Tutto ciò che ha potere succede in cerchio, dicono i Lakota.
Avete mai provato a riflettere sul posto riservato al cerchio nella nostra società?
Anticamente tutto succedeva in cerchio, i guerrieri, i cacciatori sedevano in cerchio intorno al fuoco, le donne stavano in cerchio a rammendare, a raccontare storie, le comunità danzavano in cerchio celebrando le loro feste e cerimonie.
Nella Tradizione
Tradizionalmente, il “cerchio che cura” è composto dal Plexus della persona, ovvero dai parenti e in genere da quanti ne vivono la quotidianità, anche dall’intera comunità di villaggio, con, in alcuni casi, un gruppo apposito, un coro o corpo esorcistico con una funzione specifica.
Nelle comunità antiche il Plexus aveva una funzione attiva e curativa in sé:
Nei rituali di guarigione yoruba, “la comunità viene a costituire quell’ambiente interpersonale rassicurante che mette in grado l’individuo di lottare contro le forze negative,” difficilmente affrontabili senza «la partecipazione e il tacito incoraggiamento del proprio gruppo» (R. May: L’amore e la volontà, pag. 132.)
Nel rito sardo dell’argia: “superato il momento tragico della solitudine in campagna, l’individuo viene preso per mano dal gruppo, che lo toglie dall’isolamento e lo segue con sollecitudine per tutto il tempo del rito, riconducendolo così agli altri». (C. Gallini: La ballerina variopinta, pag. 91.)
Nella aldeias (villaggi) di molte comunità tribali, come ad esempio i caiapòs dell’Amazzonia, le capanne sono disposte in cerchio, al centro del quale si trova la ngobe o casa del guerriero.
Ogni membro della comunità sa che, in ogni momento ne senta la necessità, per un problema, una malattia o un consiglio può recarsi nello ngobe e raccontare a voce alta la sua narrazione.
L’umanità senza le risorse straordinarie messe in campo dalla scienza è sopravvissuta a guerre e pestilenze, a carestie e catastrofi naturali, alle bestie feroci e alle orde di invasori, ai drammi più atroci, grazie anche e soprattutto al potere del cerchio e delle cerimonie che in cerchio si celebravano.
Lo hieròn
Il cerchio quindi come hieròn, spazio sacro di appartenenza, di cura dove affrontare lo smarrimento della malattia, condividere il sapere e il dolore stesso, trovare soluzioni, onorare i propri dei e numi tutelari.
Spazio di costruzione della propria identità personale e comunitaria, luogo di forza e nutrimento, luogo anche di transizione tra il visibile e l’invisibile, dove ogni membro ne è ad un tempo artefice e testimone, mèta e supporto.
L’esperienza del cerchio ci proietta direttamente in un altrove, luogo dello spirito, depositario di quella forza magica e misteriosa, di quel quid che rappresenta qualcosa di più della somma delle parti.
Sedendo in cerchio, ascoltando, guardando, entrando in contatto, tenendosi le mani, guardandosi negli occhi, tollerando il silenzio e il vuoto, possiamo cogliere la realtà ontologica dello spirito, quella forza senza inizio e senza fine che pervade ogni cosa, conferendole unità e potere.
Un’unità peraltro molteplice, ricca di diversità che assumono ciascuna una propria specificità, qualità archetipiche, principi ordinatori a disposizione per la guarigione e la conoscenza.
In psicologia
In ambito psicologico i primi a recuperare il valore del cerchio saranno Bion e Foulkes che consentiranno di operare il passaggio da una visione che considera il gruppo come un certo numero di persone riunite a una visione che valorizza la sua unità.
Foulkes parlerà di una vera e propria entità psicologica, di un organismo vivente dotato di umori e reazioni, uno spirito, un’atmosfera, un clima, a prescindere dagli individui che lo compongono (S. H. Foulkes, La psicoterapia gruppoanalitica, pag. 22) mentre Lewin darà inizio allo studio delle dinamiche di gruppo attraverso la teoria del campo che concepisce il gruppo come un campo di forze organizzato.
Si arriva così a concepire il gruppo come una rete dotata di una matrice comune, una sua personalità che conferisce ad ogni relazione che si sviluppi al suo interno caratteristiche d’insieme che a loro volta attribuiscono un particolare significato e importanza a tutto ciò che accade.
Questo rende evidente la funzione generativa del cerchio in quanto grembo contenitore di elementi in gestazione ancora non individuati, in attesa di prendere forma, venire alla luce, e portatore di elementi specifici quali:
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Una propria cultura, proprie norme e rituali;
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Una propria intelligenza –co-intelligenza:
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Una sincronicità tra le sue parti – gli eventi transpersonali;
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Specifiche ombre.
Uno sguardo Transpersonale
In Biotransenergetica e più in generale nell’approccio transpersonale, il cerchio consentendo l’esperienza unificante di un campo armonico è curativo in sé.
In questo campo ogni esperienza viene vista come un processo e ogni individuo come un eroe in viaggio, un viaggiatore dello spirito sul percorso verso il Sé, il quale pur assistito e accolto dovrà compiere individualmente le classiche fasi di partenza, superamento delle prove e ritorno.
Tale viaggio riecheggia la giornata universale dell’essere umano fin dai primordi, e come ricorda Drewal citando la tradizione Yoruba, offre:
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nuove esperienze;
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gioie e prove lungo il percorso;
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materiale per ulteriore contemplazione e riflessione;
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crescita o progresso come risultato dell’intero processo.
(M. Thompson Drewal, Yoruba ritual pag. 37)
Allo stesso modo il lavoro in cerchio in Biotransenergetica può favorire:
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un supporto in un momento di passaggio (malattia, regressione, crisi evolutiva)
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la purificazione dalla storia personale, la cura;
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il confronto consapevole con le proprie proiezioni e con i propri confini attraverso il confronto dinamico con l’altro;
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il risveglio delle proprie qualità più genuine;
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l’ingresso nella dimensione transpersonale delle “onde di uno stesso Oceano” – la fratria;
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l’accesso alle verità ultime su di sé e sul cosmo.
P.L. Lattuada MD., Ph.D., Psy.D.
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