Matrika muove.

Le sette madri della creazione che creano l’alfabeto dell’esistenza.

L’autunno appare impetuoso in una mattina di tarda estate e la pioggia sferza proprio quando un incontro desiderato, ricercato, solleticato a più riprese muta i confini delle proposte precedenti in merito a tematiche e organizzazione della giornata, invitando con forza, urgenza e ossimorica indecisione a chiedersi cosa significhi il prendersi cura, l’ascolto, il movimento o lo stare con quello che c’è, ma soprattutto di chi, di come e del perché prendersi cura.  Di se stessi, degli animali umani e non umani che ci stanno a cuore e di altri che incontriamo nel cammino, che in qualche modo risuonano con noi, della madre terra e dei fratelli alberi, laghi, fiumi, montagne e mari, – e di uno spazio condiviso da un’eterogeneità di coindividui alla ricerca di un codivenire.

In una società che emana catastrofe come possiamo non stare male, non percepire dolore, dissociazione, rabbia, disperazione? Talvolta il privilegio dell’essere nella parte benestante di mondo non basta a renderci consapevoli e creativamente grati, gioiosi, agenti del cambiamento e forti; talvolta, paradossalmente, acuisce la ricerca accanita di una guarigione individuale che però disconnette dalla comunità reale e conduce inevitabilmente alla morte dell’anima. La destrutturazione degli impulsi di protezione e sopravvivenza nei confronti degli altri umani e del resto dei viventi, non è un processo lineare.

La frontiera del benessere si sposta pertanto alla superficie del contatto tra forze conservative e forze trasformatrici, si tratta peraltro di una dialettica che pervade la vita in ogni suo aspetto, fisico, biologico, psichico, sociale, ecosistemico. Dialettica troppo spesso affrontata in un’ottica duale, esclusiva, contrapposta e di conseguenza disfunzionale fino a sconfinare nel patologico.

Certo è che la generosa magia del ritrovarsi, di sentirsi sostenut@, vist@, accettat@ , amat@, di avere l’immensa fortuna di poterlo fare in una cornice di nutrimento – che non fa affatto rima con profitto e sfruttamento -, generatore di una tempesta di risvegli danno vita a ulteriori riflessioni, condivisioni, messaggi fino all’ultimo istante prima dell’equinozio, in una co-creazione di un numero ricchissimo di poetiche, visioni come voli di rondini nella loro incredibile e meravigliosa unicità nel tentativo di spiccare il volo e cogliere il momento opportuno; è stato un atto quasi psicomagico, al chiaro di un’eclissi di luna.

La regola generale di un principio trasformato: fare del due l’uno.

Risvegliarsi potrebbe voler dire accorgersi che dietro ad ogni messaggio c’è un essere umano che ha voluto trasmetterci qualcosa di Sé, e agire di conseguenza, offrendo a tutti lo stesso equanime rispetto. Oppure potremmo accorgerci che ogni parola sullo schermo, anche la più insignificante è una porta che schiude un mondo, il terminale di un viaggio iniziato nella mente e nel cuore di un altro essere umano che sta vivendo lo stesso nostro viaggio.

Un incedere di presenze, incontri, racconti, silenzi, sguardi, toccarsi e lasciarsi toccare, pratiche che integrano arricchiscono e vanno ben oltre la pubblicazione di una rivista, che si nutre di contributi scritti, poetici, visionari, intellettuali, scientifici, di ricerca, di sapere ma anche di esperienze, di vissuti, di scritture come momenti di guarigione, di azione, di traduzioni per restituzioni e condivisioni di ciò che ci nutre, che ci da forza e coraggio di andare avanti quando le densità sembrano volerci zavorrare in mostri che ci mostrano in realtà quanto sia di per sé sia già altamente curativo lo stare in cerchio e sentire la fiducia – che forse ci è mancata nell’infanzia o è stata minata da traumi, personali, collettivi, transgenerazionali – dell’esserci anche nell’assenza, senza che nessun@ si prenda la responsabilità per altri, in modo che ci sia sempre più un’ orizzontalità che genera magia danzante in noi, in grado di farci crescere come piccola comunità non locale, che non possiamo controllare ma che in tutti questi anni non si è limitata a riportare contributi interessanti, a indagare scenari di speranza possibili, ma che in primo luogo ha imparato a navigare facendosi carico del dolore nella propria comunità, nelle proprie relazioni proprio perché in un collettivo si possono creare spazi di accoglimento sicuri e guarigione in un mondo sostanzialmente traumatizzato, senza scappare dalla scomodità di dover sostenere tempi, ritmi e discontinuità che possono modellare chi siamo non solo in senso traumatico, – performativo o spettacolare- ma anche nelle direzioni del piacere, della pace con noi stessi e dell’empatia nei confronti del resto delle esistenze.

Osserviamo una spirale di parole in cui si evidenziano rel-azione, comunic-azione, red-azione che acquisiscono colore col passare delle ore di un pomeriggio dedicato allo stare, alla cura, all’ascolto e all’onorare la gratitudine per dieci anni di un progetto che ha mutato pelle per fare sempre più spazio al sentire, che ha fatto in modo di esserci nella realtà materica e affettiva per non lasciare mai indietro nessun@. Danzare sui margini della sofferenza per un’ecologia integrata del Futuro. Dare spazio all’utopia come luogo per reinventare comunità e trasformare radicalmente e con rabbia gioiosa il presente, partendo dai modelli concreti già esistenti nel quotidiano.

Agiamo come possiamo per non lasciare spazio unicamente all’esclusione, al senso di colpa, alla vergogna, all’idea di dolore come espiazione di retaggio religioso, agiamo muovendo passi su un sentiero di devozione semplice e sincero, che parta dal cuore e dall’amore incondizionato per la resistenza e per il cambiamento che spesso iniziano nell’arte, e molto spesso nella nostra arte, l’arte delle parole, come suggerisce Ursula Le Guin che apre la testimonianza di come anche la fantascienza possa possa essere una risorsa di arte rivoluzionaria, di creatività profonda e di innovazione.

Combattere per una liberazione collettiva è estremamente coraggioso, audace e attinge l’energia di creare e trasformare questo mondo non solo da qualche tentativo individuale di disconnessione dal dolore, di ascesi o guarigione, ma proprio quando dal ritrovarsi in comunità a sostenerci vicendevolmente e in quel ritrovarsi usiamo, riproproniamo, adattiamo e creiamo strumenti di medicina, che possono sicuramente liberarci.

Approdiamo in un silenzio che è anzitutto ascolto e rispetto, un limite per un atterraggio in un campo di percezione condivisa che cerca una connessione tra i corpi in gioco presenti, come cellule di un unico organismo, per permetterci di sederci ai confini del vortice senza venirne risucchiat@, protetti nei meandri di una madre terra generosa, umida e morbida che accoglie movimenti ondulatori e striscianti, archetipi di desideri, portatori di mutamenti che cerchiamo di integrare dentro di noi.. e che ci nutre ispirandoci a cercare la via per evolvere come umanità, attorniati da un verde incedere di foglie argentee mosse dal vento, da un respiro che si fa sempre più condiviso dove ogni sfumatura viene recepita, accolta e acquisisce dignità e valore.

È stato molto interessante sentire il campo di Matrika in questo ultimo mese. Percepire nei corpi i movimenti che ha creato in noi individualmente e come gruppo. Un processo creativo della vita che ha dato contemporaneamente luce al numero del 21 settembre.

L’equinozio d’Autunno non è una data a caso in cui “facciamo” uscire Matrika. O almeno, lo avevamo scelto con precisione ma senza intento. Ora, a distanza di quasi un decennio, ne emerge un meraviglioso processo iniziatico: dal 21 settembre in poi, la ciclicità della natura c’insegna che ci avviciniamo al momento più “buio dell’anno” in cui le antenate e gli antenati chiedono di essere onorati. In cui il nostro “io” si presenta al passato e dice a voce alta chi è, mettendo un confine alle impronte transgenerazionali. Dando il benvenuto all’autunno, chiedendoci come celebrare al meglio un decennale di un progetto poliedrico che ha saputo lasciar andare al momento opportuno come una madre che si nutre e nutre, osservando dinamiche costellative che smuovono cristallizzazioni di distorsioni percettive, con la consapevolezza che coraggiosamente e selvaggiamente l’uscita del numero autunnale semina un intento di cuore nella coscienza collettiva per i prossimi mesi, tanti semi sotto la neve in diverse parti del cosmo, in viaggi interiori e fisici di chi sta per partire, per poi tornare.

Per noi, per chi ci sta a cuore.

Con l’intento di onorare ogni vita, perché chiunqu@ possa occupare il proprio posto nel mondo con gioia e collaborare alla guarigione del cui bisogno e’ qui oggi testimone con il suo corpo e la sua anima. E’ un sentire molto forte dove osservare ciascun@ impegnat@ sinceramente e profondamente nel proprio pezzo di realtà restituisce fierezza dell’appartenenza alla specie umana, perché dall’antropocentrismo spinto probabilmente ci siamo mossi verso un odio e un’ intolleranza dell’umano che possiamo sanare per poter ricominciare ad occupare il nostro posto e non volere sempre di più. Quando sentiremo di essere abbastanza per quello che siamo e fino in fondo allora non avranno più senso le guerre e le violenze di cui siamo testimoni oggi.

Gaia Dunya Rai

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Matrika – Consciousness Development è un’esperienza di dialogo transculturale libera ed indipendente.

Rivista on line n°18 – Anno IX – Secondo Semestrale 2024

Attività redazionale: Arianna Battiston, Benjamin Ibry, Glauco Piccione, Sara Massone, Gaia Dunya Rai, Andrea Staid,  Nadeshwari Joythimayananda, Marta Filippini, Carola Zerbone, Jerry Diamanti.

Editing: Jerry Diamanti, Nadeshwari Joythimayananda

Web Design: Dr.9 Alberto Paolucci

Artwork di copertina: Carola Zerbone

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