Le pietre secolari, tratte dagli alvei dei torrenti boschivi e dal ventre roccioso dell’aspra montagna ligure, intramate verticali a calce, danno forma ancora oggi nel villaggio, alle splendide abitazioni che il furioso sole dell’estate mediterranea bacia già dalle prime ore, chiare, del mattino.

“Ti cambio i connotati”- Da una finestra poco sopra la mia testa, le grida di una donna irrompono nel silenzio, mentre mi incammino ad abbracciare un nuovo giorno, in tutta la sua potenza…

“Sono stufa di sentire le tue stupide lagne. Non sai quanto mi sbatto per portarti giù in paese. E tu piangi… Ti lamenti pure…”- Mi arrivano il gemito ed i singulti di una piccola vita in lacrime.

Un tempo forse avrei gridato qualcosa a quella giovane madre sconosciuta, avrei sentito rabbia e nel giro di un’istante l’avrei esplosa dal petto alla gola alle labbra, senza nemmeno accorgermene. Avrei litigato aspramente, lasciando quella bambina ancora più confusa e spaventata in compagnia dell’ira dell’adulta, andandomene a rimuginare per ore sull’incoscienza e l’incapacità delle figure parentali di gestire le proprie emozioni, se non nella loro intera esistenza, almeno nell’educazione dei propri figli.

Sai… Quel mattino non sono intervenuto, ma non ho perso il contatto con quell’emozione forte: insieme ad essa, rallentando il cammino, ho ascoltato la sensazione del terreno sotto i piedi, l’aria di montagna che riempiva i miei polmoni accarezzando le narici; e non è stata indifferenza, tutt’altro. Non volevo distrarmi da quella rabbia che pervadeva le mie membra, anzi, ne volevo assorbire tutta la forza vitale, ben intenzionato ad orientarla per qualcosa di ben diverso da uno sfogo.

Una prima semplice pratica somatica

Attraversando questo scritto avrai a disposizione qualche intuizione tratta dai lunghi anni dedicati ad accompagnare centinaia di persone ad elaborare somaticamente esperienze traumatiche.

Comprensioni nate dal coraggio e dalla determinazione di esseri umani che hanno condiviso con me, parti importanti del loro viaggio su questa Terra.

Per questo, invece che iniziare a spiegare, a dare informazioni cognitive alle tue parti corticali, le quali seppure curiose e capaci di comprendere la teoria, nella pratica verrebbero probabilmente travolte dalla velocità reattiva degli impulsi limbici, qualora stimolate da eventi intensi o sopraffacenti, provo a coinvolgerti in una prima semplice esperienza …

Che succede in te oggi, quando leggi le parole urlate dalla giovane madre a sua figlia in quella torrida estate?

Nota se c’è un’emozione che arriva, come prende vita in te?

Quali articolazioni si tendono, quali aree del corpo perdono vitalità, si desensibilizzano o si raffreddano subitaneamente divenendo immobili? Quali altre invece ti danno una sensazione di comodità, agio, minor rigidità e tensione. Rimani un pò in ascolto di queste ultime… Se te lo concedi, qui ed ora, stai vivendo un’esperienza enterocettiva, un’assaggio di presenza…

Hai dei pensieri che ti coinvolgono in delle proiezioni? Forse ti senti di più nella parte della bambina? O nelle valide ragioni della mamma? O in tutte due e magari ti arrivano ricordi dall’infanzia…

Quello descritto potrebbe essere solo un caso episodico scatenato da una notte insonne o un’indigestione; la mamma di cui sopra, in genere potrebbe essere stata in grado di cogliere nei lamenti o nei capricci della figlia, la possibilità di stare con lei dandole amore, di farla sentire realmente vista ed ascoltata, in modo da permetterle, crescendo, di maturare la capacità di riconoscere le proprie emozioni ed i propri bisogni reali. La possibilità di avere relazioni di attaccamento sane in cui da bambine ci siamo sentite supportate, protette, ascoltate e accompagnate nelle nostre emotività, può aver favorito la nostra capacità da adulte di stare con le emozioni senza attaccare, scappare dagli altri o sentirci confuse ed inermi.

Le relazioni umane ed ecologiche, attraverso emozioni e sentimenti, lasciano gemmare giorno per giorno i sentieri neurali che configurano la nostra percezione della realtà, i nostri pensieri e le nostre immaginazioni, codivengono ciò che siamo.

Finestre di tolleranza

Un padre, pur essendo presente ed amorevole, potrebbe avere difficoltà nella mimica facciale a mostrare palesemente emozioni o vivere una fragilità inconscia completamente dissociata, rispetto alla possibilità di provare o stare con la tristezza degli altri. Potrebbe provare forte rabbia nei confronti del figlio qualora questi si permettesse di piangere, interpretando come debolezza il sano bisogno di elaborare con le lacrime qualcosa di intenso.

Cosa farà quel giovane ogni volta che proverà tristezza in presenza del padre? E quali comportamenti adotterà da adulto per gestire questa pesante eredità?

Di sovente la nostra finestra di tolleranza rispetto alle emozioni rispecchia in qualche modo quella degli adulti e degli ambienti in cui siamo cresciute.

Genitori depressi o che presentino traumi transgenerazionali che inibiscano le funzioni ventrali del nervo vago nel sistema nervoso autonomo, potrebbero essere poco propensi alla vitalità o alla gioia, avere difficoltà a stare in ambienti in cui c’è tanta gente in festa, musica ad alto volume o luci intense.

Oggi sappiamo che grazie a facoltà umane naturali come l’epigenetica e la neuroplasticità, le nostre vite possono assumere infinite forme, indipendenti dal nostro passato. Le esperienze odierne possono modellare chi siamo non solo in senso traumatico, ma anche nelle direzioni del piacere, della pace con noi stessi e dell’empatia nei confronti del resto delle esistenze.

Bambini cresciuti in ambienti privi di giocosità ed allegria, non necessariamente devono diventare adulti depressi o compensare il loro bisogno di emozioni forti usando sostanze o mettendo in atto comportamenti altamente adrenalinici. Relazioni di attaccamento sane, vissute in modo frequente e durevole tra persone consapevoli, possono permettere di iniziare a coregolare stimoli usualmente sopraffacenti e di attivare processi organici molto profondi.

Lo sguardo amorevole di un partner può attivare la vergogna o la paura, in una persona che ha vissuto un abbandono. Nel riuscire a sentire e ricambiare quell’amore, quest’ultima potrebbe andare incontro ad attivazioni involontarie del sistema nervoso, nell’aprirsi a ricevere tutto l’affetto profuso nei suoi confronti. La destrutturazione degli impulsi di protezione e sopravvivenza nei confronti degli altri umani e del resto dei viventi, non è un processo lineare. Prima di riuscire a ricevere amore potremmo sentire la rabbia, la vergogna e la paura vissute nell’età dello sviluppo nella sua disperata e inconsapevole ricerca. Riconoscere questi passaggi dando loro un senso cronologico e funzionale adeguato, può evitare inutili incomprensioni e sofferenze.

Le finestre di tolleranza variano in base alle singole emozioni ed ai sentimenti, oltre che alla dose di stress e frenesia nella quale le società estrattiviste ci spingono in modo strutturale colonizzando i nostri corpi ed i nostri vissuti. Nel contesto degli studi sull’elaborazione del trauma, il concetto di finestra di tolleranza è associato alla funzionalità del nervo vago nella sua porzione ventrale, branca del sistema nervoso autonomo che regola gran parte delle funzioni vitali e che supporta comportamenti di coinvolgimento sociale, empatia, rilassamento e capacità di rilassamento, correlato alle condizioni dell’ambiente.

Oltre il bypass cognitivo: il corpo come possibile risorsa per sentirci al sicuro quando non ci sono reali pericoli

Potrei essere armato fino ai denti in un quartiere blindato con migliaia di telecamere e droni a difendermi e ad avvertirmi dell’eventuale presenza di forme di vita. Vivere in un bunker anti atomico interamente sterilizzato, essere a capo di un esercito invincibile, avere relazioni solo attraverso uno schermo… Eppure, potrei non sentirmi, mai, abbastanza al sicuro.

La percezione fisiologica della sicurezza, denominata anche neurocezione, negli umani ha a che fare con gli ambienti e le educazioni nelle quali siamo cresciuti. Essere al sicuro a livello teorico non implica che il nostro corpo non sia ostaggio di uno stato di allarme continuo ereditato dal passato.

Fare una pausa e dedicarci ad un ascolto ampio del presente può darci qualche intuizione preziosa.

Quali sono i segnali di assenza di pericolo che riconosci se utilizzando una lenta rotazione del collo osservi l’ambiente circostante in cui sei ora? Come si manifesta la materialità del suolo sotto alle piante dei piedi? C’è forse un tepore, una freschezza o una qualità termica riconoscibile? Arriva una vibrazione leggera, un formicolio?

Qualora fossi in un luogo molto frequentato, come distingueresti una persona pericolosa da una innocua, gentile ed empatica?

Puoi immaginare un momento della tua vita in cui hai conosciuto una persona nuova che ti ha accolto e rallegrato?

Se ti sei presa il tempo per esplorare le proposte qui sopra, potrebbe essere interessante riportare l’attenzione alla tua forma, il tuo volume, il tuo organismo nella sua completa interezza… Osservando come reagisce agli stimoli ricevuti.

Avrai notato che nelle brevi esperienze qui proposte, c’è spesso un richiamo al corpo, all’enterocezione. L’ascolto intenzionale focalizzato delle sensazioni e delle intra-azioni di un’area del corpo rilassata o meno tesa, manda al cervello e al resto dell’organismo una serie di informazioni non mediate dal cognitivo, che attraverso il tronco encefalico arrivano all’area limbica dell’encefalo modulando l’attività dell’amigdala.

Le scariche continue di adrenalina e noradrenalina tipiche di sistemi nervosi iperattivati, possono iniziare ad essere modulate da pratiche di consapevolezza integrali ad orientamento corporeo.

Nel caso di soggetti con difficoltà ad entrare in contatto con le proprie sensazioni però, queste dovrebbero essere accompagnate in maniera graduale ed assistite da persone con esperienze e training specifici.

Oltre ai percorsi di mindfulness e bodyfullness, originati dai percorsi spirituali di bianchi occidentali che nel Novecento hanno introdotto la passione del coltivare il momento presente nelle culture dominanti però, forse abbiamo bisogno di qualcos’altro.

Spiritualità e processi organici

Numerose culture in tutto il pianeta hanno dedicato ampio spazio ad educare le persone a famigliarizzare con la natura della mente, il corpo e le relazioni ecologiche che ne permettono l’esistenza.

Lo Yoga ed alcune pratiche del Buddhismo ad esempio, in numerose tradizioni pongono attenzione alla contemplazione del respiro e all’ascolto del corpo.

Indagare la mente in relazione alle possibilità di rilassamento dell’organismo è senz’altro una via per imparare a stare con quello che c’è. Ma poichè l’ego spesso si manifesta come tensione, come intreccio di risposte di sopravvivenza autonomiche adottate dal passato o assorbite per osmosi negli ambienti in cui siamo vissute, è importante avere chiarezza sulla fenomenologia dei processi organici. Le contrazioni della mascella, dell’inguine, del perineo o di qualsiasi altra articolazione, gestiscono pacchetti sinestetici di immagini, emozioni, impulsi e pensieri che spesso languono nelle profondità recondite dell’inconscio.

Un polso che allenta la contrazione durante un’Asana può liberare paura. Se questa ha a che fare con traumi precoci o ad alta intensità, può arrivare in modo improvviso con una veemenza stupefacente. Può permettere l’affiorare di una parte di noi dissociata, un ricordo, una brivido o un movimento spontaneo del corpo.

Come l’amore, anche le pratiche contemplative possono destrutturare frammenti di energia vitale bloccati e misconosciuti.

Affidarsi a lignaggi basati sull’etica, l’integrità dei comportamenti nel quotidiano e sulla compassione, informati dalle più recenti comprensioni sulle dinamiche di elaborazione dell’energia traumatica, può permettere di ricevere quel senso di protezione che magari ci è mancato da piccoli: ci può permettere di elaborare memorie propriocettive a noi sconosciute, intrappolate nella rigidità del nostro pensiero o dei nostri tessuti.

Sfide dal nuovo millennio

E’ chiaro che stare con quello che c’è, realmente, presuppone il rallentare, familiarizzare con la mente come spazio in cui osservare e discernere, entrare in un processo non lineare e non locale in cui può trovare spazio anche il sentire.

Oltre alle scelte intenzionali di distrarci o sottovalutare ambiti scomodi dell’esistente, il sistema nervoso ci protegge involontariamente da questi ultimi reagendo automaticamente agli stimoli secondo schemi inconsci appresi nel passato.

La morte di una persona cara, il dolore fisico, la rottura di una relazione d’amore o d’amicizia, la fame, l’annuncio repentino di una malattia degenerativa, la violenza continua e strutturale di chi ci opprime, possono essere esperienze fortemente derimenti.

E di per sè, per molti di noi, già il fermarci, non fare o permetterci una pausa dal ritmo produttivo può generare improvvisi stati d’ansia, invece che possibilità di agio e riposo.

Le generazioni nate nel nuovo millennio oltre all’eredità di tali comportamenti disfunzionali incarnate nei propri sistemi nervosi, si trovano ad essere parte di un pianeta in piena trasformazione. Le forme di relazione basate sull’estrattivismo, sia che siano rivolte nei confronti dei nostri stessi corpi, che al resto della natura, non permettono più di sostenere ed alimentare quello che c’è… La crisi che si dispiega in noi come natura non può essere risolta con l’acquisto di un condizionatore d’aria o di una casa in montagna.

Stare con quello che c’è non ha a che fare con il rimanere inermi, indifferenti di fronte alla realtà di bambini che devono prostituirsi o rovistare tra la spazzatura di una discarica per sopravvivere. O cambiare canale di fronte alle atroci immagini dei bombardamenti di una scuola o un ospedale in Palestina. Non vuol dire affatto evitare di ascoltare la immane sofferenza delle forme di vita che si stanno estinguendo.

Dobbiamo agire.

E possibilmente, da una prospettiva diversa da quella che ha dato origine ai problemi attuali.

Gli schemi e le strutture sociali ed economiche generate dai traumi del passato, se non elaborati, rischiano di diventare il nostro destino.

Nel mio lavoro ho incontrato adulti nelle cui infanzie c’è stata soprattutto coercizione, manipolazione, ricatto, punizione. Alcuni sono stati semplicemente trascurati, altri addestrati alla vita, al lavoro e alle relazioni come ad una guerra.

Il genere umano ha bisogno di una profonda guarigione.

Eppure oggi nessun terapeuta può accogliere, da solo, nel vecchio modello diadico o nelle più recenti dinamiche risonanti di gruppi di soli umani, chiusi nel nostro delirio antropocentrico, l’immane terrore generato dai fenomeni atmosferici legati ai cambiamenti climatici in corso.

La folle corsa alle cosidette terre rare, sul cui utilizzo si basa il nuovo modello di sviluppo capitalista della green economy, comporta assestamenti geopolitici che le vecchie strutture sociali appoggiate dalle maggioranze “concertano” attraverso le guerre.

Ad un certo punto, anche gli individui dei territori più ricchi, che usufruiscono del privilegio dell’uso delle materie prime, potrebbero diventare il bersaglio dei prodotti dell’industria delle armi.

Ma sappiamo con chiarezza che non ci sono soluzioni univoche.

Per “sederci con”, o “stare con quello che c’è” oggi abbiamo bisogno di un cambiamento ontologico radicale che disarticoli il senso stesso di vita e di morte.

Di educarci a cosentire e codivenire, ad una piena reciprocità relazionale, un’ecologia incarnata che ci permetta di sentirci dello stesso valore di una nuvola o di una goccia di pioggia, celebrando gratitudine per quanto ancora sopravvive selvaggio, nonostante l’ecocidio in atto.

Alla bambina che piangeva quella mattina nel villaggio, oggi chiederei se ha piacere a giocare con me…

Ad apprendere reciprocamente, insieme ad altre sue coetanee, alle lucertole, alle farfalle, alle volpi e a tutti gli altri animali non umani che vivono con noi, l’umiltà minerale delle montagne: capaci di sciogliersi al sole, al vento o sotto l’acqua, divenendo ruvide pietre e morbide sabbie.

Jerry Diamanti

leviedolci@gmail.com

www.equilibrinaturali.net

Photo by Cristina Gottardi

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