by Alberto Paolucci
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by Alberto Paolucci
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Il tema dei traumi perinatali oggi è molto conosciuto per quello che riguarda l’esperienza della mamma, ma pur essendoci ricerche longitudinali riguardo all’esperienza della vita intrauterina fin dagli anni ’30, ancora oggi non viene posta la giusta attenzione su come questa influenzi le nostre vite. Il vissuto del bambino nell’utero e durante il parto è spesso molto diverso da quello della madre, ed ha bisogno di essere riconosciuto e compreso. Il riconoscimento e la comprensione di vissuti così precoci, nella nostra esperienza e non solo, ha un grande potenziale di guarigione e di cambiamento, e questo è il motivo che ci appassiona e che ci spinge a scrivere di questo argomento.
Parlare di tutto quello che succede dal (pre-)concepimento in poi, può attivare in ciascuno di noi delle memorie corporee, che la mente fa molta fatica a percepire e riconoscere semplicemente perché all’epoca non era ancora completamente formata.
Vi invitiamo quindi ad leggere questo articolo mantenendovi curiosi su come reagisce il corpo, come se potesse riconoscere quello che diremo. Può accadere che emergano sensazioni, memorie, emozioni, per il semplice fatto di leggere una relazione su questi temi.
Questo tema richiede quindi la curiosità di ripercorrere le tappe in un viaggio, che tutti noi conosciamo perché la storia del nostro viaggio è scritta nei nostri corpi e nel nostro cuore, non nella nostra mente. Un viaggio in cui il protagonista è un Essere che ha coscienza di sé fin dal principio, ed è una storia relazionale, poiché noi ci formiamo relazionandoci con il campo in cui arriviamo.
Inizialmente si pensava che la coscienza del bambino cominciasse con la nascita, per esempio con il primo respiro del neonato e che il bambino nella pancia non sentisse nulla, emotivamente e fisicamente. I movimenti rilevati si pensava fossero delle reazioni, dei semplici riflessi, ma che non ci fosse coscienza. Per fortuna, oggi sappiamo che non è così, anzi è esattamente il contrario. Oggi sappiamo che nelle esperienze prenatali c’è già una presenza da parte dei bebè, che possono sentire molte emozioni e sentimenti. E stiamo scoprendo che fin da ora possono già instaurarsi molte memorie che influenzeranno la nostra vita.
Secondo Frank Lake, uno psicologo e teosofo del secolo scorso, le esperienze che viviamo nei primi tre mesi a partire dal concepimento sono quelle che influenzeranno maggiormente il nostro essere qui oggi. Descriveva l’incarnazione come un processo in cui un Essere, non ancora manifesto nella forma, a partire dal concepimento comincia a prendere una forma. La cosa affascinante è che all’epoca, spesso, nei primi tre mesi di gravidanza, la madre non sapeva nemmeno di essere incinta. Inoltre il nostro sistema nervoso completa il suo sviluppo alcuni mesi dopo la nascita quindi deve esistere qualche altra parte di noi, che non è il cervello che si ricorda queste esperienze.
Iniziamo a comprendere che forse la nostra coscienza esiste addirittura prima del concepimento, forse dall’inizio del nostro viaggio verso l’incarnazione.
Fin dall’inizio c’è un Essere presente e consapevole. È una Coscienza che sente e si identifica con tutto ciò che incontra e piano piano diventa ciò che siamo oggi. Ciò significa che tutte queste esperienze influenzeranno la mia persona, le mie attitudini: la relazione con me stessa, con il mio corpo e con gli altri.
Possiamo immaginare che ci sono diversi momenti successivi in cui questi imprinting possono accadere:
preconcepimento,
concepimento, TEMI ESISTENZIALI
gravidanza,
nascita,
dopo la nascita. TRAUMI ED ENERGIE DI SOPRAVVIVENZA
Usiamo il termine Imprinting o impronte per nominare le esperienze che possono accadere prima della nascita: preconcepimento, concepimento e vita intrauterina, fino alla nascita. Le esperienze che viviamo in questa fase danno vita a temi esistenziali. Parliamo invece di traumi per descrivere le esperienze che avvengono dopo la nascita e che danno vita a temi legati alla sopravvivenza corporea, quindi sono memorie che avranno una forte componente somatica.
Le forze esistenziali riguardano il percorso dell’Essere nell’arrivare qui e hanno sempre a che vedere con la sua natura più profonda, sono temi relazionali in quanto questa Coscienza ha bisogno di essere vista, riconosciuta e incontrata nella sua vera essenza. Esse avranno un’influenza non solo nel modo in cui siamo qui, nel nostro corpo, in contatto con il nostro potenziale e la nostra creatività, quindi come viviamo la vita; ma anche in quello che successivamente sarà il processo di bonding, di attaccamento alle figure genitoriali.
Per Dominique Dègranges il processo di attaccamento ha maggiormente a che fare con i temi esistenziali. Non è un buon attaccamento che garantisce la sopravvivenza: se così fosse molti di noi sarebbero morti perché quasi nessuno ha un buon attaccamento. È vero piuttosto che ho bisogno di un buon attaccamento relazionale per poter Essere qui completamente.
Prima di nascere l’Essere ha la possibilità di “sparire”. Se qualcosa non è buono per lui, non reagirà contro, e anche il corpo non reagirà con meccanismi di sopravvivenza, non li ha ancora, non li può usare, non ne ha bisogno. L’Essere non lotta per vivere, per essere qui in questo corpo, può decidere se andare o restare, il corpo non gioca ancora un grande ruolo. Con la nascita, invece, è diverso. Talvolta anche poco dopo il parto ci sono occasioni in cui l’Essere semplicemente se ne va. In ogni caso, a partire dalla nascita, e successivamente con il formarsi della personalità si presenta sempre più attaccamento alla forma, alle relazioni con le persone, con i posti.
Qualsiasi comportamento che metta in discussione il fatto di Essere qui ed Esistere deriva da imprinting prenatali. Si manifesta con domande o pensieri del tipo: “cosa ci faccio io qui?” “Perché sono qui?” “A volte vorrei sparire” “Non capisco il senso della vita” tutto questo ha a che vedere con tematiche esistenziali e, come dicevamo, riguardano appunto la relazione tra l’Essere ed essere qui.
Gli aspetti esistenziali hanno un’influenza sottile ma significativa nelle nostre vite, sottile perché non così evidente, è come qualcosa che è tra le righe, nelle sfumature. Le memorie traumatiche e le energie di sopravvivenza, essendo somatiche, sono in qualche modo più evidenti.
Le forze di sopravvivenza compaiono, quindi, intorno alla nascita e naturalmente dopo il parto una volta che il corpo è nato. Hanno più a che fare con tutto ciò che riguarda la sopravvivenza fisica: il nutrimento, la protezione, un senso di sicurezza, avere aria, dormire, periodi di separazione dai genitori, esperienze di abbandono, abuso, ricoveri ospedalieri ecc.
A partire dalla nascita forze esistenziali e forze di sopravvivenza agiscono insieme.
Per esempio: il nostro corpo ha bisogno di nutrimento, calore, aria, contatto per i processi fisiologici e per crescere. Questi sono meccanismi di sopravvivenza, ed è sicuro che il corpo farà di tutto per assicurarseli. Oltre a questo, l’Essere ha bisogno di sentirsi accolto e visto, di sentire l’amore e il calore. Ecco che, quindi, il nutrimento del bambino non riguarda solo il fatto che il corpo vuole essere nutrito e sopravvivere. È anche l’Essere che vuole essere incontrato. Essere amati ed essere nutriti vanno insieme.
Allora a partire dalla nascita parliamo di esperienze traumatiche.
È importante, a questo proposito, usare la definizione di trauma di Peter Levine: il trauma accade quando l’organismo è sottoposto ad uno stress superiore ad ogni sua capacità di adattamento necessaria a regolare gli stati di attivazione. Il sistema nervoso si disorganizza, smette di funzionare e non riesce più a ristabilirsi. Questa condizione si manifesta in una fissazione globale, nella perdita della capacità ritmica di auto-regolazione e di orientamento. La chiave per risolvere il trauma è nel disaccoppiare la paura dall’immobilità, permettendo alle intense energie bloccate nello stato di immobilità di essere ricontattate, liberate e infine trasformate.
Il presupposto di base di questo modello, il somatic experiencing, è che il trauma è una parte naturale della vita, il nostro sistema nervoso è predisposto a guarire le esperienze estreme ed intense, quindi gli effetti dei traumi non sono permanenti.
Ciascuno di noi, sia da bambino che da adulto, ha la possibilità, all’interno di una relazione sicura dove essere riconosciuto e incontrato con le proprie risorse, di ripristinare il ciclo naturale del sistema nervoso, in modo da poter ri-accedere alla naturale capacità di resilienza del nostro organismo.
E’ stato il lavoro di Peter Levine sul trauma che ha spiegato in modo preciso perché si creano impronte prenatali nel nostro sistema nervoso.
Il sistema nervoso del feto nella pancia non è ancora maturo, non si sono ancora formati i meccanismi di lotta e fuga (gestiti dal sistema nervoso autonomo simpatico), questo vuol dire che il feto non ha la possibilità di scaricare l’attivazione procurata per esempio dallo stress della madre.
Ha però a disposizione la parte più primitiva del sistema autonomo parasimpatico, quella dorsale, che attiva sistemi di protezione, di ritiro, che tiene bloccata l’energia in eccesso. Se lo stress è prolungato ci sarà una iper-attivazione di tale sistema, che fa si che i feti possono essere letargici nelle situazioni più gravi o semplicemente con una ridotta energia vitale, proprio con una funzione di protezione.
La parte più “evoluta” del sistema parasimpatico, quella ventrale, quella da cui dipende la capacità di calmarsi, alla nascita è molto immatura e si sviluppa completamente solo intorno ai 18 mesi. Quindi il sistema nervoso autonomo in via di formazione dipende dall’ambiente per sviluppare i circuiti neurali che presiedono al rilassamento, alla capacità di consolarsi e di tollerare lo stress e la frustrazione. Il neonato ha bisogno di genitori che assicurino coccole, nutrimento, accoglienza, esperienze fondamentali per mantenere l’Essere nel contatto corporeo. Tutto ciò che accade e che il bebè vive in questi primi mesi modella il sistema nervoso e il modo con cui il bambino reagirà agli stimoli della vita. Ambienti emotivamente stressati, eccessiva durezza, abbandono emotivo, uso di sostanze, sono tutte condizioni in cui il cervello del bambino impara a percepire pericoli anche dove non ci sono; si regola su un livello di cronica allerta, finché non regge più e il sistema si chiude definitivamente.
Il bebè cresce bene quando si sente al sicuro.
Le condizioni essenziali che sostengono il bebè, per crescere in modo integrato ed equilibrato e che sviluppano un sano senso della vita, sono:
-
essere amato in modo incondizionato
-
fiducia
-
protezione
-
sicurezza
-
calore
Riteniamo che sia davvero importante oggi portare luce su come questi due aspetti: aspetti esistenziali e traumatici si rinforzano e strutturano a vicenda creando programmi e pattern comportamentali. Se non portiamo consapevolezza, tali schemi andranno ad agire in modo autonomo una volta attivati dagli eventi della vita.
Riprendendo gli step, gli aspetti esistenziali riguardano il periodo del: preconcepimento, concepimento, gravidanza.
Preconcepimento
Per chiarire ulteriormente l’origine e la complessità degli aspetti esistenziali riprendiamo il modello a cui ci riferiamo durante il training di Terapia prenatale e della nascita. Come ogni modello, questa mappa vuole essere un modo con cui guardare le cose e non intende essere la verità.
Partiamo dal presupposto che come Esseri intraprendiamo un viaggio, fatto di stadi successivi, che ci porteranno ad acquisire una forma fisica. Nell’incontrare e nel separaci da ciò che incontriamo in questi stadi può succedere che cominciamo già a portare con noi delle memorie esistenziali.
L’idea è che inizialmente proveniamo tutti dalla medesima Fonte Universale. In origine apparteniamo tutti a una Sorgente, possiamo immaginarla come uno spazio indifferenziato dove tutto è uno, a partire dal quale ogni cosa può essere creata. Ad un certo punto emerge l’intenzione di creare qualcosa… per esempio un Essere che inizia il suo percorso verso l’incarnazione. All’inizio non c’è un Io. Le ragioni di questo viaggio non sono motivi che il nostro “piccolo io” può stabilire, né forse comprendere fino in fondo. L’Essere che intraprende questa esperienza lo fa con un “Si” incondizionato, non sa cosa andrà a incontrare e vivere, nonostante questo esprime un SI. In questa fase l’Essere non ha ancora una forma, al momento può divenire tutte le forme. La cosa interessante è che c’è un rispecchiamento con il concepimento: cominciamo con una cellula indifferenziata che potenzialmente può prendere tutte le forme.
Una volta lasciata la Sorgente, nel primo stadio incontriamo un insieme di anime affini che risuonano su una stessa nota, colore, vibrazione che chiamiamo Famiglia Celeste. Non c’è ancora un aspetto individuale né tantomeno una differenziazione sessuale. La dimensione del tempo non gioca ancora un gran ruolo.
Nel livello successivo, comincia ad apparire una maggior differenziazione ed emerge un aspetto più individuale. Talvolta può cominciare ad esserci anche un aspetto di genere. Su questo piano entriamo in contatto con altri esseri che sono in viaggio. Con uno o più di essi possiamo instaurare una relazione profonda e sentirci completi.
Poi, il viaggio continua con il concepimento, quindi con l’inizio dell’acquisizione di un corpo fisico. Questo passaggio richiede che io mi separi da tutto ciò che ho incontrato fin’ora. È un passaggio, un “salto” che compio da solo.
Con queste separazioni (dalla Sorgente, dalla Famiglia Celeste e dagli altri Esseri) posso già portare con me delle lacerazioni e delle condizioni o ambivalenze nei confronti di me stesso o del mio percorso. Posso cominciare a dire un “No” all’esperienza che sto facendo perché troppo dolorosa, un po’ come se cominciassi a sentirmi in Esilio rispetto a dove sento un’appartenenza veramente profonda.
Sentite come può essere già forte la memoria con cui un Essere arriva?
Concepimento e Gravidanza
È solo a partire da questo momento, dal concepimento in poi, che i genitori iniziano a giocare un ruolo nelle memorie e nelle impronte che portiamo con noi.
Per Frank Lake, il dolore più grande che portiamo è “l’oscuramento dell’Essere” che comincia proprio con il concepimento. Lui descrive così il fatto che questo Essere, prendendo una forma, ossia questo corpo, comincia a identificarsi con tutto ciò che sperimenta e incontra dimenticandosi di chi è veramente.
Per lui accade qualcosa che ci fa perdere il contatto con ciò che noi siamo realmente.
Con il concepimento questo Essere, questa coscienza comincia a identificarsi con tutto ciò che lo circonda. Quindi in questa fase giocheranno un ruolo molto forte i temi dell’intero sistema familiare, le emozioni della mamma e del papà, quello che stanno vivendo, se c’è un lutto in famiglia, temi economici, preoccupazioni… Le reazioni dei genitori quando scoprono di aspettare un bambino, oppure quando scoprono che il bambino è un maschio o una femmina… L’Essere interpreterà, come può, e si identificherà con tutto questo. Poco a poco crederà di essere tutto l’insieme di questi vissuti, di questi programmi.
Durante la gravidanza le tematiche sono ancora esistenziali, l’Essere non vuole lottare, non può farlo, può solo accettare le cose, è una cosa del cuore: non vuole disturbare, vuole solo fare il meglio per le persone che sono intorno a lui, senza nessuna condizione e, in caso il contesto non sia favorevole, sceglie solo di andarsene, di cessare di Esistere. Se l’Essere non si sente accolto, qualcosa dentro di lui comincia a frammentarsi e a desiderare di essere da un’altra parte, di tornare là da dove è venuto, con l’anelito di trovare qualcuno che lo riconosca e lo accolga veramente.
Questo creerà un’incertezza, un’indecisione tra essere qui ed essere lì, sentirà un’ambivalenza nei confronti della vita, porterà dentro di sé un “si” ma anche un “no”, un po’ come se aspettasse che la vita finisca per tornare finalmente lì.
Solitamente se l’Essere rimane senza “sentirsi benvenuto” rimane con una modalità in cui si ritira dal contatto, con una sensazione di isolamento e con una difficoltà ad esserci pienamente. Svilupperà un’attitudine del tipo “se disturbo il meno possibile, se mi faccio sentire meno possibile è meglio per tutti” oppure “se ero femmina/maschio sarei stato amato di più, mamma e papà sarebbero stati più felici”, “c’è sicuramente qualcosa che non va in me…”. Il bebè ha un cuore aperto e vuole solo fare il meglio per le persone intorno a lui, quindi se qualcosa non va, se ne farà carico per cercare di aiutare.
Per questo il prenatale e i temi esistenziali hanno sempre a che vedere con come sei nelle relazioni: come incontri e sei in contatto con gli altri e allo stesso tempo come ti senti ed entri in relazione con te stesso e con il tuo corpo.
Aspetti traumatici: Nascita
A partire dalla nascita, invece, entrano in gioco un sacco di forze corporee, forze di sopravvivenza sia della mamma che del bambino, c’è un’energia molto forte.
È importante comprendere l’energia della nascita: quando il bebè nasce riceve tutto il suo potenziale per essere nel mondo.
Ogni tipo di intervento, quindi, avrà una conseguenza sul potenziale del bambino, sulla relazione con se stesso e su come si sentirà nella vita, che naturalmente potrà sommarsi alle tendenze esistenziali strutturatesi precedentemente.
Dal punto di vista corporeo, la nascita è un evento molto forte, hanno luogo processi enormi.
Come dicevamo, alla nascita, quindi, sono presenti due energie diverse nel bebè:
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l’energia esistenziale, l’energia che il bebè possiede qui come Essere, esserci quindi con la sua forza creativa, non semplicemente reagire a dei riflessi di sopravvivenza.
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l’energia di sopravvivenza: il bebè può vivere delle esperienze traumatiche durante il travaglio e il parto che possono imprimere delle memorie nel sistema nervoso che diventeranno delle paure, delle reazioni somatiche del corpo, ciò significa che il corpo reagirà in certe situazioni in modo non coerente.
Solitamente cerchiamo di proteggerci dall’idea che come nasciamo influenzerà il modo in cui stiamo al mondo.
La nascita è un qualcosa che si fa insieme: è una danza fra l’energia del bebè e quella della madre.
Vi parliamo brevemente delle 4 fasi di nascita e i temi relativi, queste fasi sono state descritte da William Emerson, uno psicoterapeuta pioniere del lavoro prenatale.
1. Prima fase
E’ quella dell’inizio del travaglio, il bambino entra in contatto con le ossa del bacino.
Viene definita “la discesa, l’incontro con il bacino”.
Lo spazio è pochissimo, c’è molta contrazione e il bambino viene spinto verso il basso, alla fine di questa fase il cranio del bambino si trova nell’ingresso del bacino e comincia la discesa nella parte pelvica.
Il lato del corpo che tocca la colonna vertebrale della mamma è detto lato di nascita, ci può essere dolore fisico nei punti del corpo del bebè che hanno avuto un impatto faticoso con il corpo della madre.
Se tutto va bene, il bambino sente la mamma, si sente sostenuto, sente la sua forza, ha fiducia di farcela, se poi si è sentito desiderato e accolto, in questa fase può vivere un momento di grande gioia.
Al contrario, la percezione del bebè può essere di non avere abbastanza spazio, può montare paura e rabbia, incontrando il pavimento pelvico che è ancora duro può avere la sensazione negativa di non farcela e sente anche il dolore fisico.
Spesso è un’esperienza che accade quando il parto viene provocato poiché l’inizio non viene scelto dal bambino ma viene, appunto, indotto.
Il tema che qui ha origine è: come è quando mi sento sotto pressione? Come inizio le cose? Parto con un si nelle nuove situazioni o con un no? Penso che le cose siano troppo per me, o che ho tutte le risorse per affrontare il nuovo? Nella vita quando inizio qualcosa penso di non farcela e ho la tendenza a lasciar perdere?
Tutto questo si vedrà poi nel linguaggio corporeo del bebè e nella memoria del corpo negli adulti.
Seconda fase
È uno stadio che può essere molto veloce, ma è importantissimo.
Può lasciare impronte notevoli perché avviene la rotazione della testa quindi c’è un cambio di direzione e di orientamento, il bambino attraversa il punto più stretto del bacino.
Spesso i bambini non riescono a completare bene questa fase, anche se veloce, è la più difficile. Se si incanalano male, questo passaggio crea tutte le asimmetrie corporee.
Tema che porta questo tipo di impronta è: disorientamento, sentirsi abbandonati, c’è tanto dolore e posso perdere la fiducia nel dove sto andando.
Da adulti il tema potrà essere: come mi oriento? Come mi sento quando simbolicamente perdo la via? Quando inizio qualcosa mi sento subito insoddisfatto?
Terza fase
Dopo la rotazione il cranio passa nel distretto inferiore.
Ci sono due sotto-fasi:
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La discesa lungo il sacro che dà ancora temi di incastro, il bambino sente di non farcela più. Il grande tema qui è l’esaurimento, i bambini arrivano che sono esausti, hanno la sensazione di avere fatto tanto e non riescono a fare di più.
Potranno diventare adulti esausti, spesso con stanchezza cronica, che non raggiungono gli obiettivi e quindi si lamentano, sono sempre in riserva di energia perché hanno continuamente la sensazione di dover lottare per ottenere le cose e di non potersi fermare per sopravvivere.
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Finisce il sacro e si intravvede la luce, la fine del tunnel, a questo punto si presenta un altro grande tema che è l’essere visti. Qui ci si riallaccia al momento in cui la madre ha scoperto di essere incinta, che è la prima vera volta in cui il bebè viene visto; se il bambino non era desiderato qui ripeterà l’esperienza.
Il tema è: essere visto, come è sapere di essere visto? Che sensazioni ho quando entro in uno spazio nuovo? In un mondo nuovo? I temi correlati sono l’autostima, il valore e il riconoscimento.
Quarta fase
E’ quella della restituzione, una volta uscita la testa, escono anche le spalle, il bebè fa una contro-rotazione per fare uscire il resto del corpo.
Il corpo fuoriesce e, idealmente, il cordone ombelicale può venire tagliato quando ha smesso di pulsare.
Se viene reciso prima della fine del battito può essere uno shock, il bambino non è pronto; da questa esperienza può svilupparsi ansia da separazione
Tutti i temi legati al distacco possono avere origine qui: come quando iniziare lo svezzamento o il passaggio al nido.
Da qui ha inizio la fase importante in cui si realizza, nel mondo esterno, il legame con la madre.
La madre è la prima risorsa del neonato e il suo contatto amorevole è essenziale nella cura di ciò che può essere stato per entrambi un processo traumatico. In questa fase molti elementi traumatici possono essere guariti dall’esperienza vissuta; sono essenziali il contatto amorevole dei genitori e dei caregivers e un ambiente sicuro e di sostegno.
A seconda del tipo di parto, quindi, sulle tematiche esistenziali, si andranno a innestare poi i temi di sopravvivenza legati all’esperienza corporea della nascita. Per esempio se alla nascita avrò il cordone ombelicale attorno al collo e rischierò di morire si andrà a rinforzare ancora di più l’esperienza che stavo meglio lassù, piuttosto che qui.
Con l’esperienza del parto le tematiche esistenziali e gli aspetti traumatici legati alla sopravvivenza fisica si intrecciano influenzandosi a vicenda. Tale dinamica dà origine a dei programmi che portano l’organismo a reagire in modo autonomo/automatico di fronte a determinate esperienze. Il nostro approccio alla vita potrà allora strutturarsi e oscillare fra la mera sopravvivenza fisica e l’Esistere, l’Esserci in modo pieno. Sopravvivere ed Esserci sentendo di avere il diritto di esistere sono modalità molto diverse di essere nel mondo. Sono due modi diversi di essere qui e di prendere la vita. Il sopravvivere ci porta a funzionare, è automatico, meccanico; mentre esistere è più simile al dire SI alla vita, prendendo il diritto e il piacere di essere vivi.
In che modo allora possiamo diventare consapevoli di avere degli imprinting?
Il nostro corpo è un enorme strumento di manifestazione di queste memorie e ce ne parlerà: ripetendo nel comportamento delle sequenze di imprinting, con dei movimenti o delle attitudini, di paura, panico, delle credenze o delle condizioni che poniamo verso le cose che accadono. Per esempio puoi ritrovarti ad aspettare sempre l’ultimo momento prima di fare qualcosa e a dover essere sotto una forte pressione prima di sentire di poterti muovere e agire. Potrebbe essere una modalità che ha a che vedere con la tua nascita, forse hai avuto una nascita molto lenta e alla fine magari con un’emergenza hanno dovuto aiutarti a uscire e quindi aspetti l’ultimo momento quando c’è molto stress ed energia e allora tu poi, senti di poter agire. Oppure cominci qualcosa e poi ti fermi a metà strada e non sai esattamente perché, è come se non avessi più energia per continuare e ti senti come assonnato, disorientato e non sai, non capisci perché prima era tutto molto chiaro e ad un certo punto tutto si ferma, potrebbe essere così, un po’ come se fosse successo qualcosa durante il travaglio per cui ti fossi fermato nel mezzo della tua nascita. Oppure cominci le cose molto bene hai delle ottime idee che porti avanti ma non le porti mai a termine, la difficoltà si presenta alla fine. Questi potrebbero essere pattern di nascita.
La terapia prenatale e della nascita lavora contemporaneamente sulle tematiche esistenziali e di sopravvivenza: il coach sa accompagnare e incontrare le memorie traumatiche corporee portando nel campo anche una presenza amorevole, di contenimento e accoglienza, ingredienti indispensabili per incontrare gli aspetti esistenziali. Il lavoro su questi temi è sempre un lavoro relazionale: il cuore, l’Essere ha bisogno di essere incontrato e accolto in un campo sicuro per potersi posare e sentire di “poter rimanere qui”. Non si tratta, dunque, solo di scaricare l’energia traumatica bloccata nel soma, ma anche di aiutare la persona a trovare in sé la risorsa per poter stare con maggior flessibilità e serenità con quello che incontra. Nel processo si tiene costantemente presente la danza tra l’Essere e il corpo. Se nel corpo è presente energia traumatica non scaricata l’Essere avrà difficoltà a restare; se, invece, grazie a una nuova esperienza relazionale, il corpo trova un nuovo modo di autoregolarsi ecco che l’Essere può posarsi e restare.
Come esseri umani e come operatori è importante sapere che dietro a tutti i programmi e dietro a tutto ciò con cui l’Essere si è identificato c’è qualcosa di più grande: un Essere cosciente. Attraverso una nuova esperienza relazionale, aiutare la persona a riconnettersi con l’Essere che è, è la risorsa più grande in grado di sostenere il processo di guarigione delle tematiche esistenziali.
Incontrare e guarire le memorie perinatali implica quindi un lavoro delicato che integra sia l’aspetto delle memorie traumatiche legate alla sopravvivenza fisica che le memorie esistenziali legate alla relazione.
Paola Battocchio e Milena Paltretti
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- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com
- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com
- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com
- Una pratica che incontra oriente e occidente
Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.
Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.
Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.
Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.
Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.
GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA
Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.
Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).
Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.
Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.
LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA
Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.
Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.
Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.
ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO
Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.
E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)
Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.
Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.
La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.
LA MAPPA DELLA COSCIENZA
La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.
Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.
Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.
Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.
Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.
UN PRINCIPIO FONDAMENTALE
Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.
E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.
Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.
Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”
Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.
Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.
Claudia Panico
claudia@claudiapanico.com