La tranquillità è un modo di viaggiare, non una destinazione
La tranquillità è un modo di viaggiare, non una destinazione
In questo periodo mi trovo a vivere in un piccolissimo paese in Piemonte, a novecento metri di altezza: sono immerso nella natura e posso apprezzare questo inizio di primavera. Ogni giorno faccio una breve passeggiata nel bosco dove ho trovato, tra due vecchi castagni e qualche giovane quercia un angolo appartato dove mi siedo a meditare. Durante la passeggiata non incontro esseri umani, ma posso godere della natura che si risveglia: il giallo delle primule, il viola delle violette, il verde dei teneri germogli appena spuntati sui rami, e, talvolta, la fioritura completa di cespugli e di alberi di cui non so dire il nome; il sole molte volte mi è amico e sempre la quiete del bosco mi accoglie. La Natura, tranquilla e regolare, fa il suo corso, e sembra non conoscere la difficile situazione degli esseri umani che la abitano.
Io non so in che situazione ci troviamo veramente, non ne conosco la reale gravità, né so prevedere quello che porterà tutto quello che stiamo vivendo. Non ho verità oggettive da comunicare, né ho risposte certe da dare, al massimo posso formulare delle domande, delle ipotesi, posso riflettere.
Quello che so per certo è che la tranquillità è la cosa più importante da testimoniare e da trasmettere.
La tranquillità è un atteggiamento che coltiviamo e applichiamo in ogni circostanza della vita e che ci permette di rispondere in modo appropriato ed efficace alla situazione presente. L’agitazione, la frenesia, l’ansia, la paura sono di per sé sofferenza, sono di per sé non salutari, e non ci permettono di rispondere in modo appropriato ed efficace.
Ciò che stiamo vivendo ha molte facce, molte dimensioni: quella sanitaria, riguardante la nostra salute e quella delle persone a noi care è solo uno degli aspetti, e probabilmente non è il più grave. C’è la dimensione politica, sociale e psicologica fortemente deteriorata dalla militarizzazione in atto della società; c’è l’aspetto economico che può diventare molto difficile e grave col perdurare del blocco delle attività produttive; e certamente è presente la dimensione geopolitica con il pericoloso confronto tra le superpotenze.
Anche se la situazione attuale, con tutte le sue sfaccettature, fosse veramente della massima gravità, la tranquillità sarebbe a maggior ragione l’atteggiamento più appropriato.
Tranquillità non significa che non ci sono emozioni, che non sperimentiamo la paura, l’ansia, la preoccupazione, la tristezza, la rabbia; significa che siamo in grado di riconoscerle, di vederle chiaramente e che siamo in grado di accoglierle e di non identificarci. Pensieri, emozioni, sentimenti, stati d’animo fanno parte del nostro naturale sentire: attraverso la pratica meditativa possiamo imparare a non essere portati via, a non essere travolti; possiamo imparare a ritornare al centro, a ritornare presenti a noi stessi e alle circostanze in cui siamo, e a ritrovare uno spazio di libertà e di equilibrio che è sempre disponibile, anche in questo preciso momento.
Forse possiamo sfruttare proprio questi momenti di forzato isolamento e solitudine per imparare a prenderci cura di noi stessi e, soprattutto, per familiarizzarci con la nostra mente: probabilmente sarebbe stato meglio iniziare a farlo quando i tempi erano migliori, ma adesso possiamo comprenderne esperienzialmente l’importanza e ci sono le circostanze che ci permettono di farlo e, anzi, lo richiedono. Non c’è mai un momento migliore per iniziare a prenderci cura di noi stessi, per iniziare un cammino contemplativo, il momento migliore è sempre adesso.
Se abbiamo già qualche forma di pratica spirituale, meditativa, questo è il momento di prendere rifugio in essa, di approfondirla, non solo per noi stessi, ma per poter mantenere quella chiarezza e tranquillità che ci permettono di essere di aiuto anche agli altri.
Tradizionalmente, nelle arti marziali orientali, il guerriero praticava tecniche di meditazione: una mente meno condizionata dalla paura e dalla rabbia, una mente presente, vigile e nello stesso tempo tranquilla, “vuota”, era considerata di grande utilità in battaglia. Proprio quando la totalità della nostra vita è in gioco, se ci mettiamo in relazione con la situazione con mente (più) calma e (più) chiara forse qualcosa di straordinario e inaspettato potrebbe succedere!
Inoltre quello che so è che può essere utile una tranquilla riflessione, che è molto diversa dall’essere persi, travolti, sopraffatti da un pensare compulsivo, agitato, colorato dall’ansia e dalla paura.
Tranquilla riflessione significa una riflessione razionale che avviene in uno stato mentale di presenza e tranquillità. Per comprenderne l’importanza non abbiamo bisogno di scomodare le tradizioni orientali: tutto il pensiero filosofico e scientifico occidentale, in ultima analisi, si basa sulla sospensione del giudizio (epochè), sul porsi delle domande (dubbio metodico), sul formulare ipotesi, sul non dare per scontato le cose o le rappresentazioni delle cose e sul ragionare.
Ognuno di noi deve riflettere autonomamente: le considerazioni degli altri sono utili nella misura in cui innescano e favoriscono la nostra tranquilla riflessione. Viceversa, poiché viviamo in una dimensione di relazioni reciproche, le nostre considerazioni potranno essere feconde per gli altri. Non si tratta di accettare o di rifiutare dogmaticamente e acriticamente delle conclusioni, ma di porsi delle domande, di aprirsi a un’esplorazione, a un’indagine filosofica.
Inizialmente volevo condividere dei documenti e dei video sulla situazione attuale: poi ho pensato che non era il caso, che ognuno è libero di fare la propria ricerca.
Soprattutto penso sia di maggiore importanza spostare l’attenzione, ampliare la consapevolezza, espandere il ragionamento per includere la totalità della nostra vita, perché è di questo che stiamo parlando, è la totalità della nostra esistenza che è in gioco in questo momento. A me pare che il vero problema non è che la nostra salute è minacciata dal virus xyz di turno, non è nemmeno la gravità della situazione politica, economica e sociale, o il pericolo di una guerra mondiale: con questo non voglio
minimizzare questi problemi, o dire che non ci sono.
A me pare che l’emergenza c’era anche prima del virus xyz di turno: era una emergenza personale, politica, sociale, psicologica, ecologica, una emergenza sistemica, globale; era una crisi che ha le sue radici in un modo di guardare-vedere il mondo sbagliato, dannoso, in un modo di vivere innaturale, squilibrato, non sostenibile che porta sofferenza per tutti, e che conduce alla distruzione della Natura, sia dentro di noi e sia fuori di noi. È urgente e cruciale riflettere su come abbiamo vissuto fino ad ora e su come vorremmo vivere da questo preciso momento in poi, a partire da questa cosiddetta emergenza e dopo. Quali sono gli orientamenti, i valori su cui vogliamo fondare la nostra esistenza? Pensiamo veramente che il consumismo sfrenato, l’avidità, la mercificazione di ogni aspetto della vita possa darci la felicità? Ci siamo mai chiesti quanto è abbastanza? Qual è la giusta misura? Vogliamo veramente continuare a basare la nostra vita sulla competizione, sulla lotta, sulla guerra di tutti contro tutti? Non sarebbe più saggio coltivare la collaborazione, l’amicizia, la compassione? Non sarebbe più salutare riconoscere che siamo tutti all’interno di una rete di relazioni reciproche, ognuno di noi con tutti gli altri esseri umani e con la Natura? Vogliamo veramente continuare a vivere con ritmi frenetici, innaturali, sempre travolti da pensieri ed emozioni? Non sarebbe più saggio rallentare e imparare a fermarsi per apprezzare la meraviglia e il mistero che costantemente si manifesta? Proprio ora, nell’esatta situazione in cui sei, se ti fermi e osservi con gentilezza e amicizia la tua esperienza, se osservi senza attaccamento, con la disponibilità a lasciare la presa, allora puoi accorgerti di uno spazio di agio, di tranquillità che è sempre disponibile, sempre a portata di mano.
Mi piace terminare questa breve riflessione con due citazioni: la prima è di Chogyam Trungpa: “Non c’è bisogno di lottare per essere liberi; l’assenza di lotta è di per sé libertà”.
La seconda è la parte finale della poesia “Hokusai dice” di Roger Keyes che puoi leggere integralmente
cliccando qui:
“Non avere paura. Non avere paura. Guarda, percepisci, lascia che la vita ti prenda per mano. Lascia che la vita viva attraverso di te.”