Si deve giudicarla come il furto irrazionale della fantasia, o è invece possibile postulare una razionalità immanente a questa scelta?[1] Partendo dalla critica del pregiudizio etnocentrico, Clastres muove alla scoperta di quelle culture amerindiane in gran parte distrutte dall’avanzata della civiltà occidentale, che non riuscì” a integrarle.
Attraverso una attenta lettura dei miti, dei riti, delle istituzioni sociali, dei costumi sessuali, dei modi di produzione, la scoperta principale a cui perviene Clastres è l’importanza politica dei capi, non tanto come incapacità di produrre forme più evolute di convivenza, ma come alternativa culturale al modello occidentale di società politica, lo Stato.
Ciò che agli occhi dei primi esploratori e colonizzatori europei apparve come prova dell’inferiorità etnica di quelle popolazioni, appare a Clastres, in un contesto più sensibile alle differenze culturali, il principio attorno al quale
possiamo ricostruire il significato delle culture amerindiane: culture senza politica, senza Stato e
senza storia, ma tanto più significative per l’uomo occidentale nell’attuale crisi dello “spazio politico” ereditato dall’ottocento.
Analizziamo più a fondo queste società senza stato; come sappiamo il potere si realizza in una caratteristica relazione sociale: Comando-Obbedienza.
Risulta immediatamente che nelle società in cui non si osserva questa relazione essenziale si hanno società “senza potere”. La verità e l’essere del potere consistono nella violenza, ed il potere è impensabile senza il suo
predicato, la violenza.
Studiando altre culture, popolazioni, in questo caso quella degli Indiani d’America, ci accorgiamo che non tutte le società sono fondate da questa caratteristica sociale del comando-obbedienza.
Eccetto le culture superiori del Messico, dell’America centrale e delle Ande, tutte le società indiane o quasi sono dirette da “leader”, ma la cosa particolarmente strana e allo stesso tempo interessante è che questi caciques non possiedono potere.
Ci troviamo di fronte a un complesso enorme di società, in cui i detentori di ciò che altrove si chiamerebbe potere, in effetti sono privi di potere, in cui il capo politico è al di fuori di qualsiasi coercizione e violenza, e di ogni subordinazione gerarchica, non esiste alcuna relazione dicomando\obbedienza fra lui e i suoi “sudditi”.
“Se vi è cosa estranea a un amerindiano è l’idea di impartire un ordine o di dovervi obbedire, fuorchè in particolari circostanze, come nel caso di spedizioni guerresche.” [2]
E’ importante sottolineare che non è possibile dividere le società in due gruppi distinti, con e senza potere; al contrario il potere politico è universale, immanente al fatto sociale, ma si realizza in due modi principali: potere coercitivo e potere non coercitivo.
Il potere coercitivo, non è il modello del vero potere, ma solo un caso particolare. Non vi è dunque ragione scientifica per farne il punto di riferimento.
Anche nelle società in cui l’istituzione politica è assente, è presente la politica, anche qui si pone il problema del potere.
Il potere politico non è una necessità inerente alla natura umana, è una necessità alla vita sociale.
La politica è pensabile anche senza la violenza, ma non è pensabile il sociale senza il politico, in altre parole non ci sono società senza il potere, ma ci sono diversi tipi di potere.
L’uomo per vivere in una comunità, per creare il sociale, può produrre norme ma può produrre le norme che vuole;
“La produzione di norme è, dunque, l’operazione centrale, fondante della società umana, è produzione di socialità e perciò stesso di umanità, poiché l’uomo non esiste in quanto uomo se non come prodotto culturale, cioè come prodotto sociale.” [3]
Si possono creare norme che portano alla società autoritaria, l’esempio di potere coercitivo è sotto gli occhi di tutti noi, è quello dello stato, delle società contemporanee, occidentali e non, società in cui si produce dominio, sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Il dominio è negazione di umanità per tutti gli espropriati, per tutti gli esclusi dai ruoli dominanti della struttura sociale. [4]
Esistono e sono esistite società senza stato, senza potere autoritario, senza dominio, mentre non sono mai esistite e probabilmente mai potranno esistere società senza potere.
La maggioranza delle società amerindiane, per esempio, si distinguono essenzialmente per il senso della democrazia e il gusto dell’uguaglianza, la caratteristica saliente del capo amerindiano come accennavamo sopra consiste nella sua pressochè completa mancanza di autorità.
Il capo amerindiano è un “paciere” è l’istanza moderatrice del gruppo, deve essere generoso dei propri beni e non può senza screditarsi respingere le continue richieste dei suoi amministrati, solo un buon oratore può diventare capo, il potere normale, civile è fondato non sulla costrizione ma sul consensus omnium.
Per la maggioranza delle società sud americane l’istituzione matrimoniale della poliginia è strettamente collegata all’istituzione politica del potere.
Il potere del capo dipende dal consenso del gruppo, si comprende allora l’interesse diretto di ogni capo a mantenere la pace.
Il capo in quanto debitore di ricchezza e messaggi, non esprime altro che la propria dipendenza dal gruppo, e l’obbligo in cui si trova, di manifestare continuamente l’innocenza della propria funzione.
In questo caso il potere venerato nella sua impotenza, esprime la cura che la cultura ha di sé e il suo sogno di superarsi: “metafora della tribù, imago del suo mito, tale è il capo indiano.” [5]
L’uomo di potere detiene il monopolio della parola, è sempre non solo l’uomo che parla, ma la sola fonte di parola legittima.
Nelle società statuali la parola è il diritto del potere, nelle società senza stato essa è il dovere del potere. [6]
La società primitiva è il luogo del rifiuto di un potere separato, perchè essa stessa, e non il capo è il luogo reale del potere.
La società senza lo stato sa che la violenza è l’essenza del potere, il campo stesso della parola assicura la demarcazione e traccia la linea di confine, costringendo il capo a muoversi soltanto nell’elemento della parola, cioè nell’estremo opposto della violenza.
Il potere è esattamente quello che le società hanno voluto che fosse, e poiché questo potere non conta nulla, il gruppo rivela in tal modo il suo rifiuto radicale dell’autorità, nella negazione assoluta
del potere.
E’ la cultura stessa, in quanto differenza massima della natura, che si impegna totalmente nel rifiuto di questo potere, la cultura quindi utilizza contro il potere l’astuzia della natura.
Lungi dunque dall’offrigli l’immagine sbiadita di una incapacità a risolvere il problema del potere politico, queste società ci stupiscono per la sottigliezza con cui lo hanno posto e regolato.
Ben presto queste società senza autorità hanno avvertito che la trascendenza del potere racchiude per il gruppo un rischio mortale.
Senza mitizzare le società primitive o le società indigene amerindiane, va sottolineato come possa essere interessante per ognuno “pescare” nelle ricerche antropologiche, per capire come culture “altre” vivono, hanno vissuto nel nostro caso il rifiuto dello stato e del dominio.
Lungi dal voler dipingere queste società come perfette, utilizzo la ricerca antropologica come se fosse un archivio di esperienze consultabili, per comprendere meglio il presente.
La vocazione dell’antropologia interpretativa non è di rispondere alle nostre domande più profonde, ma di mettere a disposizione risposte che altri hanno dato e includerle così nell’archivio consultabile di ciò che l’uomo ha detto. [7]
Clifford Geertz, ci parla di una antropologia dialogica che cerca di annullare il presupposto indirettamente gerarchico secondo cui “noi” studiamo “loro” perchè noi diversamente da loro, siamo emancipati dalle “stranezze” della cultura.
Vedere noi stessi come ci vedono gli altri può essere rivelatore. Vedere che gli altri condividono con noi la medesima natura è il minimo della decenza. Ma è dalla conquista assai più difficile di vedere noi stessi tra gli altri, come un esempio locale delle forme che la vita umana ha assunto localmente, un caso tra i casi, un mondo tra i mondi, che deriva quella apertura mentale senza la quale l’oggettività è autoincensamento e la tolleranza mistificazione. [8]
Con una attenta lettura di questi studi antropologici possiamo capire meglio anche la nostra cultura, una cultura tra le culture, perennemente in transito, che si meticcia continuamente con le altre e perchè no, apprendere qualcosa dai diversi approcci alla vita sociale, con lo studio delle culture “altre”, in questo caso abbiamo compreso meglio il rapporto tra stato, dominio e potere.
Pensare di rielaborare il modello dei rapporti sociali significa risistemare le coordinate del mondo vissuto. Le forme della società sono la sostanza della cultura.
Andrea Staid
andreastaid@gmail.com
Note
1 PierreClastres, Le Società contro lo stato, Ombre corte, Genova.
2 Ibidem.
3 Amedeo Bertolo, Potere, autorità, dominio: Una proposta di definizione, in Volontà 2/83, Milano.
4.PierreClastres, Le Società contro lo stato, ombre corte, Genova.
5 Ibidem.
6 Ibidem.
7 Clifford Geertz, Interpretazione di culture, il Mulino, Bologna.
8 Ibid