“L’ovvio è elusivo. La familiarità con cose, azioni e nozioni le rende ovvie e quindi sfuggenti. La familiarità col nostro corpo rende la maggior parte delle nozioni che abbiamo su di lui ovvie. Vorrei dire che proprio ciò che è ovvio contiene tutta la nostra ignoranza scientifica e ha più bisogno di una comprensione fondamentale e di un nuovo apprendimento.”
Queste parole sono tratte da un libro scritto nel 1981 da Moshe Feldenkrais, ingegnere e matematico russo, fondatore di un approccio psicocorporeo che porta il suo nome e che oggi è diffuso in tutto il mondo.
Ho incontrato questo approccio a Parigi pochi anni più tardi, 1984, in occasione del primo corso quadriennale di formazione europea. La scelta di partecipare a questa avventura è nata proprio da quell’ovvio che improvvisamente non è stato più elusivo: facendo in gruppo sequenze di piccoli, facili e insoliti movimenti, in una modalità del tutto inaspettata l’esperienza del mio essere si è rivelata quella di un organismo in cui sensazioni, emozioni, pensieri, movimenti e ambiente potevano emergere nella consapevolezza come un’inscindibile realtà.
Il Metodo Feldenkrais focalizza la sua attenzione principalmente sulle abitudini e sugli schemi somatici che le sostengono, come il nostro modo di camminare, di stare seduti, di tenere le spalle, di respirare, per rivelare il prezzo inconsapevole di sforzo e di limitazioni che paghiamo pur di non aprirci anche solo all’idea di essere e di muoverci nel mondo sentendoci diversi nei nostri “stessi panni”.
Ed è così che ho cominciato a proporlo nelle mie classi di “Conoscersi attraverso il movimento” (C.A.M.) all’incirca 30 anni fa. Nel tempo si è reso sempre più evidente che l’ovvio elusivo, cioè i più intimi aspetti della realtà che sono parte del nostro bagaglio di nozioni inconsapevoli, non poteva limitarsi alla sfera somatica. In effetti questa modalità illusoria che mette da parte tutto ciò che non rientra in ciò che abitualmente chiamiamo io, si può estendere a tutta la sfera della vita umana. In tutte le vie di ricerca sulla coscienza umana si parla di risveglio come se tutto ciò che ci sfugge della realtà creasse una dimensione simile al sonno.
“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni e le nostre brevi vite sono circondate da un sonno” William Shakespeare
Il modo in cui il metodo Feldenkrais ci consente di accedere a ciò che ci sfugge comincia dal percepire i piccoli cambiamenti che si creano nella nostra immagine corporea ogni volta che ci diamo il permesso di sperimentare un movimento diverso dal solito in una posizione in cui la gravità non ha il suo abituale potere sull’apparato muscoloscheletrico. Negli anni mi sono resa conto che nel momento in cui le sensazioni corporee si incontrano con la consapevolezza in una modalità anche solo lievemente diversa da ciò che consideriamo “il solito noi” si apre una dimensione di presenza a noi stessi che non richiede pensiero né logica ma che al contempo ci porta in uno spazio di comprensione più sintonico con la realtà dentro e fuori di noi.
Questa nuova sintonia sulle prime sembra del tutto illusoria, quasi facesse parte di una suggestione indotta dall’esterno.
Ad esempio, le prime volte che mi sentivo diversa dopo una sequenza di C.A.M., la mia mente pensava incredula: “Eh già, sarebbe bello sentirsi così nella realtà, ma si sa la vita vera non può essere vissuta con queste sensazioni di benessere, facilità e gioia.” L’ approfondimento dovuto al rinnovarsi dell’esperienza, sia personale che professionale, rendeva sempre più evidente che ciò che mi accadeva non era in alcun modo sollecitato da suggestioni esterne ma era una direzione di riscoperta di Sé condivisa e comune ai partecipanti del gruppo, anche se ognuno con sfumature di intensità e di qualità differenti. Le prime intense esperienze di un Sé più libero dai condizionamenti delle abitudini per quanto mi riguarda posso definirle estatiche. Era tale la differenza che incontravo tra il me abituale e ciò che si riorganizzava e diventava consapevole alla fine delle sequenze, che stentavo a riconoscere quegli stati come appartenenti alla normale condizione umana. Nel dizionario il termine estasi indica un uscire dal corpo ma, al contrario, la visione delle metodiche che portano ad una sempre più grande e percepita integrazione delle nostre potenzialità mostra, ed è costantemente verificabile, come solo la presenza ancorata saldamente nel corpo possa elevare la nostra coscienza alla reale dimensione umana. In questi 30 anni in cui ho accompagnato qualche centinaio di persone in questo cammino ho scoperto che in questa ricerca comune e condivisa c’è un “oltre”.
Esiste una dimensione di collaborazione inconsapevole degli organismi che sperimentano in silenzio, senza guardarsi, ognuno col proprio ritmo e con la propria intensità, che piano piano porta ogni partecipante a incontrare la sua esperienza di Sé al di là di ciò che pensa di sé, al di là di ciò che è abituato a mostrare agli altri di sé, come se per un momento fosse possibile per ognuno di noi lasciar cadere la veste che ci copre e ci protegge e incontrarci per quelli che siamo realmente. La particolarità del raggiungimento di tali stati a mio avviso è data dall’assenza praticamente totale di riflessione e di parole essendo il metodo Feldenkrais un processo totalmente esperienziale e somatico. Il risultato si raggiunge solo attraverso il recupero di consapevolezza dei processi fisiologici che sono alla base del movimento umano e al confronto che la nostra coscienza mette in atto con il nostro modo abituale di muoverci nel mondo, stimolata e richiamata dagli effetti che le sequenze di movimento producono. Tutto questo si verifica con vari livelli di profondità per quasi tutte le persone che ho incontrato in questi anni indipendentemente dall’età, sesso, etnia, stato sociale e culturale. Era proprio questo il sogno/testamento di Moshe Feldenkrais che credeva fondamentale portare le persone in un contatto sempre più autentico con la propria struttura per creare l’opportunità di un Divenire aperto e inesplorato ma accessibile a tutti.
Marina Negri
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