Waltner, 2012).
Per quanto riguarda l’economia, Çatalhöyük sembra essere stata una società egualitaria in cui uomini e donne avevano lo stesso status sociale ed entrambi ricevevano un’alimentazione simile. Inoltre, la pratica di separare la testa dal corpo come segno di status accadeva in egual proporzione negli uomini e nelle donne in base al numero di teste rinvenute (Hodder, 2015). La natura egualitaria della società Çatalhöyük è coerente con altri insediamenti neolitici in Europa, in particolare nell’Europa meridionale, un periodo che abbraccia circa 2.000 anni dal 6000 a.C. circa al 4000 a.C. circa. Erano agricoltori e sedentari, avevano poche armi e i loro siti non erano fortificati e le loro società erano incentrate sulla dea madre (Dexter, 2021, Gimbutas, 1972/1982.).
I nuovi arrivati
Secondo l’ipotesi della steppa originariamente avanzata da Schrader e Childe (Jones-Bley, 2008) e successivamente perfezionata da Gimbutas nell’ipotesi di Kurgan (Mallroy, 1997) questo panorama cambiò intorno al 4000 a.C. quando nuovi gruppi di persone emigrarono in Europa. Sulla base di prove archeologiche e linguistiche, queste persone provenivano da quello che viene definito “ceppo proto-indoeuropeo e vivevano nella steppa del Ponto-Caspio dell’Europa orientale. Essi portarono con sé nuovi costumi sociali, credenze religiose, cultura e lingua, assimilandosi e talvolta attaccando le popolazioni indigene (Dexter, 2021), cosa che sarebbe stata relativamente facile poiché i nuovi arrivati avevano addomesticato il cavallo e sviluppato diverse armi. Dev’essere stato facile penetrare nei siti non fortificati della popolazione indigena, tuttavia l’assimilazione della propria cultura a quella esistente richiede altre tattiche, soprattutto quando sono radicalmente diverse. I proto-indoeuropei (PIE) erano probabilmente “patriarcali, patrilineari e patrilocali (e possedevano) una struttura sociale tripartita composta da sacerdoti/sovrani, guerrieri e nutritori” (Dexter, 2021, pp. 147-148), mentre la cultura indigena era egualitaria, autonoma, vagamente strutturata rispetto alla famiglia e a chi viveva con chi, e sembrava tenere in considerazione una Dea Femminile con varie funzioni legate alla nascita, alla morte e alla rigenerazione della vita. La cultura emersa dalla mescolanza delle due società è denominata indoeuropea (IE).
In epoca precedente alla IE, nella Vecchia Europa (un termine coniato da Gimbutas per designare il periodo prima dell’invasione di PIE), si trovano potenti dee che erano “plasmatrici del destino dell’uomo”. Le prove archeologiche indicano “dee uccello/serpente, … un’amante che coesisteva con gli animali piuttosto che conquistarli; dee della rigenerazione, della vita e della morte, responsabili della fertilità del grembo e della fecondità della terra e, al contrario, della sua sterilità; e le potentissime Grandi Madri e Grandi Dee (Dexter, 2021, p. 22). Queste icone degne di venerazione in una società legata alla fertilità e all’armonia con la natura furono pian piano detronizzate nei tempi di IE o, nel migliore dei casi, assunsero nuove funzioni. Alcune di loro persero il loro potere a causa di divinità maschili che ne hanno assunto le funzioni. “Gli IE orientati al maschile non potevano adorare figure femminili onnipotenti” (Dexter, 2021, pp.22), sebbene alcune dee trifunzionali siano sopravvissute in alcune culture europee. Sembra che l’aggiunta di attributi alle dee fosse un modo per renderle rispettabili ai nuovi IE che ora abbracciavano entrambe le culture: ad esempio gli attributi equini sono stati aggiunti a certe dee pre-IE come Era e Atena. Era, una dea pre-IE, non era originariamente la consorte di Zeus e non era nemmeno subordinata a lui (Omero e Pausania in Dexter, 2021). La trasformazione delle dee della Vecchia Europa è un argomento affascinante ma troppo complicato per rendergli giustizia in poche righe: come sempre accade qualsiasi trasformazione della società si riflette anche nei cambiamenti nei loro simboli sacri. La giustificazione dell’importanza della guerra per la nuova cultura IE è stata incorporata anche nelle funzioni di alcune dee con amore e guerra che spesso ricadevano sulle spalle della stessa dea come Freya in Germania e Afrodite per la società di Sparta (Dexter, 1990 ). Piuttosto che partecipare fisicamente alle battaglie, le dee come Atena erano viste come favorevoli alla vittoria nelle battaglie indicando così il comportamento da adottare alle femmine quando i loro uomini partecipavano alle guerre.
Numerosi sono anche i miti di giovani uomini che sconfiggono un serpente, simbolo del vecchio ordine. Ciò accadde a Delfi dove Apollo, un nuovo dio maschio, uccise il Pitone, una dea serpente. Le dee della rigenerazione, associate alla morte e alla rinascita (e al serpente), erano spesso relegate alle divinità ctonie nelle culture di IE. Mentre le società pre-IE riconoscevano l’aspetto benefico del periodo oscuro o della morte nel ciclo della vita rappresentato dagli ouroboros, le società di IE percepivano il tempo come lineare, con la morte probabilmente considerata come fine della strada.
Il matrimonio nella società di IE non era solo una questione di voler garantire la paternità degli uomini sui loro figli, ma era anche intimamente connesso alla proprietà della terra. Nelle società pre-IE, le donne erano le occupanti della terra che veniva tramandata ai loro figli. Quando i nuovi arrivati si sposarono la situazione cambiò poiché i proprietari della terra divennero cosi anche i suoi figli per linea maschile. Questo era un altro modo per integrarsi nella società e cambiarne l’ordine (Dexter, 1990).
Società dei giorni nostri
Il segno distintivo della struttura sociale del popolo proto-indoeuropeo era una struttura tripartita composta da sacerdoti/sovrani, guerrieri e nutritori (Dexter, 2021, p. 148). Oggi le cose non sono cambiate molto, anche se il sistema è diventato più complesso. Abbiamo ancora la classe dirigente composta da politici, presumibilmente eletti dal popolo, ma dietro a questi ci sono i lobbisti che rappresentano enormi interessi finanziari. Nel mondo globale di oggi, abbiamo una situazione peculiare per cui alcune aziende giganti valgono più di alcuni paesi (Belinchón & Moynihan, 2018). I guerrieri ora sono i militari, che sono “al di sotto” dei politici da cui dipendono per i loro ordini. E poi abbiamo le professioni di cura, classificate in base al prestigio; questo si riflette anche nei loro stipendi. Ad esempio, i medici guadagnano più degli insegnanti, che guadagnano più degli agricoltori.
Abbiamo anche l’interessante domanda: dove si inserisce lo scienziato? Molti scienziati sono pagati attraverso borse di ricerca da parte di governi, organizzazioni senza scopo di lucro o aziende che si occupano di ricerca e di sviluppo (Understanding Science, n.d.). “In un mondo perfetto, i soldi non avrebbero importanza… ma ovviamente, nel mondo reale, i finanziamenti possono introdurre pregiudizi, ad esempio, quando il sostenitore ha un interesse nel risultato dello studio… ci sono prove che alcuni pregiudizi come questo si verifichino” (Understanding Science, nd, Un mondo imperfetto, par. 2). Ciò indica che la scienza non è sempre neutrale e potrebbe operare nell’interesse della “classe dirigente” (che ora sono anche i colossi che finanziano direttamente o indirettamente la ricerca). “Un’azienda farmaceutica che paga per uno studio su un nuovo farmaco per la depressione, ad esempio, potrebbe influenzare la progettazione o l’interpretazione dello studio in modi che favoriscono sottilmente il farmaco che vorrebbe commercializzare” (Understanding Science, n.d., Un mondo imperfetto, par. 2). Il pubblico tiene in considerazione la scienza e si fida di essa (Funk et al, 2020), questa è una situazione preoccupante poiché attraverso le informazioni diffuse dagli scienziati, il pubblico può essere influenzato in una direzione o nell’altra. Analogamente a come i miti hanno plasmato il modo in cui le persone percepivano il loro mondo, la scienza di oggi modella il modo in cui le persone di oggi si vedono. Se le informazioni sono parziali, non completamente corrette o manipolate in qualche modo, ciò avrà ripercussioni sul modo in cui il pubblico vede la “realtà” e su come vivrà la propria vita.
Come accennato, scienziati sociali come Spencer, Durkheim, Tonnies, Simmel e Weber hanno propagato un mito secondo cui la produzione relativa alla sfera pubblica fosse un affare esclusivamente maschile fin dall’inizio dei tempi. Probabilmente non è stato fatto intenzionalmente, ma significa che non hanno svolto un’indagine approfondita sull’argomento e naturalmente il loro lavoro ha avuto ripercussioni sulla mente e sul cuore delle persone. Il loro lavoro ha probabilmente influenzato anche gli economisti nel decidere cosa e quale lavoro includere nel PIL.
Oggi alcuni scienziati affermano che i sessi sono gli stessi. Sebbene meritino uguali diritti, biologicamente sono diversi (Ramirez, 2021). Ogni sesso ha un ruolo e una funzione unici e specifici. La Bibbia riporta che Eva fu creata dalla costola di Adamo, una sorta di partenogenesi inversa rispetto a quella che si trova nelle “dee ed eroine (che) erano spesso descritte come partenogenetiche” (Dexter, 1990, p.4). Oggi nel campo dell’embriologia tutti i tipi di tecniche che interferiscono con la procreazione come processo naturale sono e sono state sviluppate e utilizzate sia negli animali che nell’uomo. È a buon punto la costruzione di una placenta artificiale che consente “al neonato prematuro di rimanere connesso a un cordone ombelicale artificiale in un ambiente simile al grembo materno” (Women’s, 2020). A prima vista potrebbe sembrare eccitante, ma è un altro pendio scivoloso per eliminare il bisogno di donne come madri naturali; lo sviluppo della placenta artificiale è uno degli obiettivi della Quarta Rivoluzione Industriale (Nail, keynote Sand Italy, 2019). Durante la riproduzione assistita, anche i maschi ci perdono poiché è il tecnico che seleziona lo sperma durante una tecnica nota come Iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi. Questo metodo è un altro modo in cui stiamo cercando di controllare la natura con qualcuno che decide le caratteristiche del bambino che deve nascere.
La ricerca rivoluzionaria di Gillian (1988) mostra che la cura e la connessione sono salienti nel pensiero delle donne e che nelle donne, “il sé è conosciuto nell’esperienza della connessione, dell’interazione, e della reattività con le quali l’umano si impegna a crescere” (p. 7). Il triste stato dell’arte è che il suo lavoro è stato criticato da femministe radicali che sono cadute inavvertitamente nella trappola di desiderare il potere sugli altri a spese della loro provvida natura femminile. Le donne, almeno storicamente e tradizionalmente, hanno un’innata capacità di prendersi cura; è dovuto al loro ruolo di madre e al loro lavoro. Qualsiasi mossa per eliminare questo ruolo attraverso la creazione di placente artificiali non ha senso: un essere umano che si prende cura di noi è cio che ci rende umani. Harlow e le sue scimmie hanno dimostrato che i nutrienti e il cibo non erano sufficienti poiché senza il contatto con la loro vera madre, i cuccioli di scimmia si mutilavano, si rifiutatavano di mangiare e non erano più sicuri di come interagire quando nuovamente introdotti nel loro gruppo (APS, 2018).
Se il lavoro di una madre non è incluso nel PIL e si assume qualcuno che si prenda cura del bambino, probabilmente questo crea una società più impersonale che può mettere a rischio il legame con la madre. Le madri che lo desiderano hanno diritto al lavoro, ma occorre anche provvedere maggiormente alle madri che vorrebbero crescere da sole i propri figli. “L’omissione dei servizi non pagati delle casalinghe dal calcolo del reddito nazionale distorce il quadro” (Studenski in Coyle, 2016). Coyle (2016) lo definisce “intrinsecamente sessista” (titolo).
L’uso esteso di ansiolitici e antidepressivi da parte di tutte le fasce della popolazione, compresi i giovani, ci sta dicendo che non siamo sincronizzati con la Natura e con il nostro “Sé”. Invece di investire nell’assistenza psicologica e/o cercare di affrontarne le cause, “l’uso di antidepressivi in Europa continua a battere ogni record” (Alverez del Vayo, et al, 2021). Distribuire farmaci non risolve il problema, crea solo una società che è sempre più dipendente da farmaci per sopravvivere, portando a una forte alienazione.
Un’altra caratteristica della Quarta Rivoluzione industriale è la conquista di altri pianeti nell’ottica di renderli abitabili per l’uomo (Nail, keynote Sand Italy, 2019). Non riusciamo nemmeno vivere in pace e armonia sul bellissimo pianeta che abbiamo e ci interroghiamo sulla convenienza di colonizzare altri pianeti cercando di giustificare le enormi risorse utilizzate in progetti come questo.
I progressi previsti nella digitalizzazione e nella robotica, secondo questo autore, non ci porteranno a essere più umani, più generosi o sensibili alla natura o l’uno all’altro. Durante l’esperienza del Covid, l’umanità ha già oltrepassato alcuni limiti vietando alle persone di visitare i loro parenti morenti. Non è mai successo prima; anche in guerra, i compagni rischiavano la vita attraversando il territorio nemico per recuperare il corpo di un commilitone.
La via da seguire proposta dalla Quarta Rivoluzione Industriale potrebbe non essere delle migliori. Basato su valori paternalistici in cui pochi decidono per molti, Schwab (2016) in Global Agenda afferma:
ci sono tre ragioni per cui le trasformazioni odierne rappresentano non solo un prolungamento della Terza Rivoluzione Industriale, ma anche l’arrivo di una Quarta e distinta: velocità, scopo e impatto sui sistemi. La velocità delle scoperte attuali non ha precedenti storici. Rispetto alle precedenti rivoluzioni industriali, la Quarta si sta evolvendo a un ritmo esponenziale piuttosto che lineare. Inoltre, sta sconvolgendo quasi tutti i settori in ogni paese. E l’ampiezza e la profondità di questi cambiamenti preannunciano la trasformazione di interi sistemi di produzione, gestione e governance. Non sappiamo ancora come si svilupperà (paragrafo 1): nello scenario peggiore, nella sua forma più disumanizzata, la quarta rivoluzione industriale potrebbe infatti avere il potenziale per “robotizzare” l’umanità e quindi privarci del nostro cuore e della nostra anima (Schwab, 2016, plasmare il futuro par.3).
La scienza come parte della soluzione
La scienza può essere usata in diversi modi; fondamentalmente abbraccia le grandi domande della vita: chi sono io? Come funziona tutto questo? Nonostante la scienza occidentale abbia spogliato la visione originale di Newton e Darwin della loro fede in un’intelligenza divina alla base di tutta la creazione e l’abbia sostituita con quella del materialismo filosofico radicale, la fisica quantistica “ha trasceso il concetto di materia solida e indistruttibile con oggetti separati e mostra l’universo come una complessa rete di eventi e relazioni. (Grof, 1985, p. 72). Il premio Nobel Max Planck ha infine concluso: “Non esiste la materia in quanto tale. Tutta la materia ha origine ed esiste solo in virtù di una forza che porta in vibrazione la particella di un atomo e tiene insieme questo minuscolo sistema solare dell’atomo. Dobbiamo presumere che dietro questa forza vi sia l’esistenza di una mente cosciente e intelligente. Questa mente è la matrice di tutta la materia» (Planck, 1944).
La scienza di per sé non è corrotta; sono gli interessi dietro gli scienziati che spesso ne alterano i risultati. Se condotto da uomini o donne dal cuore puro, anch’esso può indicare la verità più alta.
Commenti finali
Le donne paleolitiche, o almeno alcune di esse, sembrano essere giunte alla conclusione di Planck diverse migliaia di anni fa. Non hanno visto l’origine dell’Universo come una “mente intelligente”, ma come un grembo gigantesco ed eterno che contiene tutte le forme di vita che sono state che sono e che saranno, il grembo da cui nasce incessantemente nuova vita eternamente generata (Lindhard, 2018). Queste donne probabilmente la chiamavano la Madre Divina o Cosmica. Questa metafora è stata chiaramente creata da donne, più o meno allo stesso modo in cui hanno trovato una connessione con la terra e con la natura e i suoi cicli attraverso la regolarità del ciclo mestruale e le diverse fasi lunari.
Il mistero dietro la creazione è così vasto che noi come esseri umani non possiamo mai esaurire i molteplici modi in cui possiamo descriverlo; possiamo solo condividere i nostri obiettivi e chiedere ad altri di condividere i loro. Possiamo imparare ad apprezzare le prospettive degli altri e, più o meno allo stesso modo, gli altri possono trarre vantaggio dall’ascolto delle nostre. Tuttavia, indipendentemente dal modo in cui ci avviciniamo al mistero e dal modo in cui lo percepiamo e lo descriviamo, quest dovrebbe suscitare sentimenti di stupore e rispetto per tutta la creazione. In molte delle grotte d’Europa, dipinti squisiti e dettagliati di donne del Paleolitico esprimono la loro profonda conoscenza e il rispetto per gli animali che ritraevano. La considerazione degli altri probabilmente ha aiutato la donna a crescere i figli come esseri autonomi che hanno poi potuto trovare i loro talenti e imparare a svilupparli ed esprimerli a beneficio di tutti. La donna non voleva il controllo su di loro o sulla natura: si rese conto che per progredire ‘realmente’ aveva bisogno di vivere in armonia con tutta la creazione, di cui faceva parte. Le prove archeologiche suggeriscono che la società matrilineare fosse egualitaria, entrambi i sessi contribuivano al lavoro. Attraverso il suo corpo e ispirata da questo, la donna era una “scienziata induttiva”, fabbricante di strumenti elementari, comunicatrice ed esploratrice del mistero. La sua cura ha assunto molte forme: senza i nostri grandi, grandi, grandi antenati materni, la nostra cultura non sarebbe quella che è oggi. È tempo di riconoscere i numerosi contributi che le donne hanno dato al nostro benessere in ogni campo nel corso della storia.
La società patriarcale odierna è diventata eccessivamente militarizzata, eccessivamente digitalizzata e eccessivamente ospedalizzata. Ora è in gioco la nostra umanità. Andiamo a capofitto nella Quarta Rivoluzione Industriale che promette più tecnologia, digitalizzazione, robotica, intelligenza artificiale e riproduzione assistita a un ritmo accelerato, oppure, come esseri autonomi, sogniamo collettivamente un nuovo modo di vivere in questo bel pianeta? Questa nuova visione deve includere il principio femminile basato sulla relazione, la cura e il rispetto per tutto il creato; e dev’essere guidata dalla nostra voce interiore, che ha a cuore il bene più grande di tutti gli esseri.
Tina Lindhard
t.lindhard@iups.edu
tinalindhard.org
Traduzione a cura di Benjamin Ibry Bernstein
Photo by Rowan Kyle
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- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com
- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com
- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com
- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com