Non vi è una rivoluzione immediatamente globale, di cambiamento integrale del mondo. Vi è un processo complesso, punto per punto, che allarga fino alle dimensioni del mondo, e in un modo che non è mai necessario, il rovesciamento locale di un’intensità nulla in intensità massima -non siamo niente, saremo tutto-”.[1] (Alain Badiou)

Gravità dell'inutile

Gravità dell’inutile

C’è un’erranza che riconduce all’essenza? Se esiste una strada il percorso è circolare. La considerazione della vita come linea retta ha in sé il principio della fine e la rinuncia all’eternità.

All’uomo del XXI secolo non è richiesto “essere”, bensì “avvenire”:  bruciarsi in un’apparenza che non lascia né ricordo né seme per nuove germinazioni.

Il mito contemporaneo si nutre di agitazione e sterilità, issando la bandiera di un’ingannevole libertà del soggetto. Il reale che percepiamo, frammentato e illusorio, crea disorientamento sebbene la via sia costantemente palese. La rivoluzione è compiere un circolo intero per poi ritornare, sull’esempio di quanto da sempre fa la Natura, che si manifesta in un perpetuo e ciclico moto di ritorno a se stessa.

Errare è dunque necessario se lo scopo è quello di ritrovarsi nell’essenza, ma solo accettando che la vita accada.

La ricerca artistica è erranza e come tale ha per fine il ritorno all’essenza. Ciò che mi interessa non ha a che fare con questioni di critica, né di morale, ma semplicemente con il comunicare quel bisogno di riconoscere all’uomo la capacità di esistere oltre modelli artificiali. Il ruolo dell’artista non è forse quello di spogliare l’essere umano dall’abito della convenzione per vestirlo delle infinite possibilità dell’immaginazione e guidarlo al centro dell’esistenza?

Oggi non solo è necessaria una nuova forma d’arte che prenda le distanze da un’opulenza estetica che nasconde povertà spirituale, ma anche un nuovo sguardo che sappia resistere alle migliori offerte del supermercato dell’immagine.

Stiamo vivendo l’epifania di una inaspettata consapevolezza e nella costruzione di un mondo nuovo l’artista ha un ruolo fondamentale.

Negli ultimi anni ho lavorato ad un progetto artistico, “L’impenetrabile semplicità di ciò che è”[2], che è stato elaborato in due fasi a partire dal 2010, Ápeiron e Kyklos, accomunate dalla stessa

modalità operativa: sceneggiatura, messa in scena, ripresa fotografica. Nel progetto, che considero aperto e che avrà uno sviluppo artistico itinerante, è presente anche una parte performativa, presentata nel 2013, ed una produzione video di prossima edizione.

Notte della mente

Notte della mente

Il processo creativo, in cui la fotografia è momento di sintesi finale,  ha alla base una gestualità rituale: la stesura di un pigmento bianco sul corpo e di uno nero sugli elementi vegetali che andranno a comporre la scena. Dipingere il corpo di bianco equivale non solo ad un atto purificatorio che riconduce ad una condizione originaria, ma anche ad un profondo rinnovamento spirituale. Mentre il colore nero delle piante è metafora dell’incapacità  dell’uomo di sentirsi come unità indistinta dall’ordine naturale. Questa contrapposizione simbolica tra i due assoluti, bianco e nero, si dissolve gradualmennte nel bianco totale delle ultime immagini di Ápeiron in cui corpo umano e corpo vegetale si compenetrano svelando che tutto è unità ed equilibrio di forze ed ogni forma di separazione non è altro che una categoria mentale, una classificazione mistificatoria.

Kyklos rappresenta invece l’epifania del miracolo di rigenerazione attraverso “il corpo naturale” di un albero sradicato e trascinato a valle dalla corrente del fiume e alla terra restituito dal mare. Da questo “corpo naturale”, apparentemente privo di vitalità, si muove il corpo umano alla ricerca di luce, di una nuova vita, del superamento del limite fisico dell’esistere, del tempo, dello spazio e della materia, per chiudere il cerchio dell’eterno divenire. É un corpo quasi etereo, territorio di ricerca spirituale, proiettato nel vuoto alla ricerca di una fusione con l’Assoluto.

In entrambi i lavori c’è una forte ricerca di armonia e di unità: è proprio lo spazio bianco, vuoto in potenza, la terra di conquista di quella corrispondenza perduta tra Vita ed Essenza.

L'impenetrabile semplicità di ciò che è

L’impenetrabile semplicità di ciò che è

Alessandro Giampaoli

 

[1] Alain Badiou, Sovvertire la chiusura del presente, intervista a cura di Livio Boni e Andrea Cavazzini in Allegoria n. 59, Anno XXI, terza serie, gennaio-giugno 2009, G.B. Palumbo Editore.

[2] Georges Bataille, L’esperienza interiore, pp. 271, Edizioni Dedalo, 2002

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