Giustizia, crescita personale, evoluzione…

Per molte delle persone giovani che si affacciano alla vita, queste parole tendono a svuotarsi di senso, a trasformarsi in lussuosi simulacri di evitamento, bolle per privilegiati. Chi tra noi si può ancora permettere di non vedere l’alienazione e la violenza strutturale della realtà sociale in cui siamo immerse?

Non è necessario andare nelle baraccopoli di Roma o nei quartieri popolari di Palermo: basta una passeggiata nelle vie dello shopping di qualsiasi città il cui decoro è mantenuto attraverso la deportazione di tutti quei soggetti in stato di povertà la cui presenza è ritenuta inopportuna. Nel tempo delle intelligenze artificiali, delle relazioni umane mediate da schermi e della psichiatria diffusa istituzionalizzata, consapevolezza è anche non fare finta di non vedere…

Mentre aumenta di giorno in giorno il numero dei suicidi nelle carceri italiane il Parlamento si appresta ad approvare il disegno di legge 1660 che oltre ad introdurre il reato di resistenza passiva, promulga una trentina di modifiche al codice penale formulando venti nuovi reati, estendendo sanzioni e aggravanti per varie forme di dissidenza, di autodifesa e lotta contro lo sfruttamento e le varie forme di oppressione del mondo delle merci, in alcuni casi ampliando l’entità delle condanne previste per reati già esistenti.

Questo inasprimento delle pene è accompagnato da parte dei mass media da una narrazione macabra e continua di episodi di assassinio, violenza, prevaricazione che invece che porre dubbi sul sistema educativo e sulle strutture socioeconomiche della cultura dominante, giustificano un clima di diffidenza e sospetto tra ampi strati della popolazione. Assistiamo alla costruzione ormai decennale di uno stato di allerta continuo atto ad istaurare uno stato di polizia diffusa, all’implemento esponenziale di dispositivi di sorveglianza tecnologici e all’aumento dei finanziamenti alle componenti repressive della società e all’esercito in funzione delle guerre in atto ed a venire.

Una violenza strutturale istituzionalizzata che chiede di interrogarci profondamente rispetto alle origini delle convinzioni umane che oggi delineano ciò che per noi è normale… Ciò che per noi è divergente…

Può esistere un senso di sicurezza personale in una società come quella capitalista basata sull’accumulo di beni e di proprietà? Cosa accade in una comunità se la condivisione e la reciprocità non sono imposte da una struttura normativa punitiva, ma emergono spontaneamente assumendo un valore etico primario come in numerose culture native? Cosa rimarrebbe delle ossessioni, delle ansie e delle paure dei soggetti ancora sottomessi alla corsa al successo, alla competizione e al profitto?

Quale superiorità può arrogarsi una cultura basata sulla logica, sulla misura, sulla linearità se all’aumento della repressione non diminuiscono i reati e le persone imprigionate continuano ad aumentare?  Possono delle leggi evitare il ripresentarsi ciclico di forme di tortura all’interno di culture suprematiste fondate sulla dominanza e sulla punizione?

C’è poca logica nel continuare ad usare il carcere e la repressione senza ragionare insieme sull’origine dei problemi.

Il 21 Novembre 2024 sulle pagine del quotidiano Avvenire, leggiamo:”«A volte i detenuti venivano fatti spogliare, investiti da lanci d’acqua mista a urina» e veniva «praticata violenza quasi di gruppo, gratuita e inconcepibile… ». È un esercizio davvero doloroso, quello di ascoltare la ricostruzione del procuratore di Trapani Gabriele Paci, coordinatore dell’inchiesta nata nel 2021 e che ieri ha portato all’emissione di 25 misure cautelari e interdittive a carico di altrettanti agenti penitenziari del carcere Pietro Cerulli. Dentro quelle dichiarazioni, dal buio delle celle arrivano a noi echi degli abissi d’umiliazione, sofferenza e angoscia inflitti a decine di esseri umani. Sì, esseri umani, perché l’aver ricevuto una condanna (o l’essere in attesa di giudizio) per un reato compiuto, anche grave, non può e non deve mai consentire ad altri di cancellare, offendere, calpestare l’umanità del recluso.”

Tre giorni dopo il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove presentando la nuova auto blindata della Polizia Penitenziaria per il trasporto di detenuti al 41-bis, dichiara: «Sarò forse anche infantile, un po’ fanciullesco, ma l’idea di vedere sfilare questo potente mezzo che dà prestigio, con il Gruppo Operativo Mobile sopra, l’idea di far sapere ai cittadini chi sta dietro a quel vetro oscurato, come noi incalziamo chi sta dietro quel vetro oscurato, come noi non lasciamo respirare chi sta dietro quel vetro oscurato, è sicuramente per il sottoscritto un’intima gioia, e credo che in una visione molto semplificata dell’esistenza sia una gioia per tutti i ragazzi che si affacciano alla vita e vogliono scegliere di servire lo Stato nella Polizia Penitenziaria come prima scelta» 24 Novembre 2024 – Corriere della Sera

E solo pochi giorni dopo leggiamo: “Il video choc è stato mostrato durante la requisitoria nell’udienza di ieri nell’aula del Tribunale di Reggio Emilia dove si celebra il processo in rito abbreviato – richiesto dagli imputati – davanti al Gup Silvia Guareschi. I frame immortalano l’uomo incappucciato con una federa bianca stretta al collo e trascinato da un gruppo di agenti che lo colpiscono ripetutamente. Denudato, sgambettato, picchiato con calci e pugni e, una volta a terra ammanettato, calpestato. Un’altra inquadratura riprende il detenuto tornato in cella, di nuovo picchiato e lasciato nudo dalla cintola in giù per oltre un’ora, malgrado fosse ferito e sanguinante. «Un’azione brutale, punitiva preordinata, di violenza assolutamente gratuita», l’ha definita la pm Pantani che ha anche spiegato come i poliziotti accusati abbiano cercato di costruirsi una linea difensiva inventando il ritrovamento di lamette tra gli effetti personali del detenuto.” 2 Dicembre 2024 – Il Manifesto

Mentre i procuratori e i giudici delle indagini preliminari sopra citati, indagano su presunti abusi della penitenziaria, il racconto dettagliato di Pasquale De Feo, nel libro “Le cayenne italiane” pubblicato dalla casa editrice Sensibili alle foglie, la cui lettura potete ascoltare al link qui sotto, descrive l’operato dei GOM, il gruppo operativo mobile citato dal sottosegretario alla Giustizia, dal punto di vista di chi ha vissuto negli anni Novanta l’ergastolo ostativo in regime 41 bis nelle sezioni Agrippa di Pianosa e Fornelli dell’Asinara.

 

Ascolta la traccia 2 del reading sonorizzato “Le cayenne italiane”

di Arsider Produzioni

 

 

Per rimanere in contatto con noi e ricevere informazioni sugli ultimi articoli, video, webinar ed iniziative pubbliche che proponiamo, lascia qui la tua email