Ad un certo punto della tua vita, avrai occasione di dire: “Cos’è questa cosa chiamata tempo?” Cos’è quello, l’orologio? Vai al lavoro secondo l’orologio, prendi il tuo martini nel pomeriggio e il tuo caffè secondo l’orologio e devi prendere l’aereo a una certa ora e arrivare a una certa ora. Va avanti e avanti e avanti e avanti.
E il tempo è un dittatore, lo sappiamo.

Dove va? Che cosa fa?

E soprattutto, è vivo? È una cosa che non possiamo toccare ma è viva?

E poi, un giorno, ti guardi allo specchio – sei vecchia – e dici: “Dove va il tempo?”

Nina Simone, nella sua introduzione alla canzone “Who knows where time goes” descrive perfettamente la percezione del tempo che probabilmente tutte e tutti noi abbiamo con il passare degli anni.

Dove va il tempo? E perché va così veloce? Come può essere che anche questo mese sia già finito?

Come facciamo a rallentare il tempo che fugge troppo velocemente?

Rallentare i ritmi, e connettersi al corpo

“In una cultura caratterizzata da una crescente urgenza e da un’ansia soffocante legata al tempo, ci sentiamo sottratti alla sostanza della nostra vita”, scrive Maria Popova. Ed è veramente così che ci sentiamo: viviamo sempre di corsa, sempre senza tempo per fare le cose. “Peccato, non lo posso fare, non ho tempo”.

Il grande Jacob Needleman scriveva nel 1997 su quanto fossimo diventati “poveri di tempo”: “Cominciammo a renderci conto, dapprima vagamente, che non stavamo più vivendo le nostre vite. Iniziammo a vedere che le nostre vite ci vivevano. Cominciammo a sospettare che il nostro rapporto con il tempo fosse diventato così tossico proprio perché avevamo dimenticato come portare nella nostra vita quotidiana la questione essenziale di chi è, e cosa è, e cosa dovrebbe essere un essere umano”.

Essenzialmente, non abbiamo tempo perché stiamo sempre ad impegnare il tempo con cose da fare. Perché la società ci vuole produttive ed efficienti.

Ne consegue che per “rallentare il tempo” forse dovremmo rallentare i nostri ritmi. Prima dell’invenzione dell’orologio, i ritmi erano scanditi da “il lento scorrere delle stelle nel cielo notturno, l’arco del sole e la variazione della luce, il crescere e il calare della luna, le maree, le stagioni. Il tempo veniva misurato anche dai battiti del cuore, dai ritmi della sonnolenza e del sonno, dal ripetersi della fame, dai cicli mestruali delle donne, dalla durata della solitudine” (Alan Lightman).

Prima, si era connessi a cicli della natura, al proprio corpo. Si stava in solitudine, si stava con se stessi. “Nella noia siamo completamente tempo e completamente sé: vuoto interiore. Ora sono io e nient’altro: un eccesso di essere se stessi” (M. Wittmann), una ottima descrizione per la pratica della meditazione….

Il tempo del corpo, lo sappiamo, è più lento del tempo della mente. E possiamo essere nel corpo solo nel momento presente…

Vivere nell’Adesso

Eppure mi rifiuto di pensare che noi siamo solo nel momento presente, che comunque preferisco sostituire con il termine adesso. Invece di considerare una successione lineare del tempo (passato-presente-futuro), preferisco vedere il tempo come un cielo stellato, in cui ci sono delle stelle che brillano di più – forse le nostre esperienze più intense – , e stelle piccole e tenui – memorie vaghe – , e costellazioni di esperienze e stelle che si espandono e si dilatano e altre che collassano … E un cielo espanso che comprende il tutto. Il tutto, accessibile ora, nell’adesso.

Prestare Attenzione

Come negare che quello che c’è nell’adesso è quello a cui prestiamo attenzione? “Il modo in cui trascorriamo i nostri giorni è, ovviamente, il modo in cui trascorriamo le nostre vite” scriveva Annie Dillard.

“La nostra ansia per la finitezza del tempo è in fondo una funzione dei limiti dell’attenzione – quel grande colino per gli stimoli, intessuto di tempo. Il nostro cervello si è evoluto per non cogliere la stragrande maggioranza di ciò che accade intorno a noi, il che rende la nostra scarsa riserva di attenzione cosciente la nostra risorsa più preziosa: la forma più rara e pura di generosità, nelle adorabili parole di Simone Weil”. Eppure, sostiene Oliver Burkeman, trattare l’attenzione come una risorsa significa già sminuire la sua centralità nel modellare la realtà nelle nostre vite: “La maggior parte delle altre risorse su cui facciamo affidamento come individui – come cibo, denaro ed elettricità – sono cose che facilitano la vita e in alcuni casi è possibile vivere senza di esse, almeno per un po’. L’attenzione, invece, è proprio vita: la tua esperienza di essere vivo non consiste altro che nella somma di tutto ciò a cui presti attenzione. Alla fine della tua vita, guardando indietro, qualunque cosa abbia attirato la tua attenzione di momento in momento è semplicemente ciò che sarà stata la tua vita”.

Provare nuove esperienze

Per quanto sia vero che abbiamo più ricordi di quando eravamo giovani (soprattutto di quella finestra temporale cha va dai 15 ai 25 anni, la famosa “reminiscence bump”) e quindi ci sembra che il tempo scorre più velocemente dopo aver superato i 30 anni, “Per sentire che la propria vita scorre più lentamente – e pienamente – si potrebbero cercare continuamente nuove situazioni per avere nuove esperienze che, a causa del loro valore emotivo, vengono trattenute nella memoria a lungo termine. Una maggiore varietà fa sì che un dato periodo della vita si espanda in retrospettiva. La vita scorre più lentamente. Se ci si mette costantemente alla prova, nel corso degli anni si ottiene la sensazione di aver vissuto pienamente e, soprattutto, di aver vissuto a lungo”, scrive ancora Mark Wittmann.

Provare qualcosa di nuovo significa mettersi in gioco, abilitare nuovi connessioni neurali (neuroplasticità!), e mettere in pratica la “mente di principiante” di cui parla Suzuki Roshi. Ci ricordiamo di più del viaggio che abbiamo fatto lo scorso anno, o di quando abbiamo lavato i piatti domenica scorsa? E non pensare che l’unica maniera di provare qualcosa di nuovo è quella di avere “esperienze straordinarie”: prova a lavarti i denti con la mano sinistra (o con la destra, se siete mancine)! Oppure inizia un nuovo sport, una nuova attività, un nuovo libro…

Connettersi ad altri esseri umani

“Non è che il nostro orologio non funzioni bene; al contrario, è superbo nell’adattarsi all’ambiente sociale ed emotivo in continua evoluzione in cui navighiamo ogni giorno. Il tempo che percepisco nei contesti sociali non è esclusivamente mio (…). Non esiste quindi un tempo unico e omogeneo, ma molteplici esperienze del tempo”, scrive Droit-Volet in un articolo. “Le nostre distorsioni temporali riflettono direttamente il modo in cui il nostro cervello e il nostro corpo si adattano a questi tempi multipli”. Cita il filosofo Henri Bergson “On doit mettre de côte le temps unique, seuls comptent les temps multiples, ceux de l’expérience”: Dobbiamo mettere da parte l’idea del tempo unico, contano solo i molteplici tempi che compongono l’esperienza.

“I nostri più piccoli scambi sociali – i nostri sguardi, i nostri sorrisi e le nostre accigliate – acquistano potenza dalla nostra capacità di sincronizzarli tra di noi”, osserva Droit-Volet. “Pieghiamo il tempo per creare tempo gli uni con gli altri e le numerose distorsioni temporali che sperimentiamo sono indicatori di empatia”.

Come scorre il tempo quando siamo in compagnia di amiche ed amici? Più che come scorre, qual è la qualità di quel tempo, la percezione, la sensazione vitale…?

Passare del tempo in compagnia degli alberi

Questi secolari e maestosi custodi del tempo… “Gli alberi facevano sembrare il passato a portata di mano in un modo che nient’altro avrebbe potuto: qui c’erano esseri viventi che erano stati piantati e curati da un essere vivente che se n’era andato, ma gli alberi che erano stati vivi durante la sua vita erano nella nostra e avrebbero potuto esserlo dopo. eravamo spariti. Hanno cambiato la forma del tempo” (Rebecca Solnit)

Spero che questa lista-di-cose-da-fare-per-non-perdere-il-tempo non diventi un’altra delle cose da fare nella lista, ma sia piuttosto una riflessione sul tempo, sulla vita e su chi siamo… Altrimenti, il mio è stato tempo perso!

Per concludere, scartando la osservazione che il tempo è denaro, non accettando la teoria proporzionale e rifiutando la formula matematica che deumanizza il tempo riducendolo ad una unità di durata misurabile, ricordando che il nostro cervello non sempre percepisce il tempo in maniera uguale e citando Kierkegaard quando scriveva: “[Un essere umano] è una sintesi di psiche e corpo, ma è anche una sintesi di temporale ed eterno”, forse aveva ragione Borges quando scriveva:

“Il tempo è la sostanza di cui sono fatto. Il tempo è un fiume che mi trascina, ma il fiume sono io; è una tigre che mi distrugge, ma la tigre sono io; è un fuoco che mi consuma, ma il fuoco sono io”.

Ti auguro una stagione lenta e consapevole, piena di cose nuove e apprezzamento delle vecchie, di silenzi, sguardi ed abbracci che ci ricordino come il tempo, alla fine non è così importante perché, anche se forse è quello di cui siamo fatte, non è ciò che ci definisce.

Caterina Allegra

caterina.allegra@gmail.com

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