L’ecofemminismo è un ramo del femminismo che include nelle sue lotte anche i diritti della natura: quando si parla di ecofemminismo, stiamo descrivendo una lente con la quale osservare la realtà intorno a noi, e attraverso la quale tutte le gerarchie che siamo abituate a considerare “normali” (sia quelle di cui ci accorgiamo, sia quelle che ancora non riusciamo invece a scorgere) immediatamente si frantumano. È una lente molto bella e potente, che è in grado davvero di mandare in pezzi la sistematicità che porta avanti anche la nostra stessa vita quotidiana.

Infatti, indossando questi occhiali, possiamo finalmente chiederci: ma come faccio io, persona transfemminista, a lottare per me e per tutte le mie sorellə, dimenticandomi invece degli alberi, delle formiche, della terra, e di tutte le specie naturali che vengono sfruttate o annientate dal patriarcato, lo stesso che sfrutta e uccide anche le donne? Cioè, se lottiamo contro una mentalità patriarcale e contro il mondo che questa mentalità plasma, come facciamo a lasciare indietro dei pezzi che sono anche loro parte di noi?

Sappiamo che questo avviene perché la visione patriarcale funzione attraverso una percezione gerarchica di importanza, e quindi è sempre una concezione patriarcale che ci ha insegnato, ad esempio, anche se in maniera inconsapevole, che i diritti delle donne siano più importanti dei diritti degli animali, o dell’ambiente. O più urgenti. O diversi. Ecco, l’ecofemminismo dice: anche è questa è spazzatura patriarcale! Come facciamo a lottare per noi stessə, dimenticandoci la natura, quando anche l’interno mondo naturale viene sfruttato, inquinato, umiliato e ucciso dagli stessi meccanismi che danno vita ad una società sessista, machista, patriarcale, ma non solo, anche per far sì che noi stesse continuiamo a vivere senza rinunciare ai nostri confort.

Non è difficile associare l’entità donna all’entità natura, eppure il femminismo mainstream non lotta (o almeno non lo fa in maniera attiva) includendo i diritti della natura. Eppure la guerra fatta non solo al corpo femminile ma anche alla natura è nata proprio a partire dalla nascita di quello che è il patriarcato, anche per la forte interconnessione che donne e natura hanno avuto nelle società pre-patriarcali.

Nel primo documento scritto pre-patrircale datato precedentemente l’anno 1000 BCE, l’Enuma Elish – un poema cosmogonico appartenente alla cultura babilonese, si narra dell’uccisione della Dea-dragonessa Tiamat, la generatrice primordiale, da parte del dio Marduk, giovane divinità guerriera e spietata, che crea il mondo a noi conosciuto facendo a pezzi proprio il corpo della Dea che lui stesso uccide in maniera molto spietata: quindi, dai suoi occhi fa sgorgare il Tigri e l’Eufrate, dalla sua coda crea il cielo, dal suo corpo morto fa uscire le montagne, e così via. Questo poema d’altronde è molto importante perché è all’origine di tutte le religioni monoteistiche odierne, dove guarda caso la divinità è unica e maschile, sta in cielo e non in terra (quindi è fatto di una sostanza diversa da quella con cui sono create le persone, gli animali, le piante, mentre la Dea era parte integrante della via anche dal punto di vista biologico), e dove soprattutto il mondo naturale è morto, e quindi nessun rimorso a sfruttarlo e a farne ciò che si vuole, proprio come per millenni si è tentato di fare con il corpo femminile.

Riuscire ad annullare, nella nostra concezione, l’importanza gerarchica tra ciò che siamo noi e ciò che per noi rappresenta il mondo naturale intorno a noi è oggi fondamentale perché questo è un primo piccolo passo, ma molto importante, nella costruzione di una mentalità davvero diversa da quella patriarcale e su cui poter costruire una società che può vivere felice nell’abbondanza, nel rispetto reciproco e nel rispetto di tutto ciò che la circonda, di cui noi siamo parte.

Virginia Elena Patrone

www.virginiaelenapatrone.com

vep@virginiaelenapatrone.com

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