Ho incontrato Pablo D’Ambrosi in una calda serata marsalese in primavera. Pablo è co-autore del documentario “Food for Profit” insieme a Giulia Innocenzi. Durante la proiezione del film ho incontrato nel mio corpo molto dolore che voleva essere percepito. Proprio per questo ho avuto la necessità di fare un dialogo e successivamente un’intervista con Pablo. Questa è un’intervista fatta a più mani dalla Matrika Crew… Buona lettura.

Pur sapendo che sareste stati esposti a denunce, ritorsioni o ostruzionismo, avete scelto di correre il rischio di esplicitare i nomi dei politici coinvolti. Quali sono state le ragioni per cui è stata fatta questa scelta (e non per esempio anche le persone coinvolte nella produzione)?

I politici sono personaggi pubblici, rappresentanti del popolo eletti da noi cittadini, quindi è diritto di ogni giornalista poterli investigare e nel caso abbiano commesso delle irregolarità, di informare l’opinione pubblica. Sapevamo di poter incorrere in attacchi da parte del sistema politico e del settore Agri, ma per noi era fondamentale denunciare questa ‘macchina’ che inquina e distrugge il pianeta, composta da intricati ingranaggi che tengono insieme il potere politico e industriale attraverso il lavoro delle lobby, senza alcuna cura per il pianeta, gli animali o gli esseri umani.

Proprio perché volevamo fare una denuncia al sistema e non ai singoli individui che lavorano negli allevamenti, abbiamo deciso di non mostrare le loro facce e di mascherarne la voce. Pur facendo un lavoro terribile che include un’alta dose di violenza, queste persone sono loro stesse vittime di un sistema che in molti casi li sfrutta. Per questo negli allevamenti intensivi non vince nessuno, animali, uomini, ambiente, tutto viene sfruttato per il puro profitto di pochi gruppi che controllano la maggior parte della produzione di carne e latticini in Europa.

Il fine era colpire direttamente queste persone o accrescere nel pubblico un maggior coinvolgimento nelle dinamiche politiche?

Accrescere consapevolezza nel pubblico riguardo queste tematiche era per noi il punto di partenza. Siamo poi rimasti sorpresi dell’attenzione che si è generata intorno al film e al dibattito politico che si è aperto intorno agli allevamenti intensivi, che ha portato alla ‘mancata candidatura’ alle elezioni del Parlamento Europeo di giugno, di Paolo De Castro e Clara Aguilera, due europarlamentari denunciati nel film. È stato proprio grazie al coinvolgimento del pubblico che tutto questo è accaduto. Una sorta di rivoluzione dal basso che ha spodestato i potenti.

Ritenete che questo potrebbe portare ad un cambiamento sociale e culturale?

I cambiamenti sociali e culturali sono fenomeni che impiegano molto tempo, possono però essere velocizzati da un cambiamento tecnologico. Basti pensare ad esempio al consumo di carne, è soltanto dal secondo dopoguerra in poi che tramite l’industrializzazione della produzione alimentare si è passati a consumi di carne mai visti prima e a cui il corpo umano non era abituato. Certo, noi esseri umani abbiamo sempre consumato carne nei secoli scorsi, ma il consumo era veramente minimo se equiparato con il consumo medio di carne dei giorni nostri. Se prima si mangiava carne una o due volte al mese, adesso molte persone mangiano carne giornalmente, alcuni persino tre volte al giorno, nella maggior parte dei casi senza neanche rendersene conto. È difficile un cambiamento sociale senza un cambiamento dei modi di produzione.

In più momenti durante la proiezione del docufilm c’è stato il bisogno di ascoltarmi il corpo, di muovere le gambe, le dita dei piedi e delle mani. Grandi scariche di energia mi hanno attraversato e il desiderio era quello di saltare sulla sedia e muovere tutte le emozioni che mi stavano urlando dentro. L’intensità del dolore che ho percepito nel corpo è stato troppo” da esser percepito da un solo piccolo corpo di essere umano. Ma immagino che sia stato uno dei vostri intenti, proprio per dare una svegliata critica e catartica. Perché non dovremmo arrivare a creare e percepire tale sofferenza…

Cosa ne pensi?

Il nostro spirito è in grado di arrivare ad un grado di comprensione molto elevato attraverso la sofferenza, non dobbiamo aver paura di soffrire. Certo non bisogna ricercare la sofferenza o arrecarla ad altri, anzi la nostra ricerca come esseri umani deve andare nella direzione opposta, però non dobbiamo neanche averne paura. Quello che possiamo fare è cercare di imparare dalla sofferenza, attraverso l’empatia possiamo vivere le emozioni di altri esseri senzienti, provarne il dolore e apprendere da tutto ciò. Le scariche di energia provate all’interno del tuo corpo devono essere reindirizzate affinché si trasformino in energia positiva. Ricordiamoci che l’energia è una e duplice e che oscillando tra i poli opposti può crear mondi, interni ed esterni alla psiche.

La piccolissima zanzara che trasmette la malaria o la dengue, o l’ enorme orsa che difende i suoi cuccioli e il territorio sono due esempi di come non tutte le forme di vita siano riducibili ad uso. Infatti le ammazziamo o inprigioniamo. Per il resto si parla senza scrupoli di animali da reddito o da compagnia. Possiamo entrare in relazione con la vita senza trarne in qualche modo profitto?

Il problema risiede nell’ego sviluppatosi all’interno della psiche umana. Questo ego ci definisce in quanto individui e ci separa da tutto ciò che sta al di fuori di noi. Ma ci intrappola nel circolo vizioso della brama portandoci lontano dal relazionarci con la vita, sia con la nostra, sia con quella degli altri. Ciò che rimane è la logica del profitto, unico strumento per soddisfare il nostro ego. Di conseguenza imprigioniamo altri esseri senzienti senza renderci conto di essere prigionieri di noi stessi.

Religioni, filosofie millenarie e scienze moderne pongono le basi dell’antropocentrismo, affermando la superiorità evolutiva dell’essere umano sulle altre specie. D’altra parte le strutture sociali hanno prodotto capi di Stato come Adolf Hitler, capace di osservare una dieta vegetariana e contemporaneamente dedicarsi ad un progetto sistematico di sterminio di una parte dell’umanita’. Ci può essere un rispetto reale delle forme di vita senza un cambiamento ontologico radicale che ponga fine al capitalismo?

Le basi dell’antropocentrismo sono state poste dall’essere umano stesso. Come riflessione su di se e sul mondo l’uomo ha usato religioni, filosofia e scienze per darsi spiegazioni e comprendere la Natura. Il capitalismo è un’altra faccia della stessa medaglia, un’altra narrazione che la nostra psiche ci racconta per spiegare il mondo. Per avere un rispetto reale della altre forme di vita dobbiamo fonderci con la Natura, non cercare di spiegarla, ma cercare di intuirla. Questo può essere l’unico cambiamento ontologico radicale, ma non vi è un percorso preciso da intraprendere e per questo nella maggior parte dei casi l’uomo si perde nella selva oscura.

Vedendo il documentario penso: questo è ciò che facciamo per garantire la sopravvivenza della nostra specie e della nostra cultura. Nel documentario c’è una forte denuncia, emergono sensazioni di urgenza, scandalo, volontà di verità e sete di giustizia con relativa ricerca di responsabili (politici, imprenditori…). Ma le grida dei sangui della carne innocente mi portano molto più indietro nella storia delle civiltà. L’agnello innocente sgozzato è una figura religiosa all’origine della nostra cultura, così come la violenza è all’origine del sacro (Violenza e Sacro, René Girard). Mentre portate consapevolezza rispetto a ciò che accade negli allevamenti intensivi, credo mi avrebbe aiutato, a fianco ad un desiderio di verità e giustizia, un approfondimento storico riguardo a come siamo arrivati fino a qui. Cosa ne pensate?

Di sicuro sarebbe stato interessante fare un approfondimento storico, come parlare di tante altre tematiche, ma volevamo restare all’interno dei tempi di un documentario e per questo abbiamo dovuto fare delle scelte di contenuto. Il legame inestricabile tra violenza e sacro sta proprio a simbolizzare l’importanza del sacro, l’uomo è pronto a fare violenza e a subire sofferenza quando questa è legata a un qualcosa che va al di là del proprio ego. L’agnello sgozzato, nelle civiltà antiche rappresentava quanto di più sacro si potesse concepire, la sacralità della vita che viene sacrificata in nome del bene comune. Nelle nostre abitudini alimentari moderne invece c’è soltanto un profondo egoismo che si esprime con la nostra volontà di potenza sulla natura, assoggettata al nostro volere e ai nostri capricci. Purtroppo, non pensiamo neanche più a garantire la sopravvivenza della nostra specie e della nostra cultura, pensiamo soltanto a garantire il soddisfacimento della nostra brama.

Per capire come siamo arrivati ad applicare la logica a delle esigenze di sopravvivenza fino a creare dei lager, mi piace qui in maniera un po’ provocatoria riandare al momento in cui abbiamo cominciato ad usare la logica (la razionalità) per soddisfare bisogni e desideri. Come insegna Carlo Sini, la costruzione di supporti e la produzione di strumenti è in qualche modo, per dirla troppo veloce, l’origine di ciò che chiamiamo cultura. Questo passaggio ha un prezzo, un prezzo che in un certo modo paghiamo col corpo, assoggettandolo appunto all’uso di strumenti che iscrivono il corpo in una duplicità costitutiva. Vado molto veloce, questi passaggi avrebbero bisogno di molto tempo. Il punto è che a mio parere dobbiamo essere consapevoli che molto di ciò che garantisce avvenire ha un prezzo, e nella maggior parte dei casi questo determina dolore. Le derive estreme rappresentate dal documentario mostrano a mio avviso le soglie oltre le quali il dolore non può essere più integrato, e quindi le soglie che non possono determinare futuro. Cosa ne pensate?

L’andare veloci rispecchia proprio lo spirito del nostro tempo, in nome della produttività non ci soffermiamo più a riflettere, e per questo non ci rendiamo più conto di dove stiamo andando e di quello che ci sta accadendo intorno. Viviamo in una bolla patinata con strumenti di marketing per rendere più appetibile un’esistenza senza significati. Con l’apprendimento della Tekhné l’uomo ha pagato il prezzo più alto, perché si è sentito altro dalla Natura e ha sviluppato l’Ego.

Prometeo viene appunto punito dagli Dei per aver donato il fuoco (la tekhnè) agli uomini, per averlo allontanato dalla comunanza con la natura, con gli altri animali ed esseri senzienti. È proprio questa razionalità che con il passare del tempo ha portato alla costruzione di questi lager per animali. Dobbiamo anche porci la domanda se questo veramente può essere definito ‘avvenire’, perché come in ogni rappresentazione ciclica si è partiti da un presupposto costruttivo (la razionalità) per arrivare a un concetto distruttivo. Questa ‘tecnica’ dunque porta benefici o danni? Basti pensare che al giorno d’oggi abbiamo rinchiuso 70 miliardi di animali in gabbie soltanto per soddisfare le nostre papille degustative. Questi 70 miliardi di animali rappresentano il 96% della massa di tutti i mammiferi sulla terra. Abbiamo modificato drasticamente l’equilibrio naturale attraverso l’uso della razionalità e con l’illusione di poter controllare il tutto.

I lager del pensiero post capitalistico hanno automatizzato la soddisfazione dei bisogni, e chiunque lavori in questi luoghi assume contorni spietati, come fossero dei mostri, i funzionari dell’orrore. Vedendo insieme a Walter Benjamin il capitalismo come religione, a mio avviso questo documentario dialoga con l’essenza del sacro. La mano che uccide l’innocenza crea un ponte fra la morte e la conoscenza. Ecce agnus dei qui tollit peccata mundi. In qualche modo, se volete seguirmi in questo discorso che mi rendo conto potrebbe sembrare poco chiaro, le persone che sono in grado di lavorare negli allevamenti intensivi, sopportano un compito che è nella dimensione del sacro, ma ne vivono solo la sua abiezione. Anche qui, vado forse troppo veloce sono passaggi che credo avrebbero bisogno di molto tempo per essere chiariti ma per capirci, secondo voi c’è una relazione fra la vostra ricerca di verità e di scandalo (ut scandala eveniant) e l’assenza di ritualità che contraddistingue il materialismo post capitalistico?

Il capitalismo non vuole mostrare questa dimensione violenta perché il capitalismo è una religione basata sul progresso, sulla felicità e sulla speranza che il mondo possa essere cambiato per facilitare la vita a noi umani. Per creare quel fallace benessere che ha la stessa essenza di uno spot pubblicitario, pura finzione. Per questo non vuole mostrare a nessuno la mano che impugna il coltello pronta a sventrare l’animale, non c’è alcun agnello che toglie i peccati del mondo, ma soltanto carcasse su un nastro trasportatore. La ritualità viene traslata dall’atto dell’uccisione alla confezione che si inserisce nel microonde, venendo cosi a mancare la connessione con la sacralità della vita.

A quanto pare il futuro sarà produrre carne in laboratorio. Sta già accadendo. Cosa ne pensate?

A parer mio questa è la tipica risposta capitalista ad un problema. Invece di cambiare il proprio stile di vita malsano si cercano soluzioni per mantenerlo ma renderlo più sostenibile. In realtà ognuno di noi sa che c’è soltanto una scelta possibile ma stiamo ancora cercando di negare i fatti.

Come gli adulti possono sensibilizzare i bambini rispetto a questo argomento? Fareste un documentario più adatto alla ricezione di chi non ha gli strumenti per elaborare e vedere la violenza aberrante che contraddistingue la nostra cultura?

Come ci hanno già richiesto in tantissime scuole, per noi è molto importante che anche i bambini siano a conoscenza del modo di produzione del nostro cibo. Al giorno d’oggi i bambini sono soggetti a molte altre forme di violenza non costruttive tramite i media, credo che invece alcune delle immagini all’interno del nostro film possano beneficiare lo sviluppo di una coscienza. Siddhartha iniziò il suo cammino soltanto dopo aver visto la sofferenza del mondo.

Nadeshwari Joythimayananda

info@nadeshwari.com

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