Fiabetta parva, tironica, isagogica, microcosmica in sei parti più una sull’origine della virtus
ovvero
come fu che un bel virus arrivò tra gli umani
di Velimiro Berstein e di Benjamin Ibry
I Come che fu che il bambino Nuvola divenne Aiuolich
Questo, inevitabilmente, tocca a chi tocca.
Anonima
C’era una volta un bambino Nuvola. Non ricordava nulla, se non che aveva sempre vissuto solo. Dopo un’eternità trascorsa in solitudine si era trasformato in Aiuolich (una specie rara di antimateria durissima e invisibile). Aveva tuttavia un cuore tanto grande e saldo. Fra i respiri ampi e aiuolochicizzati aveva conservata una finestra nella parte nascosta del cuore. All’interno viveva al sicuro il ricordo di quando era Nuvola ma la finestra non si era più aperta, e il bambino Nuvola purtroppo dimenticò come si faceva.
II La bambina Terra e il suo amico l’uovo di vento
“Leggere ciò che non è mai stato scritto” -dalle viscere, dalle stelle o dalla danza.
Walter Benjamin
Il bambino Nuvola diventato Aiuolich era immobile, il Tempo infatti ancora non esisteva. Un giorno forse da un asteroide di vuoto (idea che inventiamo per l’occasione) sentì parlare della bambina Terra e commosso per la sua storia chiese al vuoto di poterla incontrare.
La bambina Terra giaceva in fondo agli abissi, rapita e tenuta prigioniera da Caos e Notte che l’avevano generata. Sapevano loro infatti che se avesse un giorno visto il Cielo se ne sarebbe innamorata e avrebbero acciò dunque perso una proprio bellissima Corona -la Corona del Tempo- che dava il potere di governare il Tempo (che a breve inventiamo).
Frattanto la bambina Terra giocava in segreto con un solo preziosissimo amico, un uovo di vento (all’interno del quale riposava tranquillo da infiniti eternoni il Divenire).
III Il risveglio del divenire
Dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva.
F. Holderlin, Patmos
Come fu o come non fu, Caos generò in un attimo, e per puro divertimento Gravità. La Corona allora cadde e finì sull’uovo, l’uovo si ruppe, il vento prese a vorticare risvegliò il Divenire e creò una tromba d’aria; a quella forza la bambina Terra risalì in sulla superficie degli abissi, il bambino Nuvola la vide la sua finestra nascosta si aprì all’improvviso e ne uscì il ricordo di quando era Nuvola.
IV Le dodici virtù
Non più la Luna è cielo a noi che noi alla Luna.
Giordano Bruno, La cena de le ceneri
La bambina Terra si unì allora al Cielo dopo che il bambino Nuvola si unì a Gravità e nell’accordo generarono il Pianeta Terra che ruotando e rivoluzionando generò un astro narrante (del quale ponderiamo notevolmente altrove in altro scritto) che chiamiamo Luna, e attirò asteroidi simpatici colmi d’acqua, e per il tramite dell’acqua altre forme di vita fecero capolino: batteri, virus, piante, e anche animali. Vi erano infatti fra le molteplici infinite manifestazioni del Divenire, alcune affinità con proprietà assai leganti e invero relazionevoli. Proprio in virtù di ciò si decise tali proprietà collanti dovevano governare il Divenire: quest’ultimo sentendone godimento si arcobalenò e diede a dodici di loro la sua meravigliosa Corona. Il Divenire governato poi dalle affinità collose fece nascere e legò insieme Destino e Follia. Dal loro accordo derivarono gli Umani. Gli Umani studiando e frequentando le proprietà intrinseche delle affinità decisero di dare loro un nome più umano, e le chiamarono virtù: le virtù conobbero e si affezionarono dunque a Destino e a Follia e dal loro dialogo emerse una sensazione spiritosa come di “durata”, e fu ciò che non era e allora ecco apparve il Tempo.
V Caos e Notte rivogliono la Corona
L’infanzia corre un pericolo morale, stiamo formando vite malate di paura.
Benjamin Ibry Bernstein
Il Tempo degli Uomini piano piano divenne misura di tutte le cose. Contemporaneamente Caos e Notte giocavano indisturbati negli abissi. Un giorno chiesero a un Virus com’era la vita sul quel curioso pianeta chiamato Terra e dopo che lui ebbe raccontato della bellezza della morte e dell’invenzione del Tempo come esperienza del Divenire, loro per gioco vollero togliere la morte alla vita. Per farlo dovevano distrarre gli Umani donando loro qualcosa onde rubare la Corona del Tempo alle Virtù. Così, senza pensarci, chiesero a Virus di aiutarli: in cambio gli promisero che sarebbe diventato…Il “Ministro enorme e tremendo del Tesoro e della Tecnica del Tutto” (idea che inventarono in quel momento).
Virus (che era un poco tonto e prendeva tutto molto sul serio, e per questo Caos lo amava) acconsentì. Con uno stratagemma estetico, Notte mésse la sua T, quella che usava come Tamburo per suonare e danzare con Caos, dentro la di lui parola facendo così confondere chi lo leggeva. Così Virus narrava a tutti di essere la tredicesima Virtus la più importante quella di Tesoro e di Tecnica, quella che senza la quale non c’è Salute Eterna e Benessere Felice, e che grazie a lei ora l’umano immortale e libero poteva sconfiggere ogni paura e governare su tutte le cose viventi e non. Era in effetti convinta, del tutto senza ragione, che grazie a lei tutti sarebbero stati felici, liberi e non avrebbero più dovuto morire.
VI Ombrosità e Sonnolenza spaventano gli Umani, Virtus si confida, Erimennone gioca a nascondino e Volturfio si pìzzica
Téchne d’anánkes asthenéstera makrô
La tecnica è infinitamente più debole del destino
Eschilo, Prometeo Incatenato v.514
Con Virtus comparvero però anche altri doni -sorelle minori della Notte, fra i quali Sonnolenza e Ombrosità. Follia si innamorò di Virtus come fosse una sua creatura e gli piacque credere che ciò che faceva era inevitabilmente buono, e mentre Destino era impassibile le virtù si erano invece indebolite, assonnate, come anestetizzate. La Corona sparita, quel “tutti sani e felici” un pelo troppo facile e, per non parlare di, quel “la vita senza la morte”…Quali altre sorprese attendevano l’umanità?
Gli Umani si vergognavano di esser stati mortali e desideravano sempre più funzionare come delle macchine. Questo comportamento però offese Erimennone (colui che porta il ricordo) che si nascose con Astuzia (sorellastra di Povertà e Tracotanza), e gli Umani finirono per dimenticare ogni cosa. Essere smemorati li portò a sbattere contro loro stessi, come Volturcio faceva sempre (Volturbio non l’ho presentato scusate è il fratello minore di Paugonia) che era l’inventore del pizzicorìo o del prurito: nessuno si riconosceva più e divennero soli e impauriti, cioè insensibili alla propria vulnerabilità e inadatti all’esperienza del divenire, come chi la mela non la mangia, nemmeno la foglia o il picciuolo e il serpente non lo sente mai mai mai (i mai si triplicano per essere più uno), nemmeno di striscio, di sbieco o in tralice. Insomma l’ombra continuava a mangiare, ingrassando sudava tantissimo e con lei sudavano anche le gibigiane di forme che ad Aprile tramontavano sulle vette cerulee rupestri.
“Se ogni divenire implica dolore dunque o la vita umana è nemica del Divenire oppure è l’idea stessa di Divenire una follia” disse un pesce fuor d’acqua, che vide le poche certezze sgretolarsi e chiese a Destino il favore di estinguere quell’idea impraticabile di umanità. Frattanto nuove virtù apparvero fra gli Umani, fra cui vecchiaia, gelosia, malattia, dolore, pazzia, vizio, ignoranza, rassegnazione. E fu così che gli Umani si radunarono e fecero un falò e una danza per invocare la morte, e chiesero a Virtus cosa voleva e perché era arrivata sulla Terra, lei rispose con estremo decoro: “In verità sono un virus, Notte mi ha mandato per rubare la Corona del Tempo, togliere la morte e in cambio portarvi in dono la…”. Ma non riuscì a finire la frase, che Follia senza motivo si mésse a ridere e a piangere insieme, le lacrime di Follia divertirono il Vento che cominciò a giocare con l’acqua che sparì dalla Terra evaporando. Virtus allora tornata virus danzando si alleggerì e sospirò, e il bambino Nuvola si condensò in una fragrante risata e nessuno sa cosa ne fu del suo cuore.
VII Com’è che sarà che era da sempre
Il nostro morire è la nostra eternità.
Andrea Emo – Parigi 7 Dicembre 1975
Gentili lettrici e lettori, immagino Caos sotto le sembianze di Virtus sia entrato financo in codesta fiabetta, in un finale complesso a tratti confuso se non illeggibile…Quanti personaggi, quanti colpi di scena! Inevitabilmente Destino agisce su di me scritturandomi mentre che mi recito a far lo scrittore. Misuro a qualitativi passi in segreto il peggiore dei mali, una picciola speranza di ritornare: e limpidamente e con meno pastrocchi le parole invero riordinare, incapricciandomi nel conferire una dignitosa occupazione a quest’inzigante congiunzione effettuale “difatti”, quantunque e atteso che non di scopi o di finalità mi sia dato ba-balbutire ma sempre solo e solo forse di un’infinita fine.
Tre mezze verità sono un mezzo: chi è Benjamin Ibry
di Velimiro Berstein
Vi dirò qualcosa di Benjamin Ibry, tracciando come una breve linea d’abbrivio, a
contraggenio: trovo infatti sempre inopportuno parlare di chi non conosco. Vi dirò di lui tre mezze verità, che messe insieme ne fanno un mezzo. La prima cosa che posso dirvi di Benjamin Ibry è questa: che è morto. Come lo so? Gli è che se non lo sapessi non potrei scriverlo. La seconda cosa è che da morto sta imparando a rinascere, giocando con l’eterna memoria autonegantesi dell’infinito in atto, insieme ad amici e amiche inconiugabili e irriducibili.
Atteso che la maggior parte leggendomi ora non abbia la benché minima idea di ciò che accade loro nel corpo mentre che legge, a partire da quest’oblio di sé che ognuno frequenta da solo simultaneamente a distanza -soprattutto se a distanza, ecco a partire da questo misconoscersi, a partire da questo malinteso se volete, da una svista, e proprio grazie a questa imperscrutabile svista posso condividervi una terza cosa di Benjamin Ibry: che se fosse stato vivo vi avrebbe amati tutti, tutti quasi nessuno escluso, tutti forse tranne uno.
Chi è Velimiro Berstein
di Benjamin Ibry
Velimiro Berstein è una creazione letteraria, nata da un’idea di Benjamin Ibry. Velimiro diventa spesso un fenomeno ermetico eretico e dissidente, un deragliatore errante, un rabdomante del sapere immerso nell’acqua della vita. A volte pare un personaggio inutilmente scomodo e pericolosamente innoquo, se innaffia le sue piante e contempla il cielo. Altre volte nient’altro che un altro nome, sebbene sia anche una psicogeografia narrante e un fesmializzatore. Velimiro è un ricercatore di buoni istanti. Velimiro non esiste e dunque c’è. Velimiro sogna. Velimiro danza.