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by Jerry Diamanti

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La rabbia… Esperienza viscerale che ottunde le menti, accende le vie respiratorie, fa contrarre i muscoli, spreme gli organi, rompe le ossa, frantuma i denti…  O…

Non possiamo certo banalizzare una delle forze della natura incarnate più veementemente dal nostro organismo e temute o manipolate in ambito  sociale: essa in origine è finalizzata in senso evolutivo alla sopravvivenza dell’individuo, delle comunità, delle specie.

Il modo sano o distorto in cui spesso questa frequenza è arrivata fino a noi ha origine in un passato lontano, affiora dagli impulsi istintivi di difesa, dalle risposte involontarie assunte dalle membra contratte o congelate di innumerevoli generazioni, trasmesse inconsapevolmente per secoli, forse millenni, dai nostri avi fino ad arrivare a noi e alle nostre cellule, i nostri corpi, i nostri sistemi nervosi… Dalle mani e dagli occhi dei nostri genitori, dalla gentilezza amorevole o dalle urla dei nostri insegnanti, dai nostri no, dai modi in cui abbiamo provato a farci rispettare, dai no dei nostri figli o dei nostri partner…   

Forza misconosciuta e distorta, taciuta o sbandierata, rinnegata o assurta a norma,  permea linguaggi e  culture, convinzioni e leggi,  dogmi, giudizi e condanne su cui si fondano stati e religioni. 

Questa energia vitale così potente e temuta emerge con naturalezza nella tensione che sperimentiamo tra l’esperienza di essere feriti e il bisogno di esistere, avere il nostro spazio, farci rispettare. In modo diverso, ma forse non meno intenso, potrebbe manifestarsi di fronte a quelle che riteniamo delle ingiustizie o quando la vita si manifesta in modo differente, da quelle che erano le nostre aspettative.

Senza il bisogno di compiacere un’ideologia o una corrente di pensiero già definita, senza l’ardire di risultare esaustivi, partiremo dando un breve sguardo al funzionamento del sistema nervoso umano per fare poi un viaggio a ritroso negli stadi dello sviluppo che danno forma al nostro modo di vivere questa potente emozione, iniziando a dotarci di semplici mappe per comprendere quali sono gli schemi involontari più comuni coi quali spesso poi, tendiamo ad identificarci… Il presente e il futuro, “nostro” e delle prossime generazioni, dipendono molto dalla capacità che avremo, insieme, di confrontarci con le differenze, discernere, integrare ed incontrare la rabbia e la paura in modo nuovo.

Uno sguardo al Sistema Nervoso: iniziamo a comprendere come funzioniamo

I flussi di idee e pensieri che attraversano la mente emergono da quello che chiamiamo Sistema Nervoso Centrale, la parte corticale del cervello che opera per fornire una rappresentazione concettuale della realtà. Ma come in un’orchestra, in cui i suoni e le frequenze emesse dagli strumenti e i movimenti e gli stati d’animo dei musicisti si fondono e divengono un tutt’uno, allo stesso modo non avremmo funzioni corticali coerenti senza l’attività del Sistema Nervoso Autonomo, porzione più antica filogeneticamente e legata alle principali funzioni metaboliche e relazionali di sopravvivenza. E’ la possibilità di integrazione tra l’attività del Sistema Nervoso Centrale e del Sistema Nervoso Autonomo che genera momento per momento le nostre esperienze di connessione e il nostro senso di sicurezza e protezione.

La recente diffusione della Teoria Polivagale (Porges, 2014) può fornirci una ulteriore e preziosa mappa per comprendere le basi biologiche dei nostri comportamenti, come funziona il Sistema Nervoso Autonomo, differenziando quest’ultimo in tre branche principali in base alla sua anatomia e alle sue principali funzioni:

Sistema Nervoso Parasimpatico Nervo Vago Ventrale – promuove presenza, connessione, capacità di sintonizzazione e relazione

Sistema Nervoso Simpatico permette la mobilizzazione dell’energia, l’allerta, la prontezza all’azione

Sistema Nervoso Parasimpatico Nervo Vago Dorsale – porta desensibilizzazione, economizzazione dell’energia metabolica, dissociazione

Lo stato di arousal

Questa parola inglese che potrebbe essere tradotta in italiano con “risveglio” o “eccitazione”, in ambito scientifico è utilizzata per indicare lo stato di attivazione dei circuti cerebrali e del ramo Simpatico del Sistema Nervoso Autonomo.

L’arousal è in genere la prima scintilla che può innescare la mobilizzazione della rabbia, a cui possono seguire: un successivo rilascio nel torrente circolatorio di adrenalina e noradrenalina, l’impulso al sistema circolatorio, con aumento del battito cardiaco, al respiratorio, con un cambiamento della frequenza di ispirazione ed espirazione e al senso motorio, che può portare ad una variazione della contrazione muscolare, un cambiamento del tono e dell’intensità della voce, variazioni della mimica facciale, dello sguardo, della postura ed eventualmente, spingere all’azione.

Altre componenti biologiche possono interagire e influenzare l’esperienza soggettiva, possiamo avere un restringimento dell’orientamento dell’attenzione, che in genere quando siamo attraversati dalla rabbia si focalizza su ipotetiche minacce (Gable et al., 2015), ipervigilanza, tendenza al giudizio, compromettendo l’efficienza dell’elaborazione cognitiva e del processo decisionale (Garfinkel et al., 2016).

Gli stati di iperarousal, alta attivazione delle aree limbiche del cervello, possono portarci rapidamente dallo stimolo all’azione senza la possibilità di un intervento di modulazione o regolazione di tipo cognitivo (Hortensius et al., 2016). Originariamente questo può aver avuto un senso profondamente evolutivo, può aver permesso la sopravvivenza dei nostri antenati nelle savane e nelle foreste, aver permesso ai nostri avi di combattere o difendersi in caso di attacco improvviso, tuttavia nel presente quest’automatismo potrebbe rivelarsi fortemente disfunzionale o pericoloso per noi stessi e per gli altri, se innescato in circostanze inadatte.

Esperienze personali sopraffacenti o condizioni sociali di stress cronico strutturale possono scatenare attivazioni del sistema nervoso di enorme intensità: in base alle strutture neurofisiologiche del nostro organismo, al modo in cui siamo stati concepiti, accolti e accuditi nelle prime relazioni di attaccamento e accompagnati nell’età dello sviluppo, al modo in cui siamo stati visti, protetti e curati dopo eventi traumatici, potremmo essere più o meno abili a rispondere agli stimoli interni ed esterni orientandoci coerentemente alla situazione reale del presente o reagendo seguendo inconsapevolmente impulsi di sopravvivenza come quelli connotati dalla rabbia, la cui spontaneità e veemenza hanno spesso origine nel passato.

Concepimento, nascita e primi vagiti

Nell’incontro tra spermatozoi ed ovulo, dal primitivo abbraccio ed elettrostatico intreccio creativo tra le eliche di DNA dei nostri genitori, dal loro stato d’animo nel ricevere la notizia del nostro arrivo, fino al momento della nascita, già le emozioni, i sentimenti, la neurocezione, il senso di sicurezza o allarme che permea l’ambiente in cui viviamo mentre siamo nel grembo della mamma, imprintano le fondamenta della nostra fisiologia cellulare ed organica.

Il momento stesso della nascita può rivelarsi una tappa generativa: la spinta che la bimba o il bimbo dà nel corso di un parto naturale permette numerosi processi organici fondamentali, tra cui l’innesco dei primi impulsi di forza ed energia vitale radicati nell’attivazione sensomotoria della spinta per arrivare alla luce, le prime scintille di attivazione dell’arousal del Sistema Nervoso Simpatico insieme a quelle della contrazione della mamma, in un inebriante cocktail ormonale di adrenalina e noradrenalina, che potrebbe averci portato ad un dolce abbandono nell’oceano di ossitocina ed endorfine della calda fusione dell’abbraccio materno.

Esistono varie ipotesi sulla correlazione tra inibizione delle capacità assertive dell’adulto ed esperienze di parti cesarei o indotti, mentre è ancora più semplice comprendere come nelle ore e nei giorni successivi alla nascita l’allontanamento dei piccoli dalle madri o dai genitori, come ad esempio la permanenza in incubatrice senza la possibilità di contatto fisico ed emotivo, possano alterare i naturali processi di attaccamento, inibire o depotenziare i meccanismi biologici di attivazione o regolazione dell’arousal connessi alla rabbia.

In ogni caso il nuovo nato sperimenta con naturalezza già dai primi giorni una serie di comportamenti più o meno articolati per rispondere a stimoli di diversa intensità, riflessi spontanei come piccoli movimenti, sussulti di sorpresa, l’apertura e la chiusura degli occhi, l’orientamento, la suzione o in caso di sconforto e sofferenza, l’espressione attraverso vocalizzazioni o movimenti continui, il pianto ed alcune particolari espressioni facciali. (Stein L. et al.,1990)

Tra i quattro e i cinque mesi di vita i cuccioli della nostra specie sembrano abituarsi a determinate tipologie di eventi creando le prime rappresentazioni predittive dei fenomeni e facendo esperienza di discrepanza quando nuovi stimoli sono introdotti. Studi di psicobiologia evolutiva (Lewis M. et al., 2005) affermano che a quell’età sembriamo già esprimere rabbia e tristezza se bloccati durante un processo di apprendimento. L’aspettativa di poter seguire e controllare l’evento che viene bloccato genera nel caso della rabbia un aumento del battito cardiaco, mentre se l’emozione prevalente è la tristezza o lo sconforto, si ha una risposta prevalentemente adrenocorticale con produzione di cortisolo.

Rispetto allo sviluppo delle difese sensomotorie attive legate alla rabbia, se i morsi possono essere una delle risposte autonomiche più precoci e filogeneticamente vicine alle nostre origini mammifere, successivamente questi possono essere sostituiti da impulsi attivi degli arti: spingere o picchiare è una strategia automatica alla quale tra i tre ed i quattro anni possiamo ricorrere istintivamente per manifestare emozioni intense di frustrazione e impazienza.

Se per essere incontrato nei suoi bisogni il bimbo deve protestare e far sentire la rabbia, potrebbe sviluppare il Sistema Nervoso prevalentemente nella sua componente del Simpatico che in assenza di esperienze di attaccamento riparatorie successive, potrebbe portare allo sviluppo di un carattere strutturato sul no, sull’evitamento o la dominanza; se invece neppure attraverso espressioni di rabbia il bimbo riuscisse ad attirare l’attenzione degli adulti per ricevere contatto, affetto e coregolazione dei suoi stati emotivi, questi potrebbe perdere la fiducia in ciò che sente, sviluppare processi cognitivi funzionali a gestire il dolore emotivo, pensieri come “Non me lo merito”, “Non vado bene” ed eventualmente formare nuclei della personalità dissociati (Fisher 2017) e connotati dall’intorpidimento tipico del Sistema Nervoso Vagale Dorsale.

La nostra resilienza di adulti, la capacità di sentire, stare ed eventualmente esprimere rabbia dipende infatti da come i nostri genitori riuscivano ad essere al nostro fianco con empatia, affetto e sintonizzazione, a porre limiti chiari e coerenti unendo un’amorevole capacità di ascolto, alla gestione delle proprie emozioni e della propria aggressività (Siegel 2014).

Anche far vergognare i bimbi per essersi arrabbiati e farli sentire abbandonati o isolati può essere fortemente disfunzionale, non promuove lo sviluppo delle parti del cervello che permettono il passaggio dalla reattività alla ricettività, dall’impulsività alla presenza.

Quale è stata la nostra storia con la rabbia?

Per comprendere la raffinata convergenza tra natura e cultura che informa il modo e l’intensità con cui viviamo, come le influenze educative epigenetiche e le esperienze intergenerazionali si intersecano, fondono e alimentano fino ad essere incarnate nella neurofisiologia degli organismi che siamo, possiamo iniziare a riflettere e sentire somaticamente cosa suscitano in noi i ricordi in riguardo alle prime relazioni che abbiamo avuto da bimbi, i legami emozionali che abbiamo sperimentato con i nostri genitori o con gli adulti che avevamo intorno.

Iniziamo qui un viaggio personale e comunitario che ha bisogno di coraggio, sentimento altrettanto umano rispetto a quello sopracitato e che nasce, appunto, dal cuore.

Quali sono state le emozioni e i sentimenti che abbiamo assorbito inconsciamente negli ambienti in cui siamo nati e cresciuti? Alcune di esse erano più visibili, ostentate e coloravano maggiormente gli sguardi, i toni delle voci e la qualità delle relazioni? Altre invece erano presenti ma non verbalizzate e forse ritenute tabù?

C’erano disponibilità all’ascolto, sperimentazione e gioco, sostegno e affetto incondizionato nei tuoi confronti da parte degli adulti o a volte ti sei sentito un pò solo, trascurato, lasciato là… Siamo stati messi sotto pressione per rispondere alle aspettative dei grandi, ci siamo sentiti giudicati provando vergogna o siamo stati motivati in modo coerente senza perdere mai la connessione con la forza della comprensione e dell’affetto dei nostri genitori?

Dalla psicobiologia evolutiva oggi sappiamo che i nostri caratteri e le nostre personalità sono strutturate soprattutto dalle relazioni di attaccamento sicure che abbiamo incontrato e dagli stadi dello sviluppo che abbiamo realizzato

Alcuni tra noi potrebbero non aver mai sviluppato la capacità di calmarsi in modo efficace e con sufficiente rapidità da inibire l’impulso a reagire o attaccare. Altri hanno imparato che urlare o diventare aggressivi era l’unico modo per non essere sopraffatti e poter esprimere i loro bisogni. Altri ancora potrebbero essere stati educati alla disciplina attraverso l’uso delle punizioni: l’associazione della paura o del dolore fisico e psicologico ad un impulso può essere un modo molto efficace per inibirlo. 

E se un bambino viene picchiato o fatto sentire cattivo ogni volta che trasgredisce le regole o si mette in pericolo, potrebbe smettere di farlo. Ma probabilmente imparerebbe anche, che il controllo e la violenza sono i mezzi più efficaci per costringere altre perone o animali a fare quello che lui vuole…  (Siegel D. 2014)

Altri tra noi, invece, potrebbero essere stati sopraffatti o scioccati dall’intensità dei litigi in famiglia, vittime di abusi fisici o psicologici non riconosciuti o non risolti e potrebbero ancora trattenere le risposte a quelle passate esperienze nei loro corpi, nei loro sistemi nervosi, nei potenti circuiti neurali della rabbia e della dominanza, nelle loro ansie e nelle loro paure.

Rottura e riparazione della sintonizzazione come base sicura per la regolazione degli affetti e delle emozioni

Nel corso del primo sviluppo l’adulto fornisce la maggior parte della modulazione necessaria degli stati emotivi del bambino, soprattutto quando si verificano delle rotture della sintonizzazione e durante le fasi di transizione da uno stato all’altro: questa funzione esercitata dall’adulto, permette la capacità di autoregolazione dell’essere umano. (Schore, 2008)

Ricordi una situazione in cui ti sei trovato in disaccordo con i tuoi genitori e poi, dopo breve tempo hai sentito di nuovo armonia e comprensione? Che sensazione ti arriva nel corpo quando ricordi il momento in cui è tornato un dialogo calmo e rassicurante?

Grazie alla capacità della madre o dei caregiver di accogliere e confortare con i giusti tempi il bimbo o l’adolescente dopo i momenti di assenza o rottura della sintonizzazione, questo impara a sperimentare affetti positivi dopo aver vissuto esperienze di arousal, attivazione del Sistema Nervoso Simpatico o brevi ipoarousal, attivazioni del Nervo Vago Dorsale. Queste transizioni nei meccanismi di regolazione interattiva permettono la formazione di legami di attaccamento sicuri, il bimbo sviluppa la capacità di calmarsi grazie allo sguardo della mamma, il suo tono di voce, il modo in cui viene toccato e il ritmo con cui la sua attenzione è stimolata, tutto ciò già dai primi mesi di vita promuove lo sviluppo del Sistema Nervoso Autonomo Parasimpatico nella sua porzione Vagale Ventrale, costituendo le fondamenta neurali dell’autoregolazione e della resilienza del futuro adulto.

Le esperienze precoci di riparazione o assenza di riparazione della sintonizzazione interpersonale influenzano la nostra relazione con la possibilità di confrontarci sinceramente, esprimere il nostro parere anche quando equivale ad un dissenso, verbalizzare i nostri “No”.

La riparazione è il completamento di un ciclo di attivazione e assestamento del Sistema Nervoso. Può avere potenti effetti sulle facoltà neuroplastiche delle cellule del cervello permettendo lo sviluppo di nuovi sentieri neurali.

La rottura episodica dell’attaccamento a questo punto può essere vista come possibile preludio per qualcosa di nuovo, divenire un potente catalizzatore per la facoltà di sintonizzazione interpersonale, la crescita, la trasformazione e una più profonda connessione con noi stessi e con gli altri.

Molti di noi mancano delle fondamenta fisiologiche e culturali per affrontare anche la rottura come un possibile passaggio, come qualcosa di potenzialmente generativo. Esperienze di rottura dell’attaccamento associate a separazione, trascuratezza o maltrattamenti possono inibire le capacità di ripararazione dell’affetto stimolando risposte emotive dominate da rabbia associata a tristezza, vergogna, ansia o sensi di colpa.

Il gioco: alchimia della trasformazione

Osservando come gli animali giocano con i loro cuccioli e come questi dedichino gran parte del loro tempo tra loro a questa meravigliosa arte possiamo comprendere anche le basi fisiologiche della regolazione degli affetti e dei comportamenti umani.

Lo spazio protetto del gioco permette all’organismo di sperimentare la forza, la paura, la gioia, la rabbia e l’infinità varietà di stati d’animo umani, il Sistema Nervoso allena e sviluppa armoniosamente l’abilità di attivare la potenza del Simpatico contemporaneamente alla connessione e alla sintonizzazione del Vago Ventrale.

Possiamo sentirci momentaneamente persi e sconfitti contattando un po’ del Vago Dorsale e poi tornare a gioire e ridere riattivando il Vago Ventrale.

La dinamica di questi cicli e la loro ripetitività prevedibile e sicura senza l’esperienza di vergogna, dominio e oppressione rappresenta un formidabile strumento di resilienza. (Porges 2018)

Fisiologia dell’emozione che brucia

La prima scintilla di rabbia può attivare nelle aree limbiche del cervello l’amigdala prima che ce ne rendiamo conto, stimolando il sistema di risposta allo stress, l’asse HPA (ipotalamo – ipofisi – surrene). A questo punto una cascata di ormoni permette attraverso il sangue la comunicazione diretta dal cervello alle ghiandole surrenali che iniziano a produrre adrenalina, noradrenalina e cortisolo. Se l’impulso di rabbia è cronicamente stimolato e, come avviene spesso, successivamente soppresso, quest’ultimo ormone può generare variazioni omeostatiche nelle cellule cerebrali che assumono più elevate quantità di calcio e aumentano troppo rapidamente la loro attività fino a disgregarsi, soprattutto nell’area della corteccia prefrontale e nell’ippocampo.

Una diminuzione dell’attività neurale nella corteccia prefrontale può generare difficoltà a prendere decisioni, orientarci ed avere una rappresentazione realistica delle relazioni e delle situazioni, mentre l’inibizione delle cellule dell’ippocampo può generare il blocco della memoria a breve termine e ostacolare la formazione di nuove memorie.

Quando siamo presi per lunghi periodi dalla rabbia potremmo osservarci a ruminare pensieri intrusivi fissi o ricorrenti rispetto agli eventi che l’hanno provocata (Denson 2009, Alia-Klein 2020) e poiché il cortisolo diminuisce la produzione di serotonina (Raine 2008), anche emozioni come gioia, felicità e soddisfazione potrebbero svanire dalla nostra esperienza.

In alcuni casi di alta intensità di attivazione potrebbe presentarsi una diminuzione dell’attività dell’area del Broca, zona del cervello correlata con il linguaggio, impedendoci di verbalizzare correttamente i nostri stati emotivi e argomentare in modo chiaro le nostre ragioni.

Quando la rabbia fa male…

L’attivazione cronica dell’asse HPA e l’esposizione prolungata agli ormoni catecolaminici associati, può avere un impatto molto forte sulla nostra salute:

  • Agli occhi – vista sfuocata, visione a tunnel, ipersensibilità alla luce e aumento di pressione alla zona oculare

  • Nel sistema cardiovascolare – Aumento del battito cardiaco, della pressione sanguigna, del livello di glucosio e di acidi grassi con rischio di gravi problemi cardiaci

  • Alla tiroide – ipo o ipertiroidismo con disfunzioni anche gravi al metabolismo

  • Nel sistema digerente – diminuzione del flusso sanguigno e difficoltà nella digestione con problemi allo stomaco o all’intestino

  • Alla struttura osteomuscolare – diminuzione della densità delle formazioni ossee e contrazione cronica miofasciale

  • Al sistema della masticazione – Fenomeni di bruxismo, tensioni alla mandibola ed emicranie

In base agli studi pubblicati dal National Institute for the Clinical Application of Behavioral Medicine si avrebbe anche una diminuzione dell’attività del sistema immunitario ed un aumento dell’incidenza di formazioni tumorali. Inoltre secondo il Dott. John Sarno, professore di Riabilitazione Clinica e Medicina presso la NY University School of  Medicine reprimere le proprie emozioni in generale, e la rabbia in particolare, è al centro di molti, se non della maggior parte dei dolori cronici, dei disturbi e della “sindromi”. Include ad esempio disturbi come la fibromialgia, la fibrosite, la miofibrosite, l’ulcera, il colon spastico, la sindrome da intestino irritabile, l’asma, l’emicrania solo per citarne alcune. (Selvam 2003)

Alle origini di un conflitto spesso inconsapevole: reprimerci o agire?

La rabbia come gran parte dei processi neurofisiologici umani presenta diverse componenti: fisiologiche, cognitive, soggettive, culturali e comportamentali, è un processo multidimensionale contestualizzato che pone difficoltà teoriche e operative nel tentativo di ridurlo ad un singolo fenomeno psicobiologico.

Comprendendo la presenza di numerose variabili in base alle modalità con cui il nostro organismo risponde all’arousal, alla tipologia di stimoli che possono innescarlo e al grado di stress a cui il nostro organismo è sottoposto, potremmo dividere in sintesi i comportamenti correlati alla rabbia in espressi ed agiti, usando il termine acting out, oppure trattenuti e internalizzati, acting in.

In genere la persona può gestire differenti situazioni in modi diversi e beneficiare della capacità di ascolto, osservazione e modulazione degli impulsi padroneggiando la rabbia, ma in alcuni casi, quando quest’emozione non è accettata culturalmente o non ha avuto modo di sviluppare un suo percorso sensomotorio coerente per via di situazioni familiari o ambientali avverse, essa potrebbe essere bloccata da schemi neurofisiologici del Sistema Nervoso o fare troppa paura per poter riuscire ad essere espressa.

In questi casi potrebbero insorgere le sintomatologie suddette o svilupparsi parti della personalità che permettono di contenere e articolare, spesso in modo disadattativo, l’energia della rabbia (van der Hart 2011): in base all’intensità e la forza, a quanto precocemente questa si è organizzata e alle relazioni ed esperienze del contesto in cui viviamo, potremmo avere flussi di pensieri giudicanti anche nei nostri confronti, contrazione cronica di alcune parti del corpo e desensibilizzazione o dissociazione di altre, comportamenti di autosabotaggio o autolesionismo.

Sappiamo bene in Italia quanto, dall’inverno del 2020, la popolazione sia stata soggetta ad esperienze complesse a livello sociale e psicologico dovute ai lockdown e alle misure adottate per il contenimento della pandemia del Covid 19. In questo senso recenti studi indicano la necessità di riservare particolare cura e comprensione nei riguardi dei bambini e degli adolescenti (Feruglio S. et al. 2020; Vicari S. et al., 2021). L’imprevedibilità dei cambiamenti avvenuti nelle dinamiche di relazione interpersonale, scambio affettivo e contatto fisico, possono aver iniziato a strutturare gravi conseguenze traumatiche a livello individuale e collettivo.

Possiamo dire anche che, se adeguatamente supportate a livello familiare e di comunità, nell’alveo delle culture occidentali le attuali competenze in ambito psicoterapico possono permettere di alleviare e risolvere gradualmente i problemi di singoli individui. Ad esempio correnti e scuole come la Gestalt, Sensorimotor Psychotherapy, Internal Family System o i vari approcci transpersonali ormai ampiamente diffusi, possono accompagnare la persona ad integrare le parti della personalità ancora in difficoltà nel gestire, orientare ed eventualmente agire la rabbia metabolizzata per via di esperienze passate o assorbita dall’ambiente a livello intergenerazionale a causa di traumi storici collettivi.

Inoltre la prospettiva offerta dalla comprensione del funzionamento del Sistema Nervoso Autonomo secondo la teoria polivagale, può suggerire che per persone in difficoltà nell’assumere il proprio potere personale di scelta e la propria assertività, possa essere importante sperimentare in ambiente protetto l’arousal del Sistema Nervoso Simpatico. Se nell’età dello sviluppo, gli adulti che dovevano essere la nostra fonte istintiva di sicurezza, in realtà rappresentavano un pericolo per la nostra salute o se altre esperienze sopraffacenti sono avvenute durante il corso della nostra vita, l’organismo può aver abilitato il Nervo Vago nella sua porzione dorsale come piattaforma di base per proteggersi ed economizzare l’energia del metabolismo.

In questo caso ci potremmo sentire inermi di fronte alla realtà, desensibilizzati, senza voglia di esistere ed essere parte della meraviglia del cosmo e della vita. In queste evenienze per uscire da stati di inerzia o frustrazione, accedere a piccoli e graduali impulsi di rabbia può permettere maggior flusso di energia vitale nel sistema.

Nel metodo Somatic Experiencing di Peter Levine, per l’elaborazione dei disturbi da stress post traumatico, le esperienze del passato evocate in compagnia del facilitatore permettono alla persona di accedere in modo titolato alle memorie esplicite ed implicite (Levine 2015). Queste ultime sono connotate a livello sensomotorio da sequenze di azioni, espresse o bloccate durante episodi chiave del vissuto dell’individuo.

Il corpo ricorda e registra ciò che ha vissuto nei momenti di alta intensità emotiva della nostra vita. Connetterci ad esso insieme ad un testimone empatico, accedere in modo presente e consapevole alle memorie procedurali delle azioni che non siamo riusciti a compiere negli eventi complessi del passato e rielaborare risposte funzionali di difesa attiva nuove e più adatte , può permetterci di rientrare in contatto con la nostra forza.

Integrare l’aggressività sana: coglierla, orientarla, differenziarla, usare questa forza naturale per agire e trasformarla in potere creativo.

Per iniziare un processo di trasformazione degli schemi assunti nel passato e disinnescare stati di confusione e parziale dissociazione generati dalla frammentazione dei confini somatici o energetici della persona (Diamanti J. 2017), possiamo educarci alla qualità dell’essere umano denominata presenza ed attingere gradualmente e senza identificarci con essi, agli impulsi di sopravvivenza dell’arousal del SNA Simpatico.

Nel racconto di un esperienza in cui ci siamo sentiti un po’ sotto pressione possiamo osservare il primo impulso di fastidio, sentire nel corpo quali segnali indicano che questo può iniziare a trasformarsi in forza vitale e magari diventare rabbia.

Cosa avviene a quel punto se riusciamo a fare una pausa ed osservare ciò che emerge?

Forse ci arrivano flussi veloci di pensieri rivolti nei confronti di chi ci ha fatto sentire pressati o questi stessi pensieri e giudizi si riflettono contro noi stessi… Contraiamo qualche parte del corpo senza accorgercene? O forse, non sentiamo più la terra sotto i piedi e andiamo in confusione?

Se il racconto e l’esposizione a frammenti del passato registrati come memoria può lasciare emergere impulsi neuroendocrini a livello organico e somatici a livello motorio ed enterocettivo, la ricerca scientifica del nuovo millennio dimostra che a loro volta i movimenti muscolari legati alle emozioni e in questo caso alla rabbia possono far emergere schemi di attivazione del sistema nervoso attraverso associazioni di immagini, sentimenti, ricordi, cognizioni e risposte autonome strutturatesi in passato, poco coerenti con la realtà presente. (Berkowitz 2004)

Per chi ha difficoltà ad accedere agli impulsi di lotta o fuga anche quando questi siano necessari, può essere molto utile sperimentare i vari stadi della sequenza d’azione dei comportamenti di difesa tipici dell’aggressività espressa in maniera sana, in modo da ripristinare il senso di agibilità e il potere personale utili in ogni istante del nostro quotidiano e necessari soprattutto nei casi in cui si sia di fronte ad una minaccia o un pericolo reale.

Il facilitatore dotato di esperienza che abbia già elaborato in modo integrale le sue personali attivazioni autonomiche rispetto alla rabbia, può accompagnare l’utente alla consapevolezza somatica della sequenza d’azione che, stimolata da un ricordo esplicito a partire dal primo impulso, passa poi ad organizzarsi nel corpo come postura e movimento degli arti nello spazio. Invece che una tensione liberata in modo catartico come scarica o sfogo, l’attenzione è rivolta a come si organizzano i micromovimenti in senso propiocettivo e cinestetico.

Se ad esempio la rabbia coinvolgesse il movimento di difesa attiva degli arti superiori, il facilitatore potrebbe concordare la possibilità di esplorarne la forza gradualmente, attraverso una leggera resistenza isotonica portata sulle mani del cliente. Questi guidato dalle sue sensazioni interiori, grazie all’ascolto enterocettivo del corpo, sarebbe messo nella piena padronanza di modulare tale resistenza al fine di esplorare come la forza delle braccia si organizza, si articola e si completa.

Mentre rallenta imparando a stare con l’energia vitale che si stà mobilizzando nelle sue cellule,  la persona potrebbe verbalizzare “Sento la mia forza, posso riconoscerla, rimanerci a contatto e orientarla in modo sano”.

Tale completamento è tanto più efficace ed organico quanto più precisamente è inserito ed espanso nei dettagli sinestetici dell’esperienza passata rievocata. Quali sensazioni arrivano alla persona dopo la rinegoziazione avvenuta? Ci sono emozioni o comprensioni nuove che emergono?

L’eventuale cambiamento a livello neurale e neuroplastico può avvenire soprattutto se ad ogni passaggio della sequenza la persona può rimanere connessa a se stessa e sintonizzata con chi l’accompagna: presente e padrona di scegliere l’intensità gestibile espressa nella pratica all’interno del suo range di resilienza, può scoprire cellula per cellula la sua forza. Per non essere sopraffatta dalla paura, da altre emozioni o pensieri intrusivi che possono emergere come blocco che inibiva l’accesso all’energia di lotta o fuga, può rimanere in contatto anche con lo sguardo e il tono di voce calmo, prosodico e sintonizzato, di chi ha il piacere di esplorare tale forza insieme a lei.

Acting out

La fenomenologia della rabbia espressa in pubblico a livello verbale o fisico, può essere più facile da riconoscere intorno a noi, ma anche più complessa da accettare, se non modulata e articolata in modo proficuo per le relazioni e gli ambienti in cui si manifesta…

In base all’intensità e all’orientamento che la forza della frequenza di Marte può assumere se espressa ed agita, possiamo incontrare storie e destini diversi di individui, famiglie, comunità, territori e periodi storici.

Forse non abbiamo ancora  preso abbastanza coscienza di quanto i traumi non ancora del tutto elaborati a livello personale e collettivo, possano portare un enorme carico sulla salute del genere umano e delle società, mettendo a grave rischio l’intero ecosistema planetario. (Hübl 2020)

Viviamo in un pianeta in cui il modello socioeconomico dominante è il frutto amaro di due conflitti mondiali avvenuti nello scorso secolo, in cui al terrore dei campi di sterminio e del razzismo espresso dalla follia nazifascista ha fatto, tragicamente, da contro altare l’aberrazione della bomba atomica, partorita dalla scienza di una confederazione di stati democratici nati dallo sterminio dei popoli originari dei territori in cui essi stessi sono stati fondati.

L’educazione che le generazioni del Novecento hanno ricevuto e che spesso è arrivata fino a noi dai nostri genitori, era più vicina ad un’addestramento militare impartito per mezzo di premi e punizioni, che a un accompagnamento amorevole e sintonizzato adatto allo sviluppo.

Era fondata sul giudizio e sul castigo usati come deterrenti da comportamenti non convenzionali rispetto alla cultura dominante, impartita attraverso il bastone e la cintura, il ricatto e la minaccia tipica di momenti storici talvolta crudi e spietati, in cui la paura e l’ubbidienza erano imposti e spesso accettati per pura sopravvivenza.

Oggi sappiamo che l’imposizione di ordini (Caspar A. 2016; Caspar A. 2020) e l’assenza di sintonizzazione emotiva e gentilezza amorevole (Siegel D. 2015) nelle relazioni interpersonali, possono inibire lo sviluppo di aree del cervello correlate all’empatia e al senso di responsabilità.

Molti adulti non hanno mai avuto da bimbi lo spazio e la possibilità di imparare a riconoscere e modulare la propria rabbia, sviluppando una reattività incontrollabile in risposta a espressioni facciali o comportamenti percepiti come minacciosi o sfidanti (Coccaro et al., 2009) e usano la sottomissione o la dominanza come uniche strategie possibili in assenza di esperienze reali di fiducia e reciprocità.

Se ho paura attacco…

Questa aggressività reattiva può essere così veloce che l’agire fisico avviene apparentemente senza un’escalation osservabile o mediazione di inibizioni cognitive. (Hortensius et al., 2016).

In questi casi può essere buona cosa essere accompagnati attraverso la ripetizione di pratiche integrali di consapevolezza, a esplorarne il punto di innesco. La scoperta della pausa che ci consente di non reagire automaticamente all’impulso e di rispondere in modo coerente al contesto, segna l’inizio della capacità di scegliere con intenzionalità, dello sviluppo della competenza rispetto all’eruzione incontrollata della furia.

Fondamentale è permetterci la qualità di presenza necessaria, la sintonizzazione con la persona che ci facilità attraverso lo sguardo, la voce ed eventualmente l’accordo per un contatto fisico rinegoziabile. Chi impara a gestire la sua aggressività avrà enorme bisogno di rallentare, fare pause per orientarsi nell’ambiente e dare tempo ai suoi sensi di informare il cervello della reale sicurezza dell’esperienza presente.

Attraverso i cinque sensi e l’ascolto delle sensazioni corporee, l’encefalo riceve segnali enterocettivi rispetto alla sicurezza reale percepita: la persona impara col tempo a gestire lo stato di pericolo o vulnerabilità che innescava abitualmente l’attacco, in modo nuovo.

Le comprensioni emerse dall’ambito delle neuroscienze affettive rispetto al ruolo svolto dall’area encefalica del cingolato anteriore nella regolazione dell’arousal dei circuiti limbici dell’amigdala (Sortres Bayon et Al. 2004, Levine 2014) stabiliscono valide basi scientifiche rispetto all’importanza della consapevolezza enterocettiva nella regolazione e nella modulazione delle emozioni e degli impulsi.

Il ruolo del corpo, avvalorato dagli studi sull’embodied cognition (Shapiro 2019), assume così un nuovo significato nell’ambito dell’elaborazione di comportamenti e tratti del carattere della persona, la consapevolezza integrale dell’esperienza incarnata arricchisce la visione preconizzata già dall’Ottocento dallo psicologo e filosofo francese Pierre Janet, pioniere della psicotraumatologia e ideatore della psicologia della condotta.

Per farla finita con le proiezioni: ascolto, disidentificazione, orientamento e modulazione

Può avere poco senso urlare a squarciagola a nostro figlio di lavarsi i denti prima di andare a dormire… Mentre un grido potente, espresso nel momento giusto, può distogliere l’attenzione della persona che stà aggredendo un’altra malcapitata e permettere a questa di fuggire e mettersi in salvo.

La capacità di modulare l’intensità delle nostre azioni ed espressioni veementi dipende da quanto siamo presenti ai flussi di informazioni ed emozioni che ci attraversano o da quanto agiamo in automatismo. Per chi ha sbloccato la sua capacità di entrare a contatto con l’assertività attraverso gli impulsi del sistema nervoso simpatico può essere molto importante imparare a modulare la sua nuova abilità. Un no può essere espresso in vari modi, in un range che può andare dalla furia alla gentilezza amorevole.

Anche l’abilità di orientare ed indirizzare le emozioni legate all’aggressività sana necessita di essere affinata. Potremmo vivere una vita intera proiettando sulla realtà e sulle persone che in qualche modo ce lo permettono perchè più deboli o disponibili nei nostri confronti, la rabbia legata ad esperienze passate non digerite.

La rabbia incute paura e la paura intensa, a sua volta, inibisce gli impulsi sani di rabbia che in assenza di relazioni empatiche e sintonizzate, ci potrebbero permettere di sentire che qualcosa non va… Di destarci e interagire attivamente in ambienti in cui veniamo sistematicamente oppressi, di mettere dei confini sani, di ottenere il meritato rispetto e il diritto ad una vita non sottomessa. La storia scritta dalla cultura dominante narra di millenni di guerre, cicli di oppressione e rivolta dal cui alternarsi hanno preso forma le strutture sociali contemporanee: la famiglia, l’educazione, la medicina, l’economia, le religioni, gli stati e le culture… E tu?

Cosa avviene quando tocchi la vulnerabilità? Hai bisogno di sentire che tutto è sotto controllo?

Quando, invece, senti giusto ribellarti? Su cosa non sei disposto a transigere? L’estinzione quotidiana di  numerose specie vegetali ed animali, i capricci di tuo figlio, il cambiamento climatico che lascerà alle future generazioni qualcosa di imprevedibile, i tradimenti del\la tuo\a partner, l’omofobia, l’uso di materiale genetico biotecnologico disegnato in digitale, brevettato e inoculato a milioni di persone come vaccino, il vicino di casa che picchia sua moglie, l’uso alimentare di sostanze cancerogene, l’impianto di tessuti neurali artificiali nei cervelli, l’impossibilità di acquistare cibo per i tuoi cari, il tamponamento della tua nuova automobile?

Ciò che ti ferma è la paura o il buon senso?

E fino a dove arriva il tuo limite?

Integrare la nostra sana aggressività può permetterci un’organizzazione più coerente dell’energia vitale, consentendoci di accedere alla coscienza del Sè, ad un senso di presenza incarnata in cui sentiamo gli impulsi ma non ci confondiamo con essi. Li agiamo, ma non ne siamo agiti.

Perdono, stadio di un processo organico integrale

Uno degli aspetti più comuni e complessi riguardo alla rabbia è il desiderio irrazionale di vendetta come ristoro ipotetico del torto o del danno subito. Questo talvolta implica, non solo l’adozione di azioni deterrenti dal far ripetere comportamenti lesivi in futuro, ma anche la richiesta o l’auspicio di una sofferenza per chi sentiamo ci abbia offeso.

Le radici di tali impulsi e convinzioni possono essere ricercate nei responsi adattativi di difesa dalla minaccia o nella risposta autonomica al dolore che abbiamo già iniziato a tratteggiare in questo articolo. La violenza che tratteniamo in noi stessi attraverso gli istinti inibitori dell’acting in o che proiettiamo fuori attraverso l’espressione verbale o l’azione dell’acting out, possono essere viste entrambe come risposte automatiche di sopravvivenza di natura post traumatica.

In questo senso l’elaborazione della rabbia limitata all’esperienza del perdono rischia di ridursi ad una forma vuota o parziale di bypass: se questa non viene integrata organicamente come stadio di una sequenza di esperienze relazionali cognitive, somatiche, emozionali ed energetiche in cui la persona e la comunità possano rientrare realmente a contatto con la loro forza, il loro potere personale e collettivo, rischia purtroppo di continuare a produrre sintomi nei corpi, nelle menti e nelle culture.

Il perdono, balsamo prezioso per gli umani nel lenire secoli di soprusi, sfruttamento e sopraffazione, in questo senso può essere l’apice di un processo d’amore per noi stessi e per gli altri, se si dispiega emergendo dal cuore in modo spontaneo e naturale.

Jerry Diamanti

leviedolci@gmail.com

www.equilibrinaturali.net

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    Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Sorry, this entry is only available in Italiano.

  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

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    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

    www.claudiapanico.com

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  • Una pratica che incontra oriente e occidente

    Da pochi giorni si è concluso il ritiro estivo di Respirazione Olotropica e Meditazione Vipassana che io e Pietro Thea proponiamo due volte all’anno. E’ uno dei seminari che amo di più.

    Questi due metodi e la filosofia che li anima possono sembrare opposti, ma in realtà sono complementari, con prospettive e tecniche comparabili.

    Desidero parlare brevemente proprio di alcuni di questi aspetti.

    Come ho scritto in un precedente articolo su Matrika, la pratica della Respirazione Olotropica è stata creata negli anni ‘70 da Stanislav e Christina Grof, e si fonda sulle ricerche sulla natura della psiche effettuate da Grof stesso a partire dagli anni 50, all’inizio a Praga, sua città di nascita, e successivamente negli Stati Uniti, prima in un centro di ricerca nel Mariland, e poi ad Esalen in California.

    Grof è stato uno dei fondatori della Psicologia Transpersonale, ed è considerato uno dei principali successori di Freud e Jung.

    GLI STATI OLOTROPICI DI COSCIENZA

    Un punto chiave nel pensiero di Grof è il concetto di “Stati Non Ordinari di Coscienza”. L’idea è che la nostra concezione ordinaria della realtà, ciò che sperimentiamo nella vita quotidiana, si basa solamente su alcune capacità limitate della nostra mente, ma che abbiamo la potenzialità per entrare in stati di consapevolezza che mostrano la realtà come infinitamente più vasta e complessa di come la sperimentiamo ogni giorno.

    Grof ha ripetutamente verificato come alcuni Stati non Ordinari di Coscienza hanno un potenziale terapeutico ed euristico molto elevato, e li ha chiamati Olotropici, un termine che significa “muoversi verso la totalità, la completezza”, dal greco holos (tutto) e trepein (andare verso).

    Molte culture nel mondo e nella storia hanno studiato i metodi per entrare in questi stati: nella maggioranza utilizzano il respiro, il suono dei tamburi, la danza, il digiuno, l’uso di piante psicotrope.

    Un altro dei modi per entrare in uno stato olotropico di coscienza è la meditazione. Ormai da anni gli studi su monaci e praticanti avanzati di meditazione mostrano una chiara modificazione delle onde cerebrali e altri parametri fisici scientificamente misurabili.

    LA NASCITA DELLA RESPIRAZIONE OLOTROPICA

    Da quando l’LSD divenne illegale negli anni settanta e tutte le ricerche sui suoi effetti terapeutici vennero interrotte (di questo parlerò in un prossimo articolo), Grof e sua moglie Christina hanno sviluppato un metodo per indurre stati olotropici senza l’uso di sostanze psicotrope, basandolo sui risultati delle ricerche svolte con l’LSD, le pratiche sciamaniche, e le pratiche orientali di consapevolezza.

    Questo metodo, da loro chiamato Respirazione Olotropica, si basa sull’uso di rilassamento, respirazione profonda, e una colonna sonora composta di musiche etniche, preparata specificamente per sostenere l’esperienza e per facilitare l’accesso a stati non ordinari. In questi stati, la persona riesce ad entrare in strati profondi del proprio inconscio, per favorire la risoluzione di conflitti psichici, e sperimenta la propria interconnessione con gli altri esseri umani, con l’inconscio collettivo, con la rete della vita, e con un contesto spirituale.

    Alcune delle tecniche che i Grof hanno sviluppato, e il modo di vedere il mondo e la realtà che emergono da queste esperienze, riecheggiano le pratiche e gli insegnamenti Buddhisti.

    ORIENTE E OCCIDENTE SI INCONTRANO

    Prima di tutto, la RO condivide con la Meditazione Vipassana l’enfasi sul respiro.

    E’ importante notare che la centralità del respiro non è relativa esclusivamente all’aspetto di processo fisico che permette la vita, ma anche al suo significato simbolico di collegamento al regno dello spirito. Questo legame è profondamente radicato nel nostro linguaggio. Il termine latino spiritus si riferisce sia al respiro che all’anima o al principio vitale, la stessa cosa è vera per la parola greca pneuma, il termine cinese qi, il giapponese ki, il sanscrito prana e l’ebraico ruach. Nella Bibbia leggiamo:” E Dio creò l’uomo, ……..e soffiò nelle sue narici il respiro della vita; e l’uomo divenne un’anima vivente” (Genesi 2,7)

    Un altro principio fondamentale nella Respirazione Olotropica è “il guaritore interiore”. Con questo concetto si intende il fatto che ognuno di noi conosce spontaneamente ciò di cui ha bisogno per risolvere i propri conflitti interiori, e per andare verso la pienezza. Se andiamo abbastanza profondamente nel nostro inconscio, troviamo qualcosa di fondamentalmente buono, e che tende alla salute. Questo concetto è molto lontano da quello di peccato originale di cristiana memoria, ma è vicino alla nozione Indù di atman, la divinità interiore, concetto fondamentale anche nel Buddhismo Mahayana, al quale talvolta ci si riferisce come alla “natura Buddha”. Senza andare in sottili distinzioni non utili in questa sede, il punto focale è che sia il Buddhismo che la RO accettano il fatto che nel nucleo siamo “nati nobili” – cioè siamo buoni, e conosciamo ciò di cui abbiamo bisogno per realizzare pienamente la nostra vita.

    Forse nessun principio è più fondamentale nel Buddhismo di quello di “interconnessione”, la nozione che noi siamo solamente una manifestazione transitoria di una rete infinita di realtà interdipendenti, sia materiali che spirituali, radicate nella realtà ultima del principio divino. Ogni cosa dipende da qualcos’altro per la sua esistenza, ed è in definitiva collegata con tutto ciò che è.

    La RO può permetterci di intravedere brevemente questa realtà anche esperienzialmente.

    LA MAPPA DELLA COSCIENZA

    La mappa della coscienza che Grof ha redatto sulla base di 50 anni di ricerca – forse il suo contributo più importante alla psicologia del profondo – elenca tre livelli fondamentali della nostra mente inconscia, che possiamo esplorare nel viaggio interiore.

    Il primo è personale, biografico, e contiene gli elementi della nostra esperienza di vita che giacciono al di sotto del livello della coscienza. E’ il medesimo di cui parla Freud.

    Il secondo è un livello più profondo che si incontra quando siamo in uno stato non ordinario, e sembra contenere le memorie della propria nascita, e viene chiamato “perinatale”. E’ stato esplorato per la prima volta in psicologia da Otto Rank.

    Attraverso l’esperienza del livello perinatale possiamo direttamente avere accesso ad un livello della psiche ancora più profondo, che Jung ha chiamato inconscio collettivo.

    Le profonde esperienze che possiamo fare a questo livello hanno importanza non solamente in ambito psicologico, ma per la nostra intera concezione di ciò che è la realtà.

    UN PRINCIPIO FONDAMENTALE

    Queste esperienze indicano chiaramente come la coscienza non è meramente un sottoprodotto di processi chimici o fisici nel cervello umano, perché in tali esperienze è possibile avere accesso ad elementi di consapevolezza che non erano entrati precedentemente nelle nostra vita biografica. Implica che la coscienza è un principio fondamentale dell’esistenza. Qualcosa che permea la realtà.

    E’ una visione coerente con le nozioni Buddhiste fondamentali: siamo connessi l’uno con l’altro, e con il resto di ciò che esiste non esclusivamente sul livello materiale, ma a livello della coscienza.

    Negli stati non ordinari, per esempio, le persone hanno provato che possono identificarsi per esempio con la coscienza di un antenato, o anche di un albero.

    Jack Kornfield, uno dei primi psicologi ad andare in oriente come monaco per studiare e praticare direttamente la meditazione Vipassana, scrive nella prefazione di un recente testo di Grof “che offre una psicologia per il futuro, che espande le nostre possibilità umane e che ci riconnette gli uni con gli altri e con il Cosmo….” E continua dicendo “ nel mio addestramento come monaco Buddhista sono stato introdotto per la prima volta alle potenti pratiche del respiro, ed ai regni visionari della coscienza. Mi sento fortunato a trovare nel lavoro di Grof un incontro potente per queste pratiche nel mondo Occidentale.”

    Grof e Kornfield hanno infatti condotto per anni un workshop noto come “Insight and Opening”, che combinava le tecniche della Meditazione Vipassana alla Respirazione Olotropica.

    Io e Pietro abbiamo partecipato più volte a quegli incontri, e abbiamo provato personalmente l’efficacia e il potere trasformativo di questi due metodi congiunti. Come Jack ha detto una volta, queste tecniche “contattano il luogo della propria saggezza interiore”, con una modalità simile in entrambe: portare l’attenzione alle immagini , ai pensieri ed alle emozioni che sorgono nella coscienza, sperimentarle pienamente, e poi, senza giudizio o analisi, lasciarle andare con gentilezza.

    Claudia Panico

    claudia@claudiapanico.com

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